Martin ce l'aveva fatta. Aveva il potere che desiderava, e nessuno che glielo contestasse. Era imprigionato entro la propria autoglorificazione. Eppure, si disse Muso di Cavallo, lui avrebbe continuato a controllarlo.
C'era ancora un lavoro da fare. Forse non era necessario, ma onestamente non poteva esimersi. Ora il visore mostrò il lontano futuro, dove una nube di scintille riposava all'esile ombra di un albero antichissimo, mentre il mondo ruotava intorno a un sole dilatato, rosso e morente.
Quando Muso di Cavallo si avvicinò alla rete, il Cappello si destò e si rizzò a sedere.
“Cosa fai?” domandò.
— Riporto Henry in famiglia — gli disse Muso di Cavallo. — Non so cosa ne pensa lui, ma il resto della famiglia sarà lieto di vederlo. Vuoi venire?
Il Cappello scosse la testa. “Ti ho pescato ancora una volta” disse a Muso di Cavallo. “A interferire. Sempre il solito ficcanaso”.
La rete scomparve e il Cappèllo si afflosciò sul tavolo come un giocattolo snervato, ammaccato e trattato con malagrazia.