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«Poi Herr J. Goebbels. Da giovane ha avuto la polio. In origine era cattolico. Brillante oratore e scrittore, mente agile e fanatica, arguto, educato, cosmopolita. Molto attivo con le signore. Elegante. Colto. Molto capace. Lavora moltissimo; attività dirigenziale quasi frenetica. Si dice che non riposi mai. È un personaggio molto rispettato. Può essere affascinante, ma pare abbia una vena di fanatismo senza paragone con quella di altri nazisti. La tendenza ideologica ricorda il punto di vista gesuitico e medievale, esacerbato da un nichilismo postromantico tedesco. Viene considerato il solo, vero intellettuale della Partei. Da giovane aveva ambizioni di drammaturgo. Pochi amici. Non è amato dai subordinati, ma tuttavia è il più raffinato prodotto di molti fra i migliori elementi della cultura europea. La sua ambizione non nasconde l’autogratificazione, bensì la ricerca del potere per il potere. Tendenza organizzativa nel senso più classico dello stato prussiano.

«Poi c’è Herr R. Heydrich.»

Il funzionario del Ministero degli Esteri fece una pausa, alzò gli occhi e osservò i presenti. Quindi riprese.

«Molto più giovane del precedente, che contribuì alla rivoluzione del 1932. Ha fatto carriera con l’élite delle SS. Subordinato di H. Himmler, potrebbe avere avuto una parte di rilievo nella morte ancora misteriosa di Himmler, nel 1948. Eliminò ufficialmente gli altri contendenti all’interno dell’apparato di polizia, come A. Eichmann, W. Schellenberg e altri. Si dice che quest’uomo sia temuto da molti esponenti della Partei. È responsabile del controllo degli elementi della Wehrmacht, dopo la chiusura delle ostilità nel famoso scontro fra esercito e polizia, che portò alla riorganizzazione dell’apparato governativo da cui uscì vincitore il NSDAP [Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei]. Fu sempre dalla parte di Martin Bormann. Prodotto di un addestramento di élite, ma anteriore al cosiddetto sistema del Castello delle SS. Si dice che sia del tutto privo di mentalità affettiva, nel senso tradizionale del termine. Enigmatico per quanto riguarda le sue ambizioni. Si può dire forse che abbia una visione della società in cui gli sforzi dell’uomo sono solo le varianti di una sorta di gioco; uno strano distacco, quasi scientifico, che si ritrova anche in certi ambienti tecnologici. Non partecipa alle dispute ideologiche. Conclusione: si può definire il più moderno come mentalità; è il tipico soggetto postilluministico, privo delle cosiddette illusioni necessarie come il credere in Dio, eccetera. L’implicazione di questa mentalità, diciamo, realistica non può essere valutata appieno dai sociologi di Tokyo, perciò quest’uomo deve essere considerato un punto interrogativo. In ogni caso è opportuno sottolineare che il deterioramento dell’affettività si manifesta nella schizofrenia patologica.»

Mentre ascoltava, il signor Tagomi cominciò a sentirsi male.

«Baldur von Schirach. Già comandante della Gioventù Hitleriana. È considerato un idealista. Ha una figura attraente, ma viene ritenuto poco esperto e poco preparato. Crede sinceramente negli obiettivi della Partei. Si è assunto la responsabilità di prosciugare il Mediterraneo e di bonificare vastissime zone coltivabili. Ha anche mitigato le crudeli politiche di sterminio etnico in terra slava, all’inizio degli anni cinquanta. Si è rivolto direttamente al popolo tedesco per ottenere che gli slavi sopravvissuti potessero continuare a esistere in regioni chiuse, tipo riserve, nel cuore dell’Europa. Ha richiesto la cessazione di certe forme di eutanasia e di sperimentazioni mediche, ma senza successo.

«Il dottor Seyss-Inquart. Già nazista austriaco, adesso responsabile della politica nei possedimenti coloniali del Reich. È forse l’uomo più odiato in tutto il Reich. Si dice che abbia istigato quasi tutte, se non proprio tutte, le misure repressive a danno dei popoli conquistati. Ha lavorato con Rosenberg a progetti ideologici del tipo più allarmante, come il tentativo di sterilizzare l’intera popolazione russa sopravvissuta dopo la cessazione delle ostilità. Non esistono conferme certe, quanto a questo, ma è considerato uno dei maggiori responsabili della scelta dell’olocausto nel continente africano, creando in tal modo le premesse per un vero e proprio genocidio della popolazione negra. Forse è il più vicino, come temperamento, al primo Führer, Adolf Hitler.»

Il portavoce del Ministero degli Esteri cessò la sua tiritera lenta e monotona.

Mi sembra di impazzire, pensò il signor Tagomi.

Devo uscire di qui. Sto per avere un attacco. Il mio corpo sta rigettando o espellendo qualcosa… sto per morire. Si alzò faticosamente in piedi e si fece strada verso il corridoio passando in mezzo alle sedie e alle persone. Riusciva appena a vedere. Doveva andare in bagno. Corse lungo il corridoio.

Molte teste si voltarono. Lo videro. Umiliazione. Sentirsi male in una riunione così importante. Perdita della dignità. Continuò a correre, infilando la porta tenuta aperta da un impiegato dell’ambasciata.

All’improvviso il panico cessò. La sua vista si schiarì, e lui tornò a distinguere gli oggetti. Il pavimento e le pareti, stabili.

Un attacco di vertigini. Una disfunzione dell’orecchio medio, senza dubbio.

Il diencefalo, pensò. L’antico ceppo cerebrale, è lui che si agita.

Un momentaneo collasso organico.

Pensare lungo linee rassicuranti. Ricordare l’ordine del mondo. A che cosa aggrapparsi? La religione? Si disse: adesso esegui una gavotta, con calma. Due maiuscole, due maiuscole, ce l’hai fatta. Questo è esattamente lo stile della cosa. Una piccola forma del mondo riconoscibile, Gondoliers. Gilbert Sullivan. Chiuse gli occhi, immaginando i componenti della compagnia D’Oyly Carte come li ricordava nella loro tournée dopo la guerra. Il mondo finito, chiuso in sé…

Un impiegato gli si era avvicinato e gli chiese: «Signore, posso esserle utile?»

Il signor Tagomi fece un inchino. «Mi sono ripreso.»

Il volto dell’altro, calmo, posato. Nessuna derisione. Forse stanno tutti ridendo di me, pensò il signor Tagomi. Sotto sotto.

Questo è il male! È concreto, come il cemento.

Non posso crederci. Non lo sopporto. Il male non è un modo di vedere. Gironzolò per l’anticamera, ascoltando il rumore del traffico di Sutter Street, e la voce del funzionario del Ministero degli Esteri che parlava agli intervenuti. Tutta la nostra religione è sbagliata. Che cosa posso fare? si domandò. Si diresse verso la porta d’ingresso dell’ambasciata; un impiegato la aprì e il signor Tagomi discese i gradini fino al vialetto. Le macchine parcheggiate. Anche la sua. Gli autisti che aspettavano.