“No, non erano come me” disse Henry. “Io sono un'eccezione. Io dovevo diventare una di quelle scintille, ma non sono arrivato alla fine del processo. È una storia lunga. Se hai tempo, posso raccontartela”.
“Abbiamo tutto il tempo che c'è”.
“Ma il sole”?
“Io sarò morto e secco, e ogni mia traccia sarà sparita, ben prima che il sole costituisca un vero pericolo. In futuro il sole ucciderà il pianeta che è già quasi morto. Ma ci vorrà molto tempo”.
“Lieto di saperlo” disse Henry. “Mi hai chiesto che cos'è un umano. Ne deduco che non ci sono umani”.
“Una volta” disse l'albero “molto tempo fa, c'erano le creature fatte di metallo. Alcuni dicono che non erano umani, ma solo copie degli umani”.
“I robot” disse Henry.
“Non avevano quel nome” disse l'albero. “Non sono neppure certo della loro esistenza. Si dicono tante cose. Una di queste è che le creature di metallo cercarono di eliminare gli alberi tagliandoli tutti. Questa loro attività non ha nessuna spiegazione, e non ci sono prove che li tagliassero davvero”.
“Adesso i robot sono scomparsi?” domandò Henry.
“Neppure il metallo” disse l'albero “dura per sempre. Ma tu e io siamo qui, e ci parliamo. Forse potremmo fare amicizia”.
“Se lo desideri” disse Henry. “Da molto tempo non ho più amici”.
“Allora, siamo amici” disse l'albero. “Mettiamoci comodi a chiacchierare. Dici che alcuni pensavano che gli alberi fossero destinati a succedere all'uomo. Significa prendere il suo posto?”
“Esattamente. Già allora, in quel remoto passato, c'era la convinzione che la razza umana era destinata a finire e che un'altra forma di vita avrebbe preso il suo posto”.
“Ma perché doveva esserci qualcuno a prendere il suo posto?”
“Questo non saprei, dirtelo. Non c'è nessuna spiegazione logica, ma si aveva la convinzione che sul pianeta ci dovesse essere una razza dominante. Prima degli uomini c'erano stati i dinosauri, e prima dei dinosauri le trilobiti”.
“Non conosco né gli uni né le altre”.
“Non è una cosa molto importante” disse Henry. “I dinosauri erano grossi, e forse ce n'erano pochi. Le trilobiti erano piccole e ce n'erano molte. Li ho citati solo per dire che entrambi si sono estinti”.
“E l'uomo ha preso il posto dei dinosauri?”
“Non subito. Non in un colpo solo. Gli è occorso del tempo”.
“E adesso, io, un albero? Sono una specie dominante?”
“Probabilmente, sì.”
“La cosa strana” disse l'albero “è che io non ho mai pensato a me stesso come a una creatura dominante. Forse, così avanti nel tempo, il predominio ha perso molta della sua importanza. Cosa c'era di diverso nel caso delle trilobiti, dei dinosauri e degli uomini?”
“Le trilobiti non saprei” disse Henry. “Erano creature piuttosto stupide. Anche i dinosauri erano un gruppo abbastanza stupido, ma avevano una sorta di fame che li spingeva avanti. Mangiavano tutto quello che vedevano. Anche noi umani avevamo una fame; la fame di comandare tutto”.
“Noi alberi non abbiamo mai avuto fame” disse la pianta. “Abbiamo sempre ricavato il nostro nutrimento dall'aria e dal terreno. Non abbiamo mai dato fastidio a nessuno, non abbiamo mai avuto nemici. Probabilmente, ti sbagli. Se per dominare occorre una grande fame, noi non abbiamo mai dominato”.
“Eppure riuscite a pensare e a parlare”.
“Oh, sì, abbiamo pensato e parlato molto. Un tempo, quando eravamo numerosi, il mondo era avvolto da una tempesta di chiacchiere. Noi eravamo le creature più sagge di tutto il mondo, ma non utilizzavamo la nostra saggezza. Non avevamo modo di usarla”.
“E potresti trasmettermi un po' della tua saggezza”? domandò Henry.
“Sei arrivato tardi” gli disse tristemente l'albero. “Ormai mi sono rincitrullito per la vecchiaia. Ho dimenticato da tanto tempo un mucchio di cose. Forse occorre la propria saggezza. Adesso la comunità non c'è più. Sei arrivato tardi, amico; non posso darti più niente.
“Mi spiace” disse Henry.
Un altro fallimento, si disse. Le trilobiti, i dinosauri e gli uomini almeno su quel pianeta, avevano incontrato un insuccesso. E così pure gli alberi. Anche se gli alberi avevano continuato a esistere e non si erano estinti, il loro era ugualmente un fallimento. La saggezza, da sola, era inutile. Se non poteva agire, non aveva valore.
“Sei turbato” gli disse l'albero.
“Sì” rispose Henry “anche se non ce n'è motivo. Avrei dovuto saperlo che sarebbe andata a finire così”.
16. In famiglia
Timothy si appoggiò comodamente contro lo schienale della sedia e allungò le gambe davanti a sé.
— Alla fine, dopo, qualche mese — disse — comincio a capire come funzionano le cose quaggiù. Sto imparando a poco a poco il basico galattico. Hugo mi è stato di grandissima utilità fin dall'inizio, naturalmente. Mi ha guidato, mi ha consigliato, mi ha presentato a persone che mi sono state di enorme aiuto.
— Non prendere le sue parole come oro colato — disse Emma, rivolta a Enid. — Ha ripreso le sue vecchie abitudini. Rimane chiuso nel suo studio per giorni interi, e non scende da noi neppure per mangiare. Qualcuno del gruppo di Hugo deve salire da lui a portargli i pasti, e adesso che è arrivato con voi quello stupido robot cuciniere, è lui a portare su la roba…
— Il robot ci è stato utilissimo — disse Hugo. — I miei compagni facevano fatica a occuparsi della cucina e di tutto il resto, ma il robot si è subito messo alla direzione di tutte le attività domestiche. In cucina è un mago, ha un vero dono per fare da mangiare.
Dal fondo della stanza, Horace brontolò: — Non ha ancora imparato a fare un arrosto decente.
— Devi sempre lamentarti? — domandò Emma, irritata. — Se non è per la cucina, allora è per qualcosa d'altro. Ti ricordi, spero, quello che ti ha detto Timothy quando ci ha fatto venire qui. Ti ha detto di non dare fastidio. Non ti ha chiesto altro.
— Mi ha anche detto — disse Horace, in tono di voce troppo alto — di tenere la bocca chiusa.
— E devo dire — fece Timothy — che sotto questo aspetto non ti sei comportato molto bene.
— Male non si è comportato — disse Emma — a parte le continue lamentele. Non ha mai messo piede fuori di casa, e non ha litigato con nessuno dei tuoi assurdi vicini. Non so come faccia tu a sopportarli.
— Per quanto mi riguarda — disse Enid — non vedo alcun motivo per uscire di casa. Questo posto è perfetto. A parte le montagne è uguale a Hopkins Acre.
— Vero — disse Corcoran. — Non ho mai incontrato un posto così tranquillo. Mi ricorda effettivamente Hopkins Acre, anche se io e Boone, naturalmente, ci siamo stati solo per breve tempo.
Boone disse a Muso di Cavallo: — Come potevate sapere che la stella segnata con la X era questa?
— Ve l'ho detto — spiegò Muso di Cavallo. — La X mi ha fatto pensare che ci fosse qualcosa di speciale, per questo mi sono diretto qui.
— Ma prima avevate detto che la X poteva anche avvertire di un pericolo — disse Corcoran.
— Poteva essere pericoloso — ammise Muso di Cavallo. — Ma talvolta mi piace correre dei rischi.
— Da parte mia — disse Timothy — sono lieto che abbiate voluto correre il rischio. Qui mi sentivo un po' solo, fra tutti questi alieni, per gentili che siano. Adesso la famiglia è di nuovo riunita. Almeno, coloro che restano.
— Qualcuno sa qualcosa di Henry? — chiese Enid.
Fu Horace a rispondere: — Neppure una parola. Di Henry non si poteva mai sapere. Voialtri potete dire quello che volete, ma era un fantasma. Sempre avanti e indietro.
— Ecco di nuovo quello che parla senza pensare — disse Emma. — A te, Henry non è mai piaciuto. Hai sempre detto peste e corna di lui. Adesso, però, potresti dire qualcosa di diverso. Forse Henry è morto…