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Childan gli sorrise senza dire nulla.

Non tocca a me. Tocca a lui, lasciare questo posto. Salvando la faccia o meno.

Una cosa sgradevole, quel disagio. Ma non è necessario essere rappresentanti. Tutti soffriamo, in questa vita. Guardate me. Tutti i giorni a combattere con i giapponesi come il signor Tagomi. E basta una semplice inflessione di voce sbagliata perché io ci sbatta il naso, e la mia vita divenga miserabile.

Poi gli venne un’idea. È chiaro che questo tipo non ha nessuna esperienza. Basta guardarlo in faccia. Magari posso farmi lasciare qualcosa in conto vendita. Vale la pena di provare.

«Ehi,» disse Childan.

L’uomo alzò subito gli occhi e li piantò su di luì.

Childan gli si avvicinò, sempre a braccia conserte. «Sembra che sia un momento tranquillo. Non le prometto niente, ma può mostrarmi alcuni dei suoi gioielli. Sposti quei portacravatte.» Glieli indicò col dito.

L’uomo annuì e cominciò a sgomberare una parte del bancone. Riaprì il suo cesto, e tornò a trafficare con le assi ricoperte di velluto.

Tirerà fuori tutto, si rese conto Childan. Ci metterà un’ora a sistemare ogni oggetto con cura. Continuerà a spostarli finché non avrà disposto tutto in bell’ordine. Sperando. Pregando. Guardandomi con la coda dell’occhio per vedere se mostro qualche interesse. Un interesse sia pur minimo.

«Li sistemi pure qui,» gli disse Childan. «Se non avrò troppo da fare, vedrò di dare un’occhiata.»

L’uomo si mise a lavorare freneticamente, come se quella frase lo avesse pungolato.

In quel momento entrarono diversi clienti, e Childan li salutò. Rivolse la sua attenzione a loro e alle loro esigenze, e si dimenticò del rappresentante che armeggiava con il suo campionario. Quest’ultimo, rendendosi conto della situazione, rallentò i movimenti, cercando di non dare fastidio. Childan vendette una vaschetta per barba, riuscì quasi a vendere un tappeto tessuto a mano, e incassò un anticipo su un tappeto afgano. Il tempo passò. Alla fine i clienti se ne andarono. Il negozio era di nuovo vuoto, a parte lui e il rappresentante.

Il rappresentante aveva terminato. Tutto il suo assortimento era in bella mostra sul velluto nero, sopra il bancone.

Childan si avvicinò senza fretta, si accese una Land-o-Smiles e rimase lì davanti molleggiandosi sui talloni, canticchiando sottovoce. Il rappresentante rimase in silenzio. Nessuno dei due disse una parola.

Alla fine Childan allungò la mano e prese una spilla. «Questa mi piace.»

«È un ottimo esemplare,» si affrettò a dire il rappresentante. «Non troverà il minimo graffio. Tutto rifinito al minio. E non perderà la lucentezza. Abbiamo spruzzato una lacca plastica che dura per anni. La miglior lacca industriale disponibile sul mercato.»

Childan annuì leggermente.

«Quello che abbiamo fatto,» aggiunse il rappresentante, «è adattare tecniche industriali sperimentate alla creazione di gioielli. Per quanto ne so, nessuno lo ha mai fatto prima d’ora. Niente stampi. Solo metallo su metallo. Fuso e saldato.» Fece una pausa. «Anche il retro è saldato.»

Childan sollevò due braccialetti. Poi una spilla, e poi un’altra spilla. Le tenne in mano per un attimo, quindi le mise da parte.

Il volto del rappresentante tradì un’improvvisa emozione. Speranza.

Esaminando il cartellino con il prezzo di una collana, Childan disse: «Questo è…»

«Il prezzo al dettaglio. A lei costa il cinquanta per cento. E se ne acquista, diciamo, per un centinaio di dollari, le offriamo un ulteriore sconto del due per cento.»

Childan mise da parte, uno dopo l’altro, parecchi altri pezzi. Ogni volta che ne aggiungeva uno, il rappresentante diventava sempre più agitato; parlava sempre più velocemente, ripetendosi in continuazione, e dicendo anche delle sciocchezze, tutto con un filo di voce, senza prendere fiato. È convinto che riuscirà a vendere, si rese conto Childan. Lui non tradiva la minima espressione, invece; continuava nel suo gioco di scegliere i pezzi.

«Questo è particolarmente bello,» ripeté il rappresentante, mentre Childan sceglieva un grosso pendente. Poi si fermò. «Credo che abbia scelto il meglio. Tutto il meglio.» L’uomo rise. «Lei ha proprio buon gusto.» Gli occhi lampeggiavano. Stava calcolando mentalmente il valore degli oggetti scelti da Childan. Il totale della vendita.

«Nel caso di merce nuova,» disse Childan, «noi abbiamo l’abitudine di prenderla in conto deposito.»

Per qualche secondo il rappresentante non capì. Smise di parlare, ma lo fissò con l’espressione vuota.

Childan gli sorrise.

«Conto deposito,» ripeté alla fine il rappresentante.

«Preferisce non lasciarla?» gli chiese Childan.

L’uomo riuscì a balbettare: «Intende dire che io la lascio qui e lei mi paga in seguito quando…»

«Lei avrà i due terzi dell’incasso. Quando i pezzi saranno stati venduti. In questo modo guadagnerà molto di più. Dovrà aspettare, naturalmente, ma…» Childan alzò le spalle. «La decisione spetta a lei. Magari posso anche esporli in vetrina. E se la cosa avrà successo, allora più tardi, diciamo fra un mese o due, con il nuovo ordine… be’, si può vedere di acquistare qualcosa in contanti.»

Il rappresentante aveva perso un’ora buona per mostrargli la merce, si rese conto Childan. Aveva tirato fuori tutto, mettendo sottosopra il campionario. E adesso gli ci vorrà un’altra ora per risistemare ogni cosa. Una pausa di silenzio. Nessuno dei due uomini parlò.

«Quei pezzi che ha messo da parte…» disse il rappresentante con un filo di voce. «Sono gli unici che vuole?»

«Sì. Può lasciarmeli tutti.» Childan trotterellò verso il suo ufficio nel retrobottega. «Le farò una ricevuta. Così avrà l’elenco di quello che mi ha consegnato.» Mentre ritornava con il blocchetto delle ricevute, aggiunse: «Lei si rende conto che quando della merce viene lasciata in conto deposito, il negozio non si assume nessuna responsabilità in caso di furto o di danneggiamento.» Fece firmare al rappresentante un foglio ciclostilato. Il negozio non avrebbe mai risposto per gli oggetti lasciati in deposito. E al momento di restituire la merce invenduta, se fosse mancato qualcosa… sarà stata rubata, si disse Childan. Nei negozi avvengono sempre dei furti. Soprattutto di oggetti piccoli come i gioielli.

Childan ne avrebbe ricavato comunque un vantaggio. Non doveva pagare nulla per quei gioielli; non investiva mai denaro in quel genere di articoli. Se ne avesse venduto qualcuno, ci avrebbe guadagnato, in caso contrario si sarebbe limitato a restituire tutto, o quello che fosse rimasto, al rappresentante, in una data imprecisata.

Childan compilò la ricevuta, elencando gli oggetti. La firmò e ne diede una copia al rappresentante. «Può chiamarmi,» gli disse, «fra un mesetto, o giù di lì. Per sapere come vanno le cose.»

Prese i gioielli che aveva scelto e si recò nel retrobottega, lasciando il rappresentante a raccogliere la merce che rimaneva.

Non pensavo che avrebbe accettato, pensò. Non si può mai sapere. È per questo che vale sempre la pena di provare.

Quando alzò di nuovo lo sguardo, si accorse che il rappresentante era pronto ad andarsene. Teneva il cesto sotto il braccio e il bancone era stato ripulito. Veniva verso di lui, tenendo in mano qualcosa.

«Sì?» disse Childan, che intanto stava controllando la posta.

«Voglio lasciarle il nostro biglietto da visita.» Il rappresentante depose sul bancone un curioso cartoncino grigio-rosso. «Edfrank — Gioielli su Misura. C’è il nostro indirizzo e il numero di telefono. Nel caso voglia mettersi in contatto con noi.»

Childan annuì, sorrise silenziosamente, e tornò al suo lavoro.