La loro visione; è cosmica. Non un uomo qua, un bambino là, ma un’astrazione: la razza, la terra. Volk. Land. Blut. Ehre [Popolo. Terra. Sangue. Onore]. Non l’onore degli uomini degni d’onore, ma l’Ehre stesso; per loro l’astratto è reale, e il reale è invisibile. Die Gute [Il bene], ma non gli uomini buoni, non quest’uomo buono. È il loro senso dello spazio e del tempo. Essi vedono attraverso il “qui” e “ora”, nell’enorme e nero abisso che c’è al di là, nell’immutabile. E questo è fatale alla vita. Perché alla fine non ci sarà più vita; una volta c’erano soltanto le particelle di polvere nello spazio, gli ardenti gas di idrogeno, e niente più, e così tornerà a essere. Questo è un intervallo, ein Augenblic [Un attimo]. Il processo cosmico procede a grandi passi, frantumando la vita e riducendola di nuovo a granito e metano; la ruota gira sempre, per tutta la vita. È tutto temporaneo. E loro — questi pazzi — rispondono al granito, alla polvere, al desiderio dell’inanimato; essi vogliono aiutare la Natur.
E io, pensò, so perché. Vogliono essere gli agenti, non le vittime, della storia. Si identificano con la potenza di Dio e credono di essere simili a dèi. Questa è la loro pazzia di fondo. Sono sopraffatti da qualche archetipo; il loro ego si è dilatato psicoticamente a tal punto che non sanno più dire dove essi cominciano e dove finisce la divinità. Non è hybris, non è orgoglio; è l’ego gonfiato a dismisura, fino all’estremo… la confusione tra colui che adora e colui che è adorato. L’uomo non ha divorato Dio; Dio ha divorato l’uomo.
Quello che non comprendono è l’impotenza dell’uomo. Io sono debole, pìccolo, senza la minima importanza per l’universo. L’universo non si accorge di me, e io vivo senza essere visto. Ma perché questo deve essere un male? Non è meglio così? Gli dèi distruggono coloro di cui si accorgono. Se sei piccolo potrai scampare alla gelosia di chi è grande.
Mentre si slacciava la cintura di sicurezza, Baynes disse: «Signor Lotze, non l’ho mai detto a nessuno. Io sono un ebreo. Capisce?»
Lotze lo fissò con aria di commiserazione.
«Lei non se ne sarebbe mai accorto,» riprese Baynes, «perché non ho affatto l’aspetto esteriore di un ebreo; mi sono fatto modificare il naso, ridurre i pori troppo larghi e untuosi, schiarire chimicamente il colore della pelle, alterare la conformazione del cranio. In breve, non è possibile individuarmi dal punto di vista fisico. Posso muovermi, e spesso l’ho fatto, all’interno dei circoli più importanti della società nazista. Nessuno mi scoprirà mai. E…» Fece una pausa, e si avvicinò a Lotze, parlando con voce così bassa che solo l’altro poteva sentirlo. «E ce ne sono altri, come me. Ha sentito? Noi non siamo morti. Viviamo ancora. Continuiamo a esistere senza essere visti.»
Dopo un attimo di esitazione, Lotze farfugliò: «Ma la polizia…»
«Il Dipartimento di Polizia può controllare il mio dossier,» disse Baynes. «Lei può anche denunciarmi, ma io ho amicizie molto in alto. Alcuni sono ariani, altri ebrei che occupano posti di rilievo a Berlino. La sua denuncia verrà archiviata, e subito dopo sarò io a denunciare lei. E per via di queste stesse amicizie, lei si ritroverà in custodia protettiva.» Sorrise, fece un cenno con la testa e percorse il corridoio per raggiungere gli altri passeggeri, allontanandosi da Lotze.
Tutti discesero la rampa e raggiunsero il campo freddo e ventoso. Al termine della discesa Baynes si ritrovò momentaneamente vicino a Lotze.
«In effetti,» disse Baynes, camminandogli accanto, «a me non piace il suo aspetto esteriore, signor Lotze, perciò credo che la denuncerò comunque.» Poi allungò il passo, lasciandosi alle spalle Lotze.
All’altra estremità del campo, molta gente attendeva di fronte all’ingresso dell’aerostazione. Parenti, amici dei passeggeri; chi alzava la mano in segno di saluto, chi cercava con lo sguardo, chi sorrideva, chi aveva un’espressione ansiosa, chi controllava. Un giapponese ben piantato, di mezza età, elegante nel suo cappotto inglese, con pantaloni aderenti e cappello a bombetta, si trovava un po’ più avanti degli altri, con un connazionale più giovane al suo fianco. All’occhiello del cappotto portava il distintivo dell’importante Missione Commerciale del Pacifico del Governo Imperiale. È lui, si rese conto Baynes. Il signor N. Tagomi, venuto ad accogliermi di persona.
Il giapponese fece un passo avanti e lo salutò. «Herr Baynes… buona sera.» Esitante, chinò appena la testa.
«Buona sera, signor Tagomi,» disse Baynes, porgendo la mano. Se la strinsero, poi si inchinarono entrambi. Anche il giapponese più giovane si inchinò, raggiante.
«Fa un po’ freddo, signore, in questo campo così esposto,» disse il signor Tagomi. «Useremo l’elicottero della Missione per tornare in città. Le va bene? O ha bisogno di darsi una rinfrescata, o cose del genere?» Osservò con molta attenzione il volto del signor Baynes.
«Possiamo partire subito,» disse Baynes. «Voglio raggiungere il mio albergo. Quanto al mio bagaglio…»
«Se ne occuperà il signor Kotomichi,» disse Tagomi. «Ci seguirà. Vede, signore, a questo terminal ci vuole quasi un’ora di coda per avere il bagaglio. Più di quanto sia durato il suo viaggio.»
Il signor Kotomichi sorrise amabilmente.
«Va bene,» disse Baynes.
«Signore, ho un regalo per lei,» disse Tagomi.
«Scusi?» fece Baynes.
«Per favorire un suo atteggiamento positivo nei nostri confronti.» Il signor Tagomi infilò una mano nella tasca del cappotto e ne estrasse una scatoletta. «Scelto fra i più raffinati objets d’art disponibili in America.» Gli porse la scatola.
«Bene,» disse Baynes. «Grazie.» Prese la scatola.
«Per tutto il pomeriggio diversi funzionari hanno esaminato ogni possibilità,» disse il signor Tagomi. «Questo è un esemplare autentico dell’antica civiltà americana, ormai in via di estinzione, un oggetto raro che ha ancora il sapore dei bei tempi andati.»
Baynes aprì la scatola. Dentro c’era un orologio da polso di Topolino sopra un’imbottitura di velluto nero.
Il signor Tagomi lo stava prendendo in giro? Baynes alzò gli occhi e fissò il volto teso, ansioso del signor Tagomi. No, non era uno scherzo. «La ringrazio molto,» disse Baynes. «È davvero incredibile.»
«In tutto il mondo sono rimasti pochissimi orologi autentici di Topolino del 1938, forse una decina,» disse il signor Tagomi studiando Baynes, e registrando avidamente ogni reazione, ogni commento positivo. «Nessun collezionista di mia conoscenza ne possiede uno, signore.»
Entrarono nel terminal dell’aerostazione e salirono insieme la rampa.
Alle loro spalle il signor Kotomichi disse: «Harusame ni nuretsutsu yane no temati kana…»
«Cosa significa?» domandò Baynes al signor Tagomi.
«È una vecchia poesia,» rispose il signor Tagomi. «Del Medio Periodo Tokugawa.»
Il signor Kotomichi tradusse: «Mentre cade la pioggia di primavera, se ne imbeve, sopra il tetto, la palla di stracci di un bambino.»