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Dalle notizie sulla scarsità di lavoro, sulla diminuzione dei traffici, sulla scomparsa del denaro, capì di trovarsi in un paese e in un secolo sprofondati in un collasso economico che non aveva risparmiato nessuna nazione del mondo.

Per caso aveva scorto il vecchio veicolo a energia solare, fermo sotto una tettoia, accanto a una delle baracche che componevano il villaggio. Esaminandolo, si era convinto che era ancora in grado di funzionare. Quando finalmente trovò il proprietario, gli fu chiaro che quell'uomo non ne aveva bisogno: non intendeva andare in nessun posto, e non sapeva guidare il veicolo. Dopo qualche contrattazione, Martin cedette il suo prezioso orologio da polso, oggetto che all'uomo serviva quanto il veicolo, poiché a nessuno, nel villaggio, interessava sapere l'ora del giorno.

E adesso Martin si trovava laggiù seduto sul letto di un torrente, in attesa che la batteria si ricaricasse. Il giorno prima aveva raggiunto la strada ampia che gli avevano descritto: una delle grandi autostrade transcontinentali che attraversavano la nazione da una costa all'altra. Si era diretto a ovest, perché pensava di trovarsi in qualche punto del sudovest americano, non lontano dalla costa del Pacifico: laggiù poteva trovare qualcuna delle grandi città, che forse erano solo la pallida immagine di quelle che conosceva, ma che rappresentavano pur sempre un'alternativa migliore di quel villaggio.

Nel corso della giornata passata sull'autostrada era stato sorpassato da tre soli veicoli. Uno era a energia solare, anche se era un modello più recente e meglio costruito del suo. Gli altri due erano azionati da motori a combustione interna. L'odore dolciastro dei gas di scarico faceva pensare che usassero come combustibile l'alcool.

Fermata la macchina si alzò stancamente dal sedile. Anche sulla superficie liscia dell'antica autostrada il viaggio era assai scomodo. Gli faceva male ogni muscolo a causa degli scossoni.

Si allontanò di qualche passo e si stirò. Non si udiva alcun rumore: né vento né insetti. Il cielo sopra di lui era azzurro pallido, e vi si scorgeva un solo uccello, molto in alto: forse un'aquila, più probabilmente una poiana.

Da entrambi i lati le pareti del canalone scendevano a strapiombo, consumate dall'erosione. Qua e là spuntavano piccoli massi e strati di pietre. Ai piedi delle pareti, dove scorreva il torrente che in quel momento era asciutto, si scorgevano mucchi di detriti.

A poca distanza da lui, il canale faceva una curva e poi prendeva un'altra direzione. Martin s'incamminò da quella parte e dopo un poco si fermò per osservare la parete alla sua sinistra. Si scorgeva il bianco dell'osso e lo scuro del corno: l'erosione aveva riportato alla luce un cranio che era rimasto sepolto fino a quel momento.

Era un cranio bovino, ma era così massiccio, e il corno era così grosso e lungo, che non poteva essere appartenuto a una delle locali mucche longhorn.

Doveva essere un bisonte, ma non un bisonte del vecchio West. Quello che aveva davanti agli occhi, si disse, era un bisonte preistorico, una delle bestie mostruose a cui avevano dato la caccia i primi uomini giunti in America. Guardando sul letto del fiume, sotto il cranio, vide altri pezzi d'osso.

Quanti anni erano passati, si domandò, da quando l'animale aveva brucato l'erba della prateria che oggi era un deserto? Almeno ventimila, forse di più. Forse in passato una simile scoperta avrebbe potuto fruttargli del denaro, pensò, ma se il mondo del presente era davvero nella situazione da lui immaginata, non c'era niente da guadagnare.

Una piccola sporgenza aveva resistito all'erosione. Girando attorno a essa, un riflesso metallico gli colpì lo sguardo. Si fermò, incuriosito. Il luccichio veniva da un oggetto incastrato nella parete. Dalla posizione in cui era Martin, il riflesso del sole non gli colpiva più gli occhi, ma l'oggetto luccicava ancora.

Raggiunse lentamente l'oggetto lucido e si fermò a osservarlo. Era una sfera levigatissima, simile a quelle usate dai ciarlatani per predire il futuro. Era grossa come un pallone da calcio, e talmente lucida che Martin vi vide riflessa la propria faccia come in uno specchio.

Tese le mani per staccarla dalla parete e la sfera gli parlò.

“Gentile signore” disse “prendetemi in mano e tenetemi con voi. Datemi il calore di un'altra vita e la vostra amorevole gentilezza. Sono rimasto solo per così tanto tempo”.

Martin s'immobilizzò, con le mani sollevate, ma senza avvicinarsi alla sfera. Aveva paura. Qualcosa gli aveva parlato nella mente, poiché non aveva udito suoni e parole: lo stesso modo di parlare di quel balordo pupazzo, il Cappello.

“Liberatemi” implorava la voce. “Portatemi con voi. Sarò per voi un amico, un servitore fedele. Vi chiedo soltanto di tenermi con voi. Non potrei sopportare il dolore di non essere accettato, di vedervi allontanare da me”.

Martin cercò di parlare. Ma le parole gli morirono nella gola.

“Non abbiate paura di me” disse la voce. “Nelle condizioni in cui mi trovo, non posso costituire un pericolo, e anche se potessi non ne avrei l'intenzione. Ho atteso tanto a lungo: un'eternità. Vi prego, gentile signore, abbiate pietà di me. Siete la mia unica speranza. Non posso affrontare nella solitudine l'eternità”.

Infine Martin riuscì a parlare.

Disse in fretta: — Chi sei? Stai parlando proprio con me?

“Sto parlando proprio con voi” disse la sfera. “Vi ascolto nella mia mente e vi parlo dalla mia mente. Le parole che voi pronunciate non significano niente per me. Non posso udire alcun suono. Un tempo avevo il senso dell'udito, ma l'ho perduto molto tempo fa”.

— Ma che cosa sei?

“È una storia lunga. Basterà dire che sono un antico manufatto di una razza misteriosa di cui non sopravvivono tracce”.

Questo maledetto aggeggio mente, pensò Martin.

La sfera protestò: “Non mento. Perché dovrei mentire a voi, che siete il mio salvatore”?

— Non ho detto che mentivi. Non ho detto neppure una parola.

“Avete formulato il pensiero nella vostra testa. Pensavo che fosse indirizzato a me”.

— Mio Dio! — esclamò Martin. — Tu mi leggi nella mente. Puoi leggere nella mente di qualsiasi persona?

“È la mia maniera di conversare” disse la sfera. “E, certo, posso leggere nella mente di ogni creatura pensante che sia abbastanza vicina”.

— Benissimo — disse Martin. — Benissimo.

Fece un passo avanti e staccò la sfera dalla parete; sul terriccio rimase la sua impronta. La sfera dava un senso di solidità, ma non era pesante. La tenne sul palmo per un momento, poi la posò sul fondo del canalone e si sedette.

“Gentile signore” chiese la sfera “intendete tenermi”?

— Sì, penso che ti terrò con me.

“Non ve ne pentirete mai” disse la sfera. “Sarò il vostro migliore amico, sarò…”

— Lasciamo perdere, per il momento — disse Martin. — Ne parleremo più tardi.

Raccolse la sfera e ritornò verso la sua vettura. “Dove andiamo, signore”?

— Ti porto nella mia auto — disse Martin. — Ti lascio lì dentro. Ho alcune cose da fare. Aspettami nella macchina. Ritorno più tardi.

“Ritornate davvero? Gentile amico, mi promettete di ritornare”?

— Te lo prometto — disse Martin.

Portò la sfera nella vettura e si allontanò, diretto verso la sorgente del canalone, finché non ebbe raggiunto un punto abbastanza lontano da quello dove aveva trovato la sfera. Qui, si disse, convinto e soddisfatto, non riuscirà a leggermi nella mente. Aveva in testa un'idea, e voleva pensarci da solo.

Il fatto era abbastanza strano, si disse. Doveva esserci il modo di guadagnarci qualcosa. Usata nel modo giusto, quella sfera poteva assicurargli una vita migliore, in quel mondo abbandonato da Dio. Valutò rapidamente alcune possibilità. Esaminò un'idea dopo l'altra. Nella sfera c'erano molte promesse, e lui doveva pensare bene al suo impiego.