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Philip K. Dick

La svastica sul sole

A mia moglie Anne, perché senza il suo silenzio questo libro non sarebbe mai stato scritto

RINGRAZIAMENTI

La versione dell’I Ching, o Il Libro dei Mutamenti, che viene utilizzata e citata in questo romanzo, è quella a cura di Richard Wilhelm, tradotta in inglese da Cary F. Baynes, pubblicata da Pantheon Books, Bollingen Series xix, 1950, per la Bollingen Foundation Inc., New York.

Lo haiku nel capitolo 3 è di Yosa Buson, tradotto da Harold G. Henderson e tratto dal volume Anthology of Japanese Literature, volume primo, compilato e curato da Donald Keene (New York, Grove Press, 1955).

Il waka nel capitolo 9 è di Chiyo, con la traduzione di Daisetz T. Suzuki, ed è tratto dal volume Zen and the Japanese Culture, a cura dello stesso Suzuki, pubblicato da Pantheon Books, Bollingen Series lxiv, 1959, per la Bollingen Foundation Inc., New York.

Mi sono servito in particolare dei seguenti testi: The Rise and Fall of the Third Reich, A History of the Nazi Germany di William L. Shirer (New York, Simon Schuster, 1960); Hitler, A Study in Tyranny di Alan Bullock (New York, Harper, 1953); The Goebbels Diaries, 1942-1943, con traduzione e cura di Louis P. Lochner (New York, Doubleday Company, 1948); The Tibetan Book of the Dead a cura di W. Y. Evans-Wentz (New York, Oxford University Press, I960); The Foxes of the Desert di Paul Carell (New York, E. P. Dutton Company, 1961). Devo infine un personale ringraziamento al famoso scrittore di western Will Cook per il suo aiuto circa il materiale relativo ai manufatti storici e al periodo pionieristico degli Stati Uniti.

CAPITOLO PRIMO

Da una settimana il signor R. Childan teneva d’occhio ansiosamente la posta. Ma il prezioso pacchetto inviato dagli Stati delle Montagne Rocciose non era ancora arrivato. Il venerdì mattina, quando aprì il negozio e vide sul pavimento solo lettere pensò: il mio cliente si infurierà.

Si versò una tazza di tè istantaneo dal distributore a parete da cinque centesimi, poi prese una scopa e cominciò a spazzare; ben presto l’ingresso venne ripulito e il negozio Manufatti Artistici Americani, tutto tirato a lucido, era pronto per una nuova giornata, con il registratore di cassa pieno di spiccioli, un vaso di calendule fresche e la radio che suonava musica in sottofondo. All’esterno gli uomini d’affari percorrevano veloci il marciapiede diretti verso i loro uffici di Montgomery Street. In lontananza passò un tram a funicolare; Childan si soffermò a guardarlo con vivo compiacimento. Donne nei loro lunghi abiti di seta colorata… rimase a guardare anche loro. Poi il telefono suonò e Childan si voltò per rispondere.

«Sì,» disse una voce familiare appena sollevò il ricevitore. Il cuore di Childan ebbe un sussulto. «Qui parla il signor Tagomi. Non è ancora arrivato il mio bando di reclutamento della Guerra Civile, signore? La prego di ricordare, me lo aveva promesso circa una settimana fa.» La voce brusca, risentita, sfiorava i limiti della buona educazione e delle regole di cortesia. «Non le ho forse dato un anticipo, signor Childan, signore, quando abbiamo concluso l’accordo? Questo deve essere un regalo, capisce? Gliel’ho spiegato. Un regalo per un cliente.»

«Ho effettuato delle ricerche accurate sull’oggetto che le avevo promesso, signor Tagomi, signore. A mie spese,» cominciò Childan. «Infatti come lei ben sa, non è originano di questa regione e perciò…»

Ma Tagomi lo interruppe: «Quindi non è arrivato.»

«No, signor Tagomi, signore.»

Una pausa gelida.

«Non posso aspettare ulteriormente,» disse Tagomi.

«No, signore.» Childan guardò stupidamente, oltre la vetrina del negozio, la giornata calda e luminosa e i palazzi di San Francisco.

«Allora mi trovi qualcosa che lo sostituisca. Che cosa suggerisce, signor Childàn?» Tagomi storpiò volutamente il suo nome; un insulto all’interno delle regole di buona educazione che fece avvampare le orecchie di Childan. L’arroganza del vincitore, la spaventosa mortificazione della loro situazione. Le aspirazioni, le paure e i tormenti di Robert Childan esplosero e lo travolsero, bloccandogli la lingua. Balbettò qualcosa, con la mano tesa sul telefono. Il negozio profumava di calendule, la musica continuava a suonare, ma lui aveva la sensazione di sprofondare in qualche mare lontano.

«Ecco…» riuscì a farfugliare. «Una zangola per il burro. Una gelatiera del 1900 circa.» Il suo cervello si rifiutava di pensare. Proprio quando te ne dimentichi; proprio quando ti prendi in giro da solo. Aveva trentotto anni e ricordava i giorni prima della guerra. Altri tempi. Franklin D. Roosevelt e l’Esposizione Mondiale; il vecchio mondo migliore. «Potrei portarle in ufficio qualche esemplare interessante?» mormorò.

Si accordarono per le due del pomeriggio. Dovrò chiudere il negozio, si rese conto Childan mentre riappendeva il telefono. Non c’è scelta. Clienti così devo tenermeli buoni; gli affari dipendono da loro.

Sentendosi un po’ malfermo sulle gambe, si accorse che qualcuno era entrato nel negozio: una giovane coppia, un ragazzo e una ragazza, attraenti e ben vestiti. Una coppia ideale. Childan si calmò e si diresse in modo deciso e professionale verso di loro, sorridendo. Si erano chinati per osservare una vetrina accanto alla cassa e avevano preso un magnifico posacenere. Sposati, si disse. Vivono nella Città delle Nebbie Serpeggianti, la nuova esclusiva zona residenziale di Skyline, con vista su Belmont.

«Salve,» disse, e si sentì meglio. I due gli sorrisero con gentilezza, senza la minima aria di superiorità. I suoi oggetti, che erano davvero i migliori del genere in tutta la Costa, li avevano un po’ spaventati; lui se ne accorse e gliene fu grato. Loro capirono.

«Degli esemplari davvero magnifici, signore,» disse il giovane.

Childan si inchinò spontaneamente.

I loro occhi, caldi non solo di umanità ma della gioia condivisa per gli oggetti d’arte che lui vendeva, dei loro gusti e soddisfazioni reciproche, si fissarono su di lui; lo stavano ringraziando perché possedeva cose come quelle, che loro potevano vedere, prendere in mano ed esaminare, magari senza nemmeno acquistarle. , pensò, loro sanno in che tipo di negozio si trovano; qui non c’è paccottiglia per turisti, niente targhe di legno rosso con la scritta muir woods, marin county, s.a.p., strani cartelli, anelli da ragazzina, cartoline o vedute del Ponte. Soprattutto gli occhi della ragazza, grandi, scuri. Basterebbe poco, pensò Childan, per innamorarmi di una ragazza del genere. E come sarebbe tragica la mia vita, allora; come se non lo fosse già abbastanza. Capelli neri ben pettinati, unghie laccate, orecchie forate da cui pendevano lunghi orecchini di ottone fatti a mano.

«I suoi orecchini,» mormorò Childan. «Li ha forse acquistati qui?»

«No,» rispose lei. «In patria.»

Childan annuì. Niente arte contemporanea americana; solo il passato poteva essere rappresentato lì, in un negozio del genere. «Avete intenzione di trattenervi a lungo?» le domandò. «Nella nostra San Francisco?»

«Io sono di stanza qui, a tempo indeterminato» rispose l’uomo. «Lavoro alla Commissione di Indagine per la Pianificazione del Livello di Vita nelle Zone Sinistrate.» Il suo volto tradiva un certo orgoglio. Ma non era un militare. Uno di quegli zotici in divisa che masticavano gomma, con le loro facce avide da contadino, che se ne andavano a zonzo per Market Street guardando a bocca aperta gli spettacoli osceni, i film erotici, il tiro a segno, i locali notturni da quattro soldi con fotografie di biondone di mezza età che si stringevano i capezzoli fra le dita rugose e rivolgevano sorrisi lascivi al passante… i quartieri più malfamati che costituivano gran parte della zona pianeggiante di San Francisco, baracche di lamiera e di legno che erano già spuntate dalle rovine ancor prima che cadesse l’ultima bomba. No… quell’uomo faceva parte dell’élite. Colto, educato, anche più del signor Tagomi, il quale era in fondo un alto funzionario addetto alla Missione Commerciale della Costa del Pacifico. Tagomi era un uomo anziano, e la sua mentalità si era formata ai tempi del Gabinetto di Guerra.