Boone si avviò lentamente lungo la porta-passerella; quando fu giunto in fondo, scese sul prato. Dietro di lui, Corcoran si era fermato a guardare la scena, e girava la testa prima da una parte e poi dall'altra per godersela tutta.
Intanto erano uscite dalla casa varie altre persone. Si erano fermate sugli ampi scalini di pietra dell'edificio, senza scendere sul prato, e guardavano i nuovi venuti.
L'uomo col fucile, ancora affiancato dal cane e dal mostro, si fermò a una decina di metri da Boone e disse: — Benvenuti a Hopkins Acre.
— Allora, Hopkins Acre è questo?
— Ne avete sentito parlare?
— Qualche giorno fa — disse Boone. — Per essere esatti, l'altro ieri.
— E che cosa ne sapete?
Boone alzò le spalle. — Non molto, anzi, proprio niente. Semplicemente, qualcuno cercava informazioni su questo posto.
— Io mi chiamo David — disse l'uomo. — Questo grottesco alieno si chiama Spike. Sono contento del vostro arrivo. Horace non è il tipo di tecnico a cui affiderei la mia vita. È un po' approssimativo.
— Horace è l'uomo con cui abbiamo parlato?
David annuì. — Sono mesi che cerca di mettersi in contatto con Martin. Quando si è acceso l'allarme sul nostro pannello, questa mattina, ha pensato che Martin volesse mettersi in comunicazione con lui.
Corcoran scese dalla passerella e si mise a fianco di Boone. — Mi chiamo Corcoran. E il mio amico si chiama Boone. Entrambi siamo curiosi di sapere cosa ci è successo. Mi chiedo se potete spiegarcelo.
— Per curiosi che siate, sarete sempre meno curiosi di noi — disse David. — Andiamo tutti in casa a parlare. Credo che Nora servirà presto in tavola. Potremmo bere un bicchiere prima di sederci a mangiare.
— Mi pare un'ottima idea — gli disse Boone.
4. Shropshire: 1745
— La cosa più importante che vi devo fare presente — li avvertì Horace — è che non potrete mai lasciare questo luogo. Se ci fosse la pur minima possibilità di andarvene, saremmo costretti a uccidervi.
— Horace è sempre così terribile — disse Enid. — Non ha la minima grazia. È come un martello. Picchia mazzate su tutto e tutti. Poteva dire che era spiacente, ma che non potete andarvene, assicurandovi però che è comunque lieto del vostro arrivo.
— Non so se essere lieto del loro arrivo — disse Horace. — È solo un'ulteriore indicazione che le cose ci stanno sfuggendo di mano. Martin e Stella spariti senza lasciare tracce, la storia che ci ha raccontato il Fantasma. …
— Henry! — lo interruppe Enid. — Si chiama Henry, non «Fantasma»!
— … La storia che ci ha raccontato Henry ieri sera, di qualcuno che curiosa intorno a Hopkins Acre, poiché sente qualcosa di strano e cerca di capire cos'è. Ve lo dirò io che cosa succede: ci hanno quasi trovati. E adesso arrivano questi due da New York, con una spiegazione non del tutto soddisfacente del loro uso del viaggiatore di Martin, e con i loro accenni a Hopkins Acre.
— Siamo rimasti troppo tempo in questo luogo — disse Emma in tono lamentoso. — Dovevamo far perdere le nostre tracce recandoci in qualche altro posto. Nessuno, io credo, deve stare nello stesso punto per un secolo e mezzo.
— Il trasferimento comportava un altro tipo di rischi — disse Horace. — Occorreva far venire i tecnici capaci di organizzare questo tipo di operazioni. E poi, per prima cosa, occorreva cercare il posto dove strasferirci. La ricerca potevamo farla noi, ma, senza assistenza da parte di altri gruppi, non si poteva fare il trasloco. Non abbiamo le conoscenze necessarie.
— Avevo la convinzione — disse David, con cattiveria — che tu fossi in grado di fare qualsiasi lavoro senza aiuto.
Horace sollevò le spalle come un toro imbizzarrito.
— Smettetela — disse Timothy, con la sua voce pacata. — Smettetela, tutti e due. Invece di discutere tra di noi, dovremmo cercare di spiegare la situazione a questi ospiti.
— Me lo auguro di cuore — disse Corcoran. — Ci avete detto che non possiamo andarcene, ma adesso veniamo a sapere che David… è David, vero, che lo fa?
— Sì — disse David. — Io. Di tanto in tanto lascio Hopkins Acre. Ma di solito vado a Londra o a Parigi. Sono andato una volta sola a New York.
— E avete detto che deve arrivare qualcuno da Atene. Quindi, c'è gente che va e viene.
— La gente che va e viene, come dite voi — disse Timothy, — si serve dei veicoli che noi chiamiamo “viaggiatori”. Il viaggiatore in cui abitava Martin vi ha portato qui da New York, ma la cosa non è così semplice.
— Io ho semplicemente premuto dei pulsanti — disse Corcoran.
— Potevate continuare a premere pulsanti senza riuscire a far muovere il viaggiatore. Ciò che avete fatto, è stato premere certi pulsanti in un certo ordine, che hanno messo il viaggiatore sotto il controllo del quadro di comando di questa casa. Una volta fatto questo, Horace ha potuto mettere in funzione il viaggiatore di Martin.
— Volete dire che soltanto determinate persone possono farlo funzionare?
— Il fatto è — disse Horace — che siete all'interno di una bolla temporale… definizione molto semplicistica, ovviamente… attraverso la quale non può passare nessuno, nemmeno noi. L'unico modo di passare è servirsi di un viaggiatore. Rimasero tutti in silenzio per un momento.
— Dimenticavo una cosa — disse Horace. — Il Fantasma è l'unico che può passare senza assistenza, ma lui è un caso speciale.
— Si chiama Henry — gli ricordò Enid. — Henry, e non Fantasma.
— Mi sembra — disse Boone — che dobbiamo accettare, con tutta la tranquillità di cui siamo capaci, quello che avete detto. Siamo qui, a quanto pare, e non possiamo andarcene. In tutta la faccenda ci sono molte cose che non capisco. Avrei un mucchio di domande da fare, ma suppongo che in seguito avremo tempo per parlare di tutto.
— Lieto che vediate le cose in questo modo — disse Timothy. — Anche noi subiamo certe restrizioni, e non possiamo ignorarle. Speriamo che non sorgano attriti nella nostra vita in comune.
— Ho ancora una domanda — disse Boone — e mi sembra troppo importante per attendere. Chi siete?
— Siamo dei profughi — disse David. — Dei rifugiati che si nascondono nelle pieghe del tempo.
— Non è vero! — esclamò Horace. — Continui a dire che siamo dei rifugiati. Siamo dei rivoluzionari, dico invece io! E un giorno faremo ritorno.
Enid disse a Boone: — Non date retta a questi due. Sono sempre pronti a saltarsi alla gola. La vostra domanda, ne sono certa, riguardava l'epoca da cui proveniamo. Siamo persone che un tempo vivevano nel futuro, a un milione di anni da oggi. Veniamo dal vostro lontanissimo futuro.
Da dietro la porta che dava sulla sala da pranzo, giunse la voce di Nora: — Il pranzo è servito.
Il pranzo fu assai gradevole e civile, e non ci furono polemiche. David parlò dei giorni da lui trascorsi nella New York del ventesimo secolo e chiese a Boone e Corcoran informazioni sulla città. Timothy parlò di alcuni libri che aveva letto recentemente. Enid parlò poco. Emma rimase in dolce silenzio. Anche Horace rimase in silenzio, con i gomiti piantati sul tavolo, perso nelle proprie elucubrazioni. Alla fine si decise a parlare: — Mi domando che cosa è successo a Gahan. Dovrebbe già essere arrivato.
— Gahan viene da Atene — disse Emma. — Viene per portare a Timothy un nuovo libro.
— Noi parliamo sempre di Atene — spiegò Timothy. — Ma in realtà non sono ad Atene, anche se son lì vicino.
— Abbiamo anche un piccolo gruppo nel Pleistocene — disse David. — Nella Francia meridionale. All'inizio dell'ultima glaciazione.