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— Neanderthal — disse Boone.

— Sì, alcuni. Primi Neanderthal.

— Quello che non capisco — disse Horace, sempre preso dalle sue preoccupazioni — è perché Martin se ne sia andato così in fretta. E anche Stella. A quanto pare aveva un piccolo viaggiatore in un deposito, e lo ha usato per allontanarsi, ma prima ha avvertito Stella di recarsi da lui. Avrebbe dovuto usare il viaggiatore che teneva nella sua residenza, ma non l'ha fatto. Si è lasciato prendere dal panico, quello sciocco. Si è spaventato ed è scappato via.

— Aveva paura di cadere in una trappola, usando quello dell'albergo — disse Enid. — Mi sembra chiaro. Forse non si fidava di Corcoran.

— Non aveva nessun motivo di fidarsi — disse David. — Stando alle sue stesse ammissioni Corcoran aveva incaricato i suoi uomini di sorvegliare Martin e Stella. Non potevano fare un passo senza essere controllati.

— Ha acquistato la mia lealtà e l'ha pagata bene — disse Corcoran. — Io lavoro onestamente per i clienti che pagano la mia onestà. Mai, nella mia carriera, ho fatto il doppio gioco con un cliente.

— Ma in questo caso non vi siete fidato di lui — disse David.

— Non mi sono fidato, no. E lui non mi ha dato nessun motivo di fidarmi. L'ho sorvegliato: non per danneggiarlo, ma per essere certo che non intendesse danneggiare me. Era un uomo straordinariamente incline alla segretezza. Un individuo sfuggente come un'anguilla.

— Probabilmente aveva saputo che intendevano demolire l'albergo — disse Horace. — Certo avranno avvisato gli inquilini. Ma lasciare laggiù il viaggiatore residenziale, pur sapendo della demolizione, col rischio di rivelarne la presenza, è un atto imperdonabile.

— Forse non era stato informato della demolizione — disse Corcoran. — Gli inquilini sono stati avvertiti soltanto allo scadere dei termini di legge per lo sfratto. E l'intenzione di demolire l'edificio non è stata comunicata al pubblico. Hanno fatto le cose in silenzio. Martin era già scomparso da tempo, quando lo sono venuto a sapere io. E vi garantisco che di solito non mi sfugge niente di quello che succede in giro.

— Allora — disse David — può darsi che sia partito per qualche rapida missione, pensando di essere presto di ritorno. Questo darebbe la spiegazione del fatto per il quale non si è servito del viaggiatore residenziale.

Horace si rivolse a Boone, con irritazione: — Non mi avete ancora spiegato come siete entrati nel viaggiatore. Non vi chiedo come siete riusciti a vederlo; questo posso capirlo.

— Vi ho detto quello che so — disse Boone. — Ho fatto il giro di un angolo. Non so dirvi altro. Non capisco neanch'io come riesco a farlo. So soltanto che per farlo devo essere sotto stress.

— Che razza di spiegazione — disse Horace. — Un uomo sa sempre quello che fa.

— Spiacente — disse Boone. — Non posso darvi altro aiuto.

— E poiché siamo arrivati ai dettagli — disse Corcoran, saltando di palo in frasca — spiegatemi cos'erano le parole incomprensibili che avete detto quando mi sono messo in contatto con voi. Che significavano?

— Posso rispondere io — disse Timothy. — Come capirete, cerchiamo di conservare la massima segretezza, anche a costo di dare l'impressione di voler giocare ai romanzi di cappa e spada. Noi pensiamo che non sia possibile inserirsi nelle nostre comunicazioni, ma i nostri nemici sono molto potenti, e intelligentissimi. Non sappiamo quali precauzioni siano necessarie per la nostra sicurezza; non abbiamo modo di saperlo. Perciò, quando parliamo tra di noi mediante il nostro sistema di comunicazione, usiamo una lingua molto antica, il dialetto di un piccolo e oscuro grappo di esseri umani. Con questo metodo speriamo che anche nel caso di intercettazione delle comunicazioni, l'ascoltatore non riesca a decifrare le parole.

— Questa — disse Boone — è l'organizzazione più assurda che abbia mai incontrato…

— Voi non sapete tutto — disse Timothy. — Voi non conoscete gli Infiniti. Se li conosceste…

Dalla cucina giunse un grido acuto. Timothy ed Emina si alzarono dalla sedia, di scatto. Nora, ancora urlante, comparve sulla soglia della cucina. La cuffia che portava sulla testa era tutta storta; con le mani, si tormentava il grembiule legato alla vita.

— Visitatori! — strillò. — Ci sono dei visitatori. E c'è qualcosa che non va. Il viaggiatore è atterrato nell'aiola e si è rovesciato!

Si udirono cigolare le seggiole e tutti si lanciarono vero la cucina, per raggiungere la porta di servizio.

Corcoran guardò Boone. — Che sia quel tizio di Atene?

— Penso di sì — disse Boone. — Meglio andare a vedere.

Si fermarono sugli scalini della cucina e osservarono la scena che si svolgeva davanti a loro. Nell'aiola si vedeva un ampio solco, scavato da un oggetto rettangolare, alto quattro metri, largo due, con la parte anteriore piantata nel terreno.

David, Horace, Enid e Timothy spingevano e tiravano per muoverlo. Emma stava da una parte e si lamentava ad alta voce.

— Dovremmo dar loro una mano — disse Corcoran.

Lui e Boone si avviarono lungo il prato.

— Horace ansimava. — Cosa intendete fare? — gli domandò Boone.

— Liberarlo dal terreno — ansimò Horace. — Rimetterlo diritto.

Con l'aiuto dei due uomini, l'apparecchio venne sollevato e appoggiato sul terreno.

Horace e David si diressero verso una sorta di pannello, posto sul fianco dell'oggetto. Lentamente, il pannello si spalancò. David entrò nell'apertura, penetrando a fatica; poi indietreggiò.

— Datemi una mano — gridò — Ho preso Gahan.

Horace entrò al suo fianco, e cercò qualcosa a cui appoggiarsi; poi indietreggiò lentamente con lui, trascinando una figura umana priva di sènsi. La trascinarono su un'aiola coperta d'erba.

Gahan non si muoveva. Era disteso sulla schiena e perdeva sangue dalla bocca. Un braccio sembrava rotto; il petto era sporco di sangue. Horace si inginocchiò accanto a lui, e gli sollevò la testa. Gahan aprì gli occhi e cercò di dire qualcosa, ma dalle labbra uscì soltanto un gorgoglio.

Enid corse verso il gruppetto e si inginocchiò accanto a Gahan. — Va tutto bene, Gahan. Sei al sicuro. Sei a Hopkins Acre…

— Che cosa è successo? — strillò Emma.

Dalla bocca di Gahan uscì un fiotto di sangue, accompagnato da una breve frase: — È finita… — Poi il sangue lo soffocò.

— Che cosa è finita, Gahan? Che cosa?

Il morente si sforzò di parlare, e infine disse: — Atene. — Nient'altro.

Timothy disse: — Meglio portarlo in casa. È ferito gravemente.

— Che cosa sarà successo? — gridò Emma.

— È precipitato, maledizione — disse David. — Ferito, e ha perso il controllo del viaggiatore.

Il ferito si agitò: voleva parlare. Horace gli sollevò la testa. Enid cercò di pulirgli le labbra con un fazzoletto, ma riuscì soltanto a spargere il sangue sul resto della faccia.

— Atene — bisbigliò Gahan, semisoffocato dal sangue. — La base… distrutta…

Ricadde tra le braccia di Horace. Boone si chinò su di lui attentamente e gli tastò il collo, per sentire le pulsazioni cardiache. Poi si rialzò.

— Quest'uomo è morto — disse.

Con rispetto, Horace adagiò la testa di Gahan sull'erba. Si alzò lentamente in piedi, in mezzo a un mortale silenzio. Tutti si fissavano senza capire.

Timothy disse a Boone: — Non possiamo lasciarlo qui. Aiutatemi a trasportarlo. — Dobbiamo seppellirlo — disse Emma. — Dobbiamo scavare una fossa.

— Dobbiamo parlare — disse Horace. — Prima di tutto, dobbiamo discutere la cosa.

— Dove lo mettiamo? — Timothy domandò a Emma.

— Una camera da letto — disse Emma. — Sopra. La stanza in fondo a destra. Non possiamo metterlo nel soggiorno. Il sangue può rovinare il mobilio.