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«Se provi questo nei miei confronti,» disse Juliana, «perché non te ne vai? Che senso ha restare qui?»

Il suo sogghigno enigmatico la raggelò.

Vorrei non averlo mai fatto venire a stare con me, pensò. E adesso è troppo tardi; so che non posso liberarmi di lui… è troppo forte.

Sta succedendo qualcosa di terribile, pensò. Viene da lui. E pare che sia proprio io a far sì che succeda.

«Che succede?» Joe allungò una mano, la sfiorò sotto il mento, le accarezzò il collo, infilò le dita sotto la camicetta e le strinse le spalle affettuosamente. «Sei di cattivo umore… ti farò un po’ di psicoanalisi, gratis.»

«Diranno che sei un ebreo psicoanalista.» Lei rise debolmente. «Vuoi andare a finire in un forno?»

«Tu hai paura degli uomini. È così?»

«Non lo so.»

«Lo si capiva, ieri sera. Solo perché io…» Lasciò la frase a metà. «Perché io mi sono preoccupato di venire incontro alle tue esigenze.»

«Perché tu sei andato a letto con tante donne,» disse Juliana. «È questo che stavi per dire.»

«Ma io so di avere ragione. Ascoltami; io non ti farò mai del male, Juliana. Sulla tomba di mia madre… ti do la mia parola. Sarò particolarmente affettuoso, e quanto al mio passato, se proprio vuoi farne una questione… sei liberissima di farlo. Perderai tutte le tue paure; io posso farti rilassare e migliorarti, e non ci vorrà nemmeno troppo tempo. Sei stata solo sfortunata.»

Lei annuì, sentendosi un po’ meglio. Ma provava ancora un senso di freddo e di tristezza, e ancora non ne capiva il perché.

Per cominciare la giornata, Nobosuke Tagomi si concesse un momento di completa solitudine. Se ne stava seduto in contemplazione nel suo ufficio del Nippon Times Building.

Aveva già ricevuto il rapporto di Ito sul signor Baynes prima ancora di uscire di casa per venire in ufficio. Il giovane studente non aveva il minimo dubbio; Baynes non era svedese. Baynes era quasi certamente un tedesco.

Ma la capacità di Ito di padroneggiare le lingue tedesche non aveva mai fatto grande impressione né sulle Missioni Commerciali né sulla Tokkoka, la polizia segreta giapponese. Probabilmente quell’idiota non sapeva di che parlare, si disse il signor Tagomi. Un entusiasmo maldestro, unito a dottrine romantiche. Scoprire qualcosa, e avere sempre sospetti.

Comunque l’incontro con il signor Baynes e con l’anziano signore proveniente dalle Isole Patrie sarebbe iniziato fra poco, all’ora prevista, qualunque fosse la nazionalità del signor Baynes. E al signor Tagomi quell’uomo piaceva. Decise che probabilmente possedeva il talento fondamentale di un uomo di alto rango… come lui stesso. Riconoscere un uomo di valore quando lo incontrava. Intuizione nei confronti degli altri. Saper leggere oltre le cerimonie e le sovrastrutture. Arrivare fino al cuore.

Il cuore, rinchiuso in mezzo a due linee yin di nera passione. Strangolato, a volte, eppure, anche allora, la luce dello yang, quel bagliore ne! centro. Mi piace, si disse il signor Tagomi. Tedesco o inglese che sia. Spero che la zaracaina gli abbia fatto passare il mal di testa. Mi devo ricordare di chiederglielo, appena lo vedo.

L’interfono sulla scrivania ronzò.

«No,» rispose bruscamente. «Niente discussioni. Questo è il momento della verità interiore. Introversione.»

Dal piccolo altoparlante giunse la voce del signor Ramsey. «Signore, il servizio stampa giù in basso ci ha appena informato. Il Cancelliere del Reich è morto. Martin Bormann.» La voce di Ramsey si spense. Silenzio.

Devo annullare tutti gli appuntamenti di oggi, pensò il signor Tagomi. Si alzò dalla scrivania e si mise a camminare rapidamente avanti e indietro, stringendosi le mani. Vediamo. Inviare immediatamente un messaggio formale al console del Reich. È una faccenda minore; può sbrigarla un subordinato. Profondo cordoglio eccetera. Tutti i giapponesi sono vicini ai tedeschi in questa triste circostanza. E poi? Diventare vitalmente ricettivo. Bisogna essere in condizione di ricevere subito informazioni da Tokyo.

Premette il tasto dell’interfono e disse: «Signor Ramsey, si accerti che ci mettano in comunicazione con Tokyo. Dica alle centraliniste di stare all’erta. Non devono perdere il collegamento.»

«Sì, signore,» disse Ramsey.

«D’ora in avanti resterò nel mio ufficio. Metta da parte ogni faccenda di ordinaria amministrazione, e respinga tutti i visitatori che vengono per questioni normali.»

«Signore?»

«Voglio avere le mani libere nel caso si renda necessario agire con tempestività.»

«Sì, signore.»

Mezz’ora dopo, alle nove, giunse un messaggio dal più elevato funzionario del Governo Imperiale sulla Costa Occidentale, l’ambasciatore giapponese degli Stati Americani del Pacifico, l’onorevole barone L.B. Kaelemakule. Il Ministero degli Esteri aveva convocato una riunione straordinaria presso la sede dell’ambasciata in Sutter Street, alla quale era stato invitato a partecipare un personaggio di alto rango per ciascuna Missione. In questo caso, si trattava dello stesso signor Tagomi.

Non c’era tempo per cambiarsi d’abito. Il signor Tagomi si precipitò verso l’ascensore espresso, discese al piano terra, e un attimo dopo era già in viaggio su una limousine della Missione, una Cadillac nera del 1940 guidata da un esperto autista cinese in uniforme.

Al palazzo dell’ambasciata trovò le auto degli altri dignitari già parcheggiate tutt’intorno, una dozzina in tutto. Personalità di rilievo, alcune delle quali gli erano familiari, mentre altre non le aveva mai viste, si vedevano salire in fila indiana lungo gli ampi scalini del palazzo. L’autista del signor Tagomi gli tenne la porta aperta, e lui discese rapidamente, afferrando la valigetta; era vuota, perché non aveva documenti da portare… ma era molto importante che lui non apparisse come un semplice spettatore. Salì di corsa gli scalini con l’aria di uno che dovesse recitare un ruolo fondamentale negli eventi, ma in realtà non gli era nemmeno stato detto quale fosse l’oggetto di quella riunione.

Si erano già formati capannelli di persone; l’anticamera era animata da discussioni a bassa voce. Il signor Tagomi si avvicinò a diversi individui che conosceva, salutando con cenni della testa e assumendo un’aria solenne, proprio come loro.

Dopo breve tempo apparve un impiegato dell’ambasciata che li accompagnò in un grande salone. C’erano delle file di sedie, del tipo pieghevole. Tutti si diressero ordinatamente verso di esse e si misero a sedere silenziosamente, a parte qualche colpo di tosse e lo strascichio dei piedi. Le discussioni erano cessate.

Davanti a loro un funzionario con un fascio di carte in mano si fece strada verso un tavolo leggermente rialzato. Pantaloni rigati: un rappresentante del Ministero degli Esteri.

Vi fu un po’ di confusione. Altri personaggi che discutevano sottovoce, le teste chinate una vicina all’altra.

«Signori,» disse il funzionario con voce squillante, autoritaria. Tutti gli occhi si fissarono su di lui. «Come loro sanno, è giunta la conferma che il Reichskanzler è morto. C’è stata una dichiarazione ufficiale di Berlino. Questo incontro, che non durerà a lungo — sarete ben presto liberi di far ritorno in ufficio — ha lo scopo di informarvi della nostra valutazione in merito alle numerose fazioni in lotta fra loro nella vita politica tedesca, che adesso usciranno probabilmente allo scoperto e scateneranno una contesa senza esclusione di colpi per il posto lasciato vacante da Herr Bormann.

«In breve, questi sono i candidati più significativi. Il ben noto Hermann Göring. Vogliate perdonare i particolari già noti, prego.»

«Il Grassone, così chiamato per la sua corporatura, in origine coraggioso asso dell’aviazione nella Prima Guerra Mondiale, ha fondato la Gestapo e ha rivestito incarichi di grande potere nel governo prussiano. Uno dei primi nazisti, fra i più spietati, ma in seguito alcuni eccessi sibaritici hanno dato origine all’immagine ingannevole di un personaggio amabile e dedito al vino, immagine che il nostro governo consiglia di non prendere affatto in considerazione. Quest’uomo, sebbene lo si definisca malsano, addirittura morboso in fatto di appetiti, ricorda più gli antichi Cesari romani, sempre pronti a indulgere sui propri difetti, il cui potere cresceva invece di calare, con il progredire dell’età. L’immagine sinistra di quest’uomo in toga con i suoi leoncini, proprietario di un immenso castello pieno di trofei e di capolavori artistici, è certamente accurata. Treni merci carichi di oggetti preziosi rubati arrivavano direttamente alla sua residenza privata, anche in tempo di guerra, a dispetto delle esigenze militari. La nostra valutazione: quest’uomo brama il potere assoluto, ed è in grado di ottenerlo. È più indulgente con se stesso di qualunque altro nazista, ed è del tutto diverso dal defunto Heinrich Himmler, il quale viveva in condizioni quasi di indigenza con il solo stipendio. Herr Göring è il simbolo di una mentalità di rapina, che si serve del potere come strumento per ottenere la ricchezza personale. Una mentalità primitiva, anche volgare, ma l’uomo è intelligente, forse il più intelligente fra tutti i capi nazisti. Oggetto delle sue manovre: autoglorificazione, sul modello degli antichi imperatori.