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I piatti non erano americani. Sembravano giapponesi; non fu in grado di capirlo, era fuori dal suo campo.

«È porcellana Imari,» disse Paul, intuendo il suo interesse. «Da Arita. È considerato un prodotto di prima classe. Giappone.»

Si sedettero.

«Caffè?» chiese Betty a Robert.

«Sì,» disse lui. «Grazie.»

«Alla fine del pranzo,» disse lei andando a prendere il carrello.

Di lì a poco, tutti stavano mangiando. Robert trovò la cena deliziosa. Betty era una cuoca davvero eccezionale. In particolare apprezzò l’insalata. Avocado, cuori di carciofi, e una salsa al Roquefort… grazie a Dio non gli avevano offerto un pasto giapponese, quei piatti di verdure e carni mescolate che aveva mangiato così tante volte dalla fine della guerra.

E l’infinita varietà di piatti di pesce. Ne aveva mangiati al punto da non poter più sopportare i gamberi e gli altri crostacei.

«Mi piacerebbe sapere,» disse Robert, «come l’autore immagina questo mondo in cui la Germania e il Giappone hanno perso la guerra.»

Per un po’ né Paul né Betty risposero. Alla fine fu Paul a osservare: «Ci sono delle differenze molto complesse. È meglio leggere il libro. Forse, se gliene parlassi, perderebbe il gusto di leggerlo.»

«Io ho delle opinioni molto chiare in proposito,» disse Robert. «Ci ho pensato spesso. Il mondo sarebbe decisamente peggiore.» Sentì che la sua voce aveva un tono risoluto, quasi duro. «Decisamente peggiore.»

Sembrarono colti di sorpresa. Forse era stato proprio quel tono di voce.

«Il comunismo regnerebbe ovunque,» aggiunse Robert.

Paul annuì. «L’autore, il signor H. Abendsen, considera anche questo aspetto, a proposito dell’incontrollata espansione della Russia sovietica. Ma come nella Prima Guerra Mondiale, anche se dalla parte dei vincitori, la Russia, una nazione di second’ordine con una popolazione prevalentemente rurale, subisce un inevitabile tracollo. Tutta da ridere, solo a ripensare alla guerra con il Giappone, quando…»

«Abbiamo sofferto, per pagarne il prezzo,» disse Robert. «Ma lo abbiamo fatto per una giusta causa. Per impedire che gli slavi invadessero il mondo.»

A bassa voce, Betty soggiunse: «Personalmente non credo a nessuna delle chiacchiere isteriche in fatto di “invasione del mondo” da parte di qualunque popolo. Slavi o cinesi o giapponesi.» Fissò tranquilla Robert. Aveva la completa padronanza di se stessa, e non si lasciava trasportare, ma era fermamente intenzionata a esprimere i suoi sentimenti. Sulle sue guance erano comparse due macchie di colore rosso vivo.

Continuarono a mangiare per un po’ senza parlare.

L’ho fatto di nuovo, si rese conto Robert Childan. È impossibile evitare l’argomento. Perché è dovunque, in un libro che mi capita di prendere in mano o in una raccolta di dischi, in quei portatovaglioli d’osso… un bottino accumulato dai conquistatori e saccheggiato alla mia gente.

Devo guardare in faccia la realtà. Mi sforzo di fingere che questi giapponesi siano uguali a me. Ma ecco che, anche quando dichiaro con entusiasmo che sono stati loro a vincere la guerra, e che è stata la mia nazione a perderla… anche allora non c’è un terreno comune. Ciò che le parole significano per me è in netto contrasto vis-à-vis con il loro punto di vista. Hanno un cervello diverso. E così anche l’anima. Li vedi bere dalle tazze di porcellana inglese, mangiare nei piatti d’argento americani, ascoltare musica nera. È tutto superficiale. Il vantaggio della ricchezza e del potere li rende disponibili a tutto ciò, ma è un ersatz [Imitazione], potete star certi.

Anche l’I Ching, che ci hanno cacciato in gola a forza; è un libro cinese. Preso in prestito dal passato. Ma chi vogliono prendere in giro? Se stessi? Rubacchiano le abitudini a destra e a manca, il modo di vestirsi, di mangiare, di parlare, di camminare, come per esempio consumare con gusto le patate al forno guarnite con panna acida e cipolline, un piatto della vecchia tradizione americana aggiunto al loro bottino. Ma non ci casca nessuno, credete a me; io meno di tutti.

Solo le razze bianche hanno il dono della creatività, rifletté. Eppure io, membro di queste razze per diritto di sangue, devo inchinarmi fino a terra davanti a questi due. Pensa come sarebbe stato se avessimo vinto noi! Li avremmo spazzati via. Niente più Giappone, oggi, e gli Stati Uniti d’America sarebbero l’unica, splendida, grande potenza del mondo intero.

Devo leggere questo libro, La cavalletta, si disse. È un dovere patriottico, a quanto pare.

«Robert, lei non sta mangiando,» gli disse delicatamente Betty. «Forse c’è qualcosa che non va nel cibo?»

Lui prese subito una forchettata di insalata. «No,» disse. «Anzi, è il pasto più delizioso che abbia fatto da diversi anni a questa parte.»

«Grazie,» disse lei, ovviamente compiaciuta. «Ho fatto del mio meglio perché fosse autentico… per esempio, ho fatto accuratamente la spesa nei mercatini americani lungo Mission Street. Mi dicono che si trovino lì i prodotti autentici.»

Tu cucini alla perfezione i cibi locali, pensò Robert Childan. Quello che dicono è vero: la vostra capacità di imitazione è immensa. Torta di mele, Coca-Cola, la passeggiata dopo il cinema, Glenn Miller… sareste in grado di ricostruire una America artificiale di latta e carta di riso, completa in ogni particolare. Una mamma di carta di riso in cucina, un papà di carta di riso che legge il giornale. Un cagnolino di carta di riso ai suoi piedi. Qualsiasi cosa.

Paul lo osservava in silenzio. Robert Childan, notando improvvisamente il suo sguardo, abbandonò il corso dei suoi pensieri e si dedicò al cibo. Può leggermi nella mente? si domandò. Vedere quello che penso veramente? So di non essermi tradito. Ho mantenuto l’espressione giusta; non è possibile che abbia capito.

«Robert,» disse Paul, «visto che lei è nato e cresciuto qui, e che parla l’idioma degli Stati Uniti, forse potrebbe aiutarmi con un libro che mi ha creato qualche problema. È un romanzo degli anni 30, di un autore americano.»

Robert fece un leggero inchino.

«Il libro,» proseguì Paul, «che è piuttosto raro, e del quale però io possiedo una copia, è di Nathanael West. Si intitola Signorina Cuorisolitari. L’ho letto con grande piacere, ma non sono riuscito ad afferrare del tutto ciò che N. West vuole dirci.» E guardò Robert con aria speranzosa.

«Io… io temo di non avere mai letto quel libro,» ammise subito Robert Childan. Anzi, non ne aveva nemmeno mai sentito parlare.

Il volto di Paul tradì tutta la sua delusione. «Peccato. È un piccolo libro. Parla di un uomo che ha una rubrica su un quotidiano; deve interessarsi ogni giorno di gravi problemi umani, e alla fine impazzisce per il dolore e crede di essere Gesù Cristo. Se lo ricorda? Forse lo ha letto molto tempo fa.»

«No,» disse Robert Childan.

«Offre una strana visione della sofferenza,» disse Paul. «Un’immagine molto originale del significato del dolore senza ragione, un problema affrontato da tutte le religioni. La religione cristiana afferma spesso che deve esserci il peccato, perché la sofferenza abbia un significato. Il punto di vista di N. West sembra più convincente, e si fonda su concetti più antichi. Forse, per il fatto di essere ebreo, si è reso conto che poteva esistere una sofferenza senza causa.»