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I piccoli giapponesi che giocavano all’aperto lo guardavano senza fare commenti, poi tornavano al loro football o al loro baseball. Ma, pensò, non altrettanto facevano gli adulti; i giovani, eleganti giapponesi che parcheggiavano le automobili o entravano in casa lo osservavano con grande interesse. Vive qui? si stavano forse domandando. I giovani uomini d’affari giapponesi che rientravano a casa dagli uffici… anche i responsabili delle Missioni Commerciali abitavano lì. Notò delle Cadillac parcheggiate. Mentre il taxi a pedali lo portava verso la sua destinazione, lui cominciò a sentirsi sempre più nervoso.

Poco dopo, mentre saliva le scale che portavano all’appartamento dei Kasoura, pensò, eccomi qui, invitato non per questioni di affari, ma come ospite a una cena. Naturalmente aveva posto la massima cura nella scelta dell’abbigliamento; almeno poteva essere sicuro del suo aspetto. Il mio aspetto, pensò. Sì, è proprio questo il punto. Come appaio? Non posso ingannare nessuno; io non appartengo a questo posto. In questa terra che gli uomini bianchi hanno ripulito e dove hanno costruito una delle loro più belle città. Sono un estraneo nel mio stesso paese.

Giunse davanti alla porta giusta lungo il corridoio ricoperto da un tappeto, suonò il campanello. La porta si aprì subito. Apparve la giovane signora Kasoura, in un kimono di seta e obi, i lunghi capelli neri raccolti in una crocchia lucente sulla nuca, che lo accolse con un sorriso di benvenuto. In soggiorno, dietro di lei, suo marito, con un bicchiere in mano, gli rivolse un cenno del capo.

«Signor Childan. Si accomodi.»

Lui si inchinò ed entrò.

Un gusto davvero raffinato. E… così ascetico. Pochi mobili. Una lampada qui, un tavolo, una libreria, una stampa alla parete. L’incredibile senso giapponese del wabi. Inconcepibile, in inglese. L’abilità di trovare negli oggetti semplici una bellezza al di là dell’elaborato o dell’ornato. È qualcosa che ha a che fare con il modo di disporli.

«Qualcosa da bere?» gli chiese il signor Kasoura. «Scotch e soda?»

«Signor Kasoura…» cominciò Childan.

«Paul,» disse il giovane giapponese. Poi indicò sua moglie. «Betty. E lei si chiama…»

Childan mormorò: «Robert.»

Seduti sul soffice tappeto con i loro bicchieri, ascoltarono un disco di koto, Tarpa giapponese a tredici corde. Era appena uscito dalla HMV giapponese, ed era già molto popolare. Childan notò che tutti i componenti del giradischi erano nascosti, perfino l’altoparlante, e non riuscì a capire da dove provenisse il suono.

«Non conoscendo i suoi gusti in fatto di cibo,» disse Betty, «siamo andati sul sicuro. Nel forno elettrico della cucina sta cuocendo una bistecca. Inoltre, patate al forno con salsa di panna acida e cipolline. Lo dice la massima: non si può sbagliare se si serve una bistecca a un ospite invitato per la prima volta.»

«Un’ottima scelta,» disse Childan. «A me piacciono molto le bistecche.» E senza dubbio era vero. Ne mangiava raramente. I grandi allevamenti del Midwest non inviavano più alla Costa Occidentale le grandi quantità di carne di un tempo. Lui non ricordava nemmeno l’ultima volta in cui aveva mangiato una buona bistecca.

Era il momento di porgere il regalo ai padroni di casa.

Dalla tasca della giacca estrasse un pacchettino avvolto in carta velina. Lo posò discretamente sul tavolino. Entrambi lo notarono subito, il che lo costrinse a dire. «Una sciocchezza per voi. Per dimostrare almeno in piccola parte la serenità e la gioia che provo nel trovarmi qui.»

Aprì egli stesso la carta velina, mostrando il dono. Un frammento di avorio lavorato un secolo prima dai balenieri del New England. Un minuscolo oggetto d’arte finemente decorato, che in inglese veniva chiamato scrimshaw. I loro volti si illuminarono, ripensando ai vecchi marinai che nel tempo libero scolpivano i pezzi di avorio. Nessun altro oggetto avrebbe potuto essere una miglior sintesi della vecchia civiltà americana.

Silenzio.

«Grazie,» disse Paul.

Robert Childan fece un inchino.

Allora, per un attimo, nel suo cuore vi fu un senso di pace. Quell’offerta, quella — come la definiva l’I Ching - libagione. Aveva fatto ciò che doveva fare. Un po’ dell’ansia e del senso di oppressione che aveva provato di recente cominciava ad abbandonarlo.

Era riuscito a farsi restituire da Ray Calvin i soldi della Colt 44, oltre a diverse dichiarazioni scritte che il fatto non si sarebbe ripetuto. Ma questo non lo aveva rasserenato. Solo adesso, in una situazione del tutto sciolta da quei fatti, aveva perso per un momento la sensazione che le cose andassero sempre peggio. Il wabi intorno a lui, le radiazioni di armonia… è questo, decise. La proporzione. L’equilibrio. Sono così vicini al Tao, questi due giovani giapponesi. Ecco perché ho reagito positivamente a loro. Ho avvertito il Tao dentro di loro. Ne ho visto un barlume anch’io.

Chissà che cosa significa, si domandò, conoscere veramente il Tao. Il Tao è ciò che prima porta la luce, poi il buio. Le occasioni di interscambio delle due forze primarie, in modo che ci sia sempre il rinnovamento. È il Tao che tiene insieme il tutto, evitando che si disgreghi. L’universo non avrà mai fine, perché proprio quando sembra che l’oscurità abbia distrutto ogni cosa, e appare davvero trascendente, i nuovi semi della luce rinascono dall’abisso. Questa è la Via. Quando il seme cade, cade nel terreno, nel suolo. E al di sotto, fuori dalla vista, sboccia alla vita.

«Un hors d’oeuvre,» disse Betty. Si inginocchiò per prendere un piatto sul quale c’erano dei piccoli cracker di formaggio e altri antipasti del genere. Lui ne prese due, riconoscente.

«In questi giorni le notizie internazionali hanno un grande rilievo,» disse Paul mentre sorseggiava il suo drink. «Stasera mentre tornavo a casa ho ascoltato in diretta la trasmissione dei solenni funerali di stato a Monaco, compresa la sfilata di cinquantamila persone, con vessilli e tutto il resto. Molti cantavano Ich Batte einen Kamerad. Adesso hanno esposto la salma in modo che tutti possano vederla.»

«Sì, è stata una cosa terribile,» disse Robert Childan. «Una notizia improvvisa, all’inizio della settimana.»

«Il Nippon Times stasera diceva che secondo fonti attendibili B. von Schirach si trova agli arresti domiciliari,» disse Betty. «Dietro ordine dell’SD.»

«Peccato,» disse Paul, scuotendo la testa.

«Non c’è dubbio che le autorità vogliono mantenere l’ordine,» disse Childan. «Von Schirach si è fatto conoscere per azioni impulsive e ostinate, anche un po’ irragionevoli. È molto simile a R. Hess. Mi ricordo ancora quel suo folle volo verso l’Inghilterra.»

«Che altro diceva il Nippon Times?» chiese Paul a sua moglie.

«C’è molta confusione e grandi intrighi. Le unità dell’esercito si spostano in continuazione. Cancellate tutte le licenze. Chiuse le stazioni di frontiera. Il Reichstag è in riunione. Tutti parlano.»

«Mi fa venire in mente quel magnifico discorso del dottor Goebbels,» disse Robert Childan. «Alla radio, più o meno un anno fa. Un’invettiva molto arguta. Aveva l’uditorio in palmo di mano, come sempre. Ha spaziato in tutta la gamma delle emozioni. Non c’è dubbio; adesso che l’originale Adolf Hitler è fuori dal gioco, il dottor Goebbels è l’oratore numero uno del Reich.»