«Che cos’è la “storicità”?» chiese lei.
«È quando un oggetto ha la storia dentro di sé. Stammi a sentire. Uno di questi due Zippo era nella tasca di Franklin D. Roosevelt quando venne assassinato. E l’altro no. Uno ha storicità, anzi ne ha un sacco; più di quanta un oggetto ne abbia mai avuta. L’altro non ha niente. Riesci a sentirla?» Richiamò la sua attenzione. «No, non riesci. Non riesci a distinguere l’uno dall’altro. Non c’è nessuna “mistica presenza plasmatica”, nessuna “aura” che lo circonda.»
«Dai,» disse la ragazza, intimidita. «È proprio vero? Che aveva uno di questi con sé, quel giorno?»
«Certo. E io so qual è. Capisci il mio punto di vista? È tutto un grosso imbroglio; e sono loro a dettare le regole. Voglio dire, una pistola viene impiegata in una famosa battaglia, come quella di Meuse-Argonne, ma se non fosse stata usata sarebbe esattamente la stessa. A meno che tu non lo sappia. È tutto qui.» Si toccò la testa. «Nella mente, non nella pistola. Io sono stato un collezionista. Anzi è proprio per questo che adesso dirigo un’attività del genere. Collezionavo francobolli. Delle antiche colonie inglesi.»
Adesso la ragazza era davanti alla finestra, a braccia conserte, e fissava le luci del centro di San Francisco. «Mio padre e mia madre dicevano sempre che non avremmo perso la guerra se lui fosse vissuto,» disse.
«D’accordo,» riprese Wyndham-Matson. «Ora immagina che, diciamo lo scorso anno, il governo canadese o qualcun altro, chiunque altro, avesse scoperto le lastre da cui sono stati stampati alcuni vecchi francobolli. E l’inchiostro, e una provvista di…»
«Io credo che nessuno di quei due accendini sia appartenuto a Franklin Roosevelt,» disse la ragazza.
Wyndham-Matson ridacchiò. «È proprio questo il punto! Dovrei dimostrartelo con qualche documento. Una dichiarazione di autenticità. Perciò è tutto un falso, un’illusione di massa. È il documento che dimostra il valore dell’oggetto, non l’oggetto stesso!»
«Fammi vedere il documento.»
«Ma certo.» Si alzò con un balzo e tornò nello studio. Staccò dal muro il certificato incorniciato dello Smithsonian Institute; il documento e l’accendino gli erano costati una fortuna, ma ne era valsa la pena… perché gli consentivano di dimostrare che aveva ragione, che la parola “falso” non significava niente, dal momento che non significava niente neanche la parola “autentico”.
«Una Colt 44 è una Colt 44,» gridò alla ragazza mentre tornava velocemente in soggiorno. «E questo dipende dalle sue componenti, calibro, disegno, e non dall’età che ha. Dipende da…»
La ragazza allungò la mano. Lui le porse il documento.
«Così è autentico,» disse lei alla fine.
«Sì. È questo.» Prese l’accendino con un lungo graffio sul fianco.
«Credo sia ora che me ne vada,» disse la ragazza. «Ci rivediamo un’altra sera.» Posò il documento e l’accendino e si diresse verso la camera da letto, dov’erano i suoi vestiti.
«Perché?» le gridò lui tutto agitato, seguendola. «Lo sai che non c’è nessun pericolo; mia moglie tornerà solo fra qualche settimana… te l’ho già spiegato. Un distacco della retina.»
«Non è quello.»
«E allora che cosa?»
«Ti prego, chiamami un taxi,» disse Rita. «Mentre mi vesto.»
«Ti accompagnerò a casa io,» le disse, immusonito.
La ragazza si vestì e poi, mentre lui le andava a prendere il cappotto nell’armadio, si aggirò silenziosamente nell’appartamento. Sembrava assorta, chiusa in se stessa, anche un po’ depressa. Il passato rattrista la gente, pensò lui. Accidenti a me; perché ho tirato fuori quell’accendino? Che diavolo, in fondo è così giovane… pensavo che lo avesse appena sentito nominare.
Giunta davanti alla libreria, Rita si inginocchiò. «Lo hai letto?» gli domandò, estraendo un libro.
Miope com’era, lui dovette socchiudere gli occhi. Copertina da quattro soldi. Un romanzo. «No,» disse. «È di mia moglie. Lei legge molto.»
«Dovresti leggerlo.»
Sempre contrariato, lui prese il libro e gli diede un’occhiata. La cavalletta non si alzerà più. «Non è uno di quei libri proibiti a Boston?» le chiese.
«Proibito in tutti gli Stati Uniti. E in Europa, naturalmente.» Si era diretta verso la porta del corridoio e rimase lì, ad aspettare. «Ho sentito parlare di Hawthorne Abendsen.» In realtà non era vero. Di quel libro ricordava solo che… che cosa? Che in quel momento era molto popolare. Un’altra mania. Un’altra follia di massa. Si chinò e ripose il libro nello scaffale. «Non ho tempo per leggere ì romanzi popolari. Sono troppo impegnato con il lavoro.» Le segretarie, pensò, leggono quella robaccia, a letto da sole, la sera. Le stimola. Prende il posto della realtà. Di cui hanno paura. Ma naturalmente la desiderano.
«Dev’essere una di quelle storie d’amore,» disse mentre apriva la porta, ancora di malumore.
«No,» disse lei. «È una storia di guerra.» Mentre percorrevano il corridoio diretti verso l’ascensore, lei aggiunse, «Dice la stessa cosa che dicevano mio padre e mia madre.»
«Ma chi? Quell’Abbotson?»
«È la sua teoria. Se Joe Zangara lo avesse mancato, lui avrebbe tirato fuori l’America dalla Depressione e l’avrebbe armata così da…» Si interruppe. Erano arrivati all’ascensore, e c’erano altre persone in attesa.
Più tardi, in mezzo al traffico notturno, a bordo della Mercedes-Benz di Wyndham-Matson, lei gli riassunse la trama.
«La teoria di Abendsen è che Roosevelt sarebbe stato un presidente molto energico. Forte come Lincoln. Ne diede prova nell’unico anno del suo mandato, con tutte le misure che fece adottare. Il libro è finzione narrativa. Voglio dire, è sotto forma di romanzo. Roosevelt non viene assassinato a Miami; sopravvive e viene rieletto nel 1936, e rimane presidente fino al 1940, quando scoppia la guerra. Non capisci? È ancora presidente quando la Germania attacca l’Inghilterra, la Francia e la Polonia. E vede tutto ciò. Con lui l’America diventa forte. Garner è stato un presidente davvero spaventoso. Gran parte di ciò che è successo, è colpa sua. E poi, nel 1940, al posto di Bricker, sarebbe stato eletto un democratico…»
«Sempre secondo questo Abelson,» la interruppe Wyndham-Matson. Diede un’occhiata alla ragazza al suo fianco. Dio, pensò, basta che leggano un libro e non fanno che parlarne in continuazione.
«Lui sostiene che invece di un isolazionista come Bricker, nel 1940, dopo Roosevelt, sarebbe stato eletto Rexford Tugwell.» Il suo viso liscio rifletteva le luci del traffico e scintillava di animazione; i suoi occhi erano diventati più grandi e nel parlare gesticolava molto. «E sarebbe stato molto attivo nel continuare la politica antinazista di Roosevelt. Perciò la Germania avrebbe avuto paura di intervenire a favore del Giappone nel 1941. Non avrebbe rispettato gli accordi. Capisci?» Si voltò verso di lui, lo afferrò decisamente per la spalla e aggiunse, «E così la Germania e il Giappone avrebbero perso la guerra!»
Lui rise.
La ragazza lo fissò, cercando qualcosa sul suo volto — lui non riuscì a capire che cosa, anche perché doveva stare attento al traffico — e disse, «Non c’è niente da ridere. Sarebbe successo davvero così. Gli Stati Uniti avrebbero avuto la meglio sui giapponesi. E…»
«In che modo?» la interruppe.
«Lui spiega tutto.» Tacque per un attimo. «È tutta finzione narrativa,» disse poi. «Naturalmente ci sono molte parti romanzate; voglio dire, deve essere interessante altrimenti la gente non lo leggerebbe. Affronta un tema di interesse umano; ci sono questi due giovani, lui è nell’esercito americano. La ragazza… be’, insomma, il presidente Tugwell è proprio in gamba. Capisce ciò che stanno per fare i giapponesi.» Poi aggiunse infervorata: «Se ne può parlare tranquillamente; i giapponesi ne hanno consentito la circolazione nel Pacifico, e so che molti di loro lo hanno letto. Nelle Isole Patrie è molto popolare. Ha suscitato un dibattito molto acceso.»