«Forse,» disse, «sono spinti da qualche disperato archetipo inconsapevole. Nel senso junghiano.»
Il signor Tagomi annuì. «Ho letto Jung. Capisco.»
Si strinsero la mano. «Le telefono domani mattina,» disse Baynes. «Buona notte, signore.» Si inchinò, e lo stesso fece il signor Tagomi.
Il giovane giapponese sorridente fece un passo avanti e disse qualcosa al signor Baynes che lui però non riuscì a cogliere.
«Eh?» fece Baynes, mentre raccoglieva il soprabito e usciva sul portico.
Il signor Tagomi disse. «Le sta parlando in svedese, signore. Ha seguito un corso all’università di Tokyo sulla Guerra dei Trent’anni, ed è rimasto affascinato dal vostro grande eroe, Gustavo Adolfo.» Il signor Tagomi gli rivolse un sorriso di comprensione. «Tuttavia, è evidente che i suoi tentativi di padroneggiare una lingua così diversa non sono andati a buon fine. Certamente sta seguendo uno di quei corsi in dischi; è uno studente, e questi corsi, essendo economici, sono molto popolari fra gli studenti.»
Il giovane giapponese, che chiaramente non comprendeva l’inglese, fece un inchino e sorrise.
«Capisco,» mormorò Baynes. «Be’, gli auguro buona fortuna.» Ho anch’io i miei problemi di lingua, pensò. È evidente.
Buon Dio… il giovane giapponese, mentre lo accompagnava in macchina all’albergo, avrebbe certamente tentato di fare conversazione in svedese con lui per tutto il tragitto. Una lingua che Baynes capiva appena, e solo se veniva pronunciata in modo molto formale e corretto, certamente non quando la parlava un giovane giapponese che cercava di impararla da un corso in dischi.
Non riuscirà mai a farsi capire da me, pensò Baynes. E continuerà a tentare, perché questa è la sua grande occasione; probabilmente non vedrà mai più uno svedese in vita sua. Dentro di sé Baynes gemette. Sarebbe stata una tragedia, per tutti e due.
CAPITOLO SESTO
La signora Juliana Frink, godendosi la giornata fredda e assolata, aveva fatto la spesa di mattina presto. Adesso procedeva a passo sostenuto sul marciapiede con i due sacchetti di carta marrone, fermandosi davanti a ogni negozio per guardare gli oggetti in vetrina. Se la prendeva comoda.
Non c’era qualcosa che doveva acquistare allo spaccio? Entrò nel negozio senza fretta. Il suo turno alla palestra di judo cominciava a mezzogiorno; quella era la sua mattina libera. Si mise a sedere su uno sgabello accanto al bancone, posò i sacchetti e cominciò a guardare i giornali.
Nel nuovo numero di Life c’era un articolo importante intitolato la televisione in europa: uno sguardo sul domani. Lo sfogliò, interessata, e vide la fotografia di una famiglia tedesca che guardava la televisione nel soggiorno. C’erano già quattro ore di trasmissione al giorno, diceva l’articolo, irradiate da Berlino. Un giorno ci sarebbero state stazioni televisive in tutte le maggiori città europee. Ed entro il 1970 ne sarebbe stata installata una anche a New York.
L’articolo mostrava i tecnici elettronici del Reich a New York, che aiutavano il personale locale a risolvere i problemi. Era facile distinguere i tedeschi. Avevano tutti quell’aspetto sano, pulito, energico e rassicurante. Gli americani, di fronte a loro… sembravano persone comuni. Potevano essere chiunque.
Si vedeva uno dei tecnici tedeschi che indicava qualcosa, mentre gli americani cercavano di capire di che cosa si trattasse. Credo che vedano meglio di noi, decise Juliana. Da almeno vent’anni hanno una dieta migliore. Ce l’hanno detto: loro possono vedere cose che gli altri non vedono. Vitamina A, forse?
Mi chiedo che cosa si prova a starsene seduti in soggiorno e a vedere il mondo intero dentro un piccolo tubo di vetro grigio. Se quei nazisti sono capaci di andare avanti e indietro dalla Terra a Marte, perché non devono riuscire a far funzionare la televisione? Credo che lo preferirei, cioè mi piacerebbe vedere quelle commedie, vedere che aspetto hanno Bob Hope e Jimmy Durante, piuttosto che andare a spasso su Marte.
Forse è proprio così, pensò mentre riponeva la rivista sull’espositore. I nazisti non hanno senso dell’umorismo, quindi che se ne fanno della televisione? In ogni caso hanno eliminato la maggior parte dei grandi attori di teatro. Perché erano quasi tutti ebrei. In effetti, si rese conto, hanno fatto fuori la gran parte di coloro che lavoravano nel campo dello spettacolo. Chissà come fa a cavarsela Bob Hope, con tutto quello che dice. Naturalmente deve trasmettere dal Canada. Lassù sono un po’ più liberi di noi. Ma Hope ne dice, di cose. Come quella storiella su Göring… quella in cui Göring compra Roma, la impacchetta e se la fa mandare nel suo rifugio di montagna, poi la ricostruisce. E fa rivivere i cristiani solo perché i suoi leoncini abbiano qualcosa da…
«Voleva acquistare quella rivista, signorina?» le chiese sospettoso il vecchio rinsecchito che gestiva il negozio.
Sentendosi in colpa, lei posò la copia del Reader’s Digest che aveva cominciato a sfogliare.
Mentre passeggiava lungo il marciapiede con le sue borse della spesa, Juliana pensò: forse Göring sarà il nuovo Führer, quando morirà Bormann. Sembra in qualche modo diverso dagli altri. Bormann ha conquistato il potere solo perché è riuscito a farsi avanti mentre Hitler stava crollando, e solo quelli veramente vicini a Hitler si sono resi conto di quanto andasse veloce. Il vecchio Göring se ne stava nel suo palazzo fra le montagne. Göring avrebbe dovuto essere il nuovo Führer, perché era stata la sua Luftwaffe ad annientare le stazioni radar inglesi e poi a spazzare via la RAF. Hitler voleva che bombardassero Londra, come avevano fatto con Rotterdam.
Ma probabilmente Goebbels ce la farà, decise. Era quello che dicevano tutti. Purché non abbia la meglio quel disgustoso Heydrich. Ci ucciderebbe tutti. È proprio un pazzo.
Quello che mi piace, pensò, è Baldur von Schirach. È l’unico che sembri normale, comunque. Ma non ha la minima possibilità di farcela.
Si voltò e salì le scale che conducevano alla porta della vecchia casa di legno in cui abitava.
Quando aprì la porta dell’appartamento vide Joe Cinnadella ancora sdraiato dove lo aveva lasciato, nel bel mezzo del letto, a pancia in giù, con le braccia penzoloni. Era ancora addormentato.
No, pensò lei. Non può essere ancora qui; il camion se ne è andato. Non se n’era accorto? Evidentemente.
Andò in cucina e appoggiò le buste della spesa sul tavolo, in mezzo ai piatti della colazione.
Voleva rimanere? si domandò. È questo che vorrei sapere.
Che uomo strano… era stato così intraprendente con lei, non si era quasi mai fermato per tutta la notte. Eppure sembrava come se lui non fosse veramente lì, come se avesse agito senza rendersene conto. Magari pensava a qualche altra cosa.
Per abitudine, Juliana cominciò a riporre le provviste nel vecchio frigorifero G.E. con il rialzo superiore. Poi si mise a sgomberare il tavolo.
Forse perché lo ha fatto così tante volte, decise. È una seconda natura; il suo corpo compie i gesti, come il mio quando metto i piatti e le posate nell’acquaio. Potrei farlo anche senza i tre quinti del cervello, come la zampa di una rana in un’aula di biologia.
«Ehi,» lo chiamò. «Svegliati.»
Joe si stirò nel letto con un grugnito.