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In quel mondo immerso nel buio doveva esserci qualcosa che esercitava ancora un richiamo. Era un mondo in cui era morta la speranza, e forse era proprio la speranza, la cosa su cui fare leva. Non si poteva promettere ricchezze alla gente. La speranza di ricchezza era una speranza vuota, e tutti lo sapevano: in quel mondo non c'erano ricchezze da dare. Ma la speranza in se stessa… la pura e incontaminata speranza… poteva essere qualcosa di diverso. Bastava trovare il modo di dare a quella gente la speranza, e la gente avrebbe abboccato. Sarebbe accorsa a frotte, per averne una briciola. Ma doveva essere qualcosa di più che una semplice speranza a parole. Doveva riuscire a scatenare urla e fanatismo.

Pensò a come si potesse utilizzare il fanatismo, ma non riuscì a trovare la soluzione. Si mise a camminare avanti e indietro, pensando alla speranza e al fanatismo, e a quel che avrebbe potuto guadagnare diffondendo una fede fanatica. Una vita più comoda, forse, ma non certo le ricchezze. O forse avrebbe potuto guadagnare posizione e potere. E un uomo abile, una volta ottenuti posizione e potere, poteva arrivare da qualsiasi parte.

Continuò a pensare a questa idea e al mistero di quel manufatto antichissimo, anche se aveva i suoi dubbi sull'effettiva antichità della sfera.

Una nuova religione poteva essere la sua carta vincente. Sì… una nuova religione! Un nuovo messia e un antichissimo manufatto, che si mostravano avvolti in una sacra veste di mistero.

Si sedette su un sasso e continuò a riflettere. Occorreva iniziare in modo sommesso, senza grandi clamori, senza imbonimenti da circo. Una partenza umile e limitata, facendosi pubblicità a voce, da una persona all'altra.

E per dare inizio alla sua crociata, doveva dire alla gente quello che la gente voleva sentirsi dire. Doveva gradualmente trovare ciò che desiderava, e poi darglielo.

Rimaneva un ultimo problema: che cos'era la sfera? Non certo l'antico manufatto di una razza dimenticata, come gli aveva detto. Anche se la cosa, vera o no, poteva venirgli utile nella crociata religiosa che aveva in mente. Cercò di immaginare la possibile origine della sfera e scartò una dopo l'altra varie possibilità. Infine si disse che era una perdita di tempo. Non aveva bisogno di sapere che cos'era veramente la sfera. Poteva usarla senza saperlo.

Tornò a pensare al suo progetto di una religione della speranza, e ne esaminò ogni aspetto, per individuare possibili ostacoli. Non ne trovò nessuno che non si potesse superare. In fin dei conti, un popolo privo di speranza non avrebbe fatto troppe domande, nel vedersela offrire. Avrebbero accolto immediatamente «la promessa di una futura salvezza, avrebbero gridato per averne ancora. Era un piano a prova di errore, se veniva gestito nel modo corretto. Occorreva ancora studiare i particolari, ma non vedeva grandi problemi. Il piano era buono, e lui era la persona adatta per realizzarlo.

Si diresse verso la vettura. Era rimasto nel canalone più del previsto. Il sole era quasi al tramonto.

“Siete ritornato!” gridò gioiosamente la sfera, nella sua testa. “Avevo paura di non vedervi più. Ho molto sofferto al pensiero di perdervi”.

— Non c'era bisogno che soffrissi — disse Martin. — Sono qui.

Controllò la batteria e vide che era carica al massimo della capacità. Posò la sfera sul pavimento della vettura e si sedette al posto del guidatore.

— Una sola domanda — chiese alla sfera. — Come sono i tuoi principi? Hai delle riserve morali?

“Che cosa vuol dire 'morali'?” domandò la sfera. “Spiegatemi il significato della parola”.

— Lascia perdere — disse Martin. — Non c'è problema. Faremo una bella coppia.

Girò la vettura e ritornò sulla strada principale.

18. Muso di Cavallo

Muso di Cavallo sedeva comodamente a un tavolo posto davanti a un edificio cubico, che adesso era privo di robot e di attrezzature da cucina. Accanto a lui galleggiava la rete su cui era posato il baule contenente la carta della galassia. Il visore che Enid aveva creduto di rubare era appoggiato al tavolo, a portata di mano. La vettura tramviaria era ferma sui binari, in attesa di nuovi passeggeri che forse non sarebbero mai giunti. Tutt'intorno si stendeva la grigia nebbia della Strada dell'Eternità.

Come gli era già successo infinite volte in precedenza, Muso di Cavallo pensava alla natura della Strada. Finora le sue meditazioni non erano approdate a niente, e aveva l'impressione che le cose non sarebbero cambiate in futuro. Si chiedeva chi avesse costruito quell'interminabile corsia stradale, sfasata rispetto al tempo normale. Ne aveva sentito parlare per la prima volta molto tempo prima, in un luogo assai lontano, e chi gliene aveva parlato era una creatura incredibile che pareva farsi beffe di tutte le normali leggi della vita. Era stato questo essere incredibile a chiamarla Strada dell'Eternità, ma quando lui gli aveva chiesto perché si chiamasse così, non aveva avuto risposta.

— Non cercarla — gli aveva detto la creatura paradossale. — È impossibile trovarla con la ricerca. Bisogna inciamparci dentro.

Muso di Cavallo era inciampato in essa millenni prima, e, curiosamente, aveva scoperto che era rappresentata nell'antica carta galattica. Ma era certo che non era stata la sua razza a costruirla, anche se la conosceva.

Quando era incappato nella Strada aveva pensato che quello poteva essere un buon posto per riflettere sui suoi futuri progetti. Aveva installato laggiù l'edificio cubico con i tavolini e le seggiole, e ne aveva affidato la cura al robot. I binari c'erano già; lui si era limitato a portare la vettura e a installare il segnale che lo avvertiva dell'arrivo di qualche forestiero in quella sezione della Strada.

Per molti secoli non era successo niente. Poi, solo pochi anni prima, il segnale si era messo a suonare quando Boone era passato per la prima volta “dietro l'angolo”. Quello strano avvenimento gli aveva fornito una possibile chiave per risolvere il problema rappresentato dagli umani di Hopkins Acre.

Aveva nutrito delle speranze fin dall'inizio, ma si era convinto soltanto quando Boone era comparso per la seconda volta. Questo gli aveva fatto capire che si era sviluppato un nuovo talento in una razza che non lo possedeva fino a quel momento. Il talento in se stesso era meno importante del fatto che quella razza potesse sviluppare segretamente nuove capacità che costituivano per essa un'evoluzione. Quando Muso di Cavallo aveva compreso questo, Boone era diventato importante per il suo progetto.

E quel progetto, si disse Muso di Cavallo, era finalmente in corso di attuazione, ed era partito meglio di quanto lui sperasse. Ciò che gli rimaneva da fare, adesso, era attendere per qualche anno, tenendoli strettamente d'occhio, per accertarsi che non si verificassero tendenze negative, ma per questa parte del suo lavoro poteva contare su due aiutanti. Spike e il Cappello potevano esser accettati dalla famiglia, come era già successo per Spike in passato.

Muso di Cavallo rise, pensando a questo. Il Centro Galattico riteneva che Spike fosse il suo agente segreto, e lo aveva inserito nella famiglia quando era partita per il passato, per sfuggire agli Infiniti. Grazie ai rapporti di Spike, Muso di Cavallo si era poi ulteriormente convinto dell'importanza di quel gruppo di umani.

Naturalmente, non aveva alcuna certezza che il progetto potesse avere un esito positivo. Il progetto poteva incontrare un insuccesso, come gli era accaduto molte volte nel passato. L'intelligenza, a quanto pareva, non aveva molte possibilità di svilupparsi fino a raggiungere il suo potenziale più alto. In secoli di lavoro, aveva cercato di aiutare varie altre razze, ma nessuna aveva avuto successo. Ma anche altre razze, diverse da quelle che lui aveva aiutato, erano andate incontro all'insuccesso. Il Popolo dell'Arcobaleno costituiva un insuccesso perché aveva perso tutti i valori originari, reprimendo le sue emozioni finché queste emozioni si erano inaridite. Gli Infiniti si erano perduti a causa della loro crociata fanatica. Anche il popolo di Muso di Cavallo era andato incontro all'insuccesso; la sua ricerca dell'immortalità lo aveva portato a sacrificare la fertilità razziale, e lui era l'ultimo membro della sua razza ancora in vita.