Ai pianificatori, gli uomini illuminati della Casa Bianca, era sembrato di avere quasi raggiunto il loro scopo. Le astronavi d’esplorazione si sarebbero ben presto spinte cautamente nel vuoto, partendo da un mondo che aveva visto la fine dei suoi annosi malanni: la fame, le malattie, la guerra, l’ignoranza. Nell’Impero Britannico, analoghe misure rivolte verso il progresso sociale ed economico avevano arrecato il medesimo sollievo alle masse dell’India, della Birmania, dell’Africa, del Medio Oriente. Le fabbriche della Ruhr, di Manchester, della Saar, il petrolio di Baku, tutto fluiva e interagiva in una armonia complessa ma funzionale; i popoli dell’Europa si crogiolavano in quella che appariva…
«Io credo che dovrebbero essere loro a governare,» disse Juliana, facendo una pausa. «Sono sempre stati i migliori. Gli inglesi.»
Joe non ribatté, anche se lei si attendeva una risposta. Alla fine ricominciò a leggere:
…la realizzazione del progetto di Napoleone; l’omogeneità razionale delle diverse tensioni etniche che avevano sconvolto e balcanizzato l’Europa dopo la caduta di Roma. E anche il progetto di Carlo Magno: la cristianità unita, totalmente in pace non solo con se stessa ma all’interno dell’equilibrio mondiale. Eppure… restava ancora un punto dolente.
Singapore.
Gli Stati della Malesia comprendevano una nutrita popolazione cinese, per lo più imprenditori, e quei borghesi intraprendenti vedevano nell’amministrazione americana della Cina un trattamento più equo di coloro che venivano definiti “gli indigeni”. Sotto il governo britannico, le razze dalla pelle più scura erano escluse dai circoli, dagli alberghi, dai ristoranti migliori; esse si ritrovavano, come ai vecchi tempi, confinate in particolari sezioni dei treni e degli autobus e, cosa forse peggiore, limitate nella possibilità di scegliersi la residenza all’interno delle città. Questi “indigeni” si resero conto, e ne ebbero conferma dalle loro conversazioni e dalla lettura dei giornali, che negli Stati Uniti d’America il problema del colore della pelle era stato risolto fin dal 1950. Bianchi e neri vivevano e lavoravano e mangiavano fianco a fianco, perfino nel profondo Sud; la Seconda Guerra Mondiale aveva posto termine a ogni discriminazione…
«C’è qualche problema?» chiese Juliana rivolta a Joe.
Lui grugnì, tenendo gli occhi sulla strada.
«Dimmi quello che succede,» disse lei. «So che non lo finirò; saremo a Denver fra poco. Americani e inglesi finiranno per farsi la guerra, e i vincitori domineranno il mondo?»
Dopo una breve pausa, Joe rispose: «In un certo senso non è un brutto libro. Sono descritti tutti i particolari; gli Stati Uniti hanno il Pacifico, più o meno come la nostra Sfera di Prosperità Comune dell’Asia Orientale. Si dividono la Russia. La cosa funziona per una decina d’anni. Poi, naturalmente, sorgono dei problemi.»
«Perché naturalmente?»
«La natura umana,» aggiunse Joe. «La natura degli Stati. Sospetto, paura, avidità. Churchill ritiene che gli Stati Uniti stiano minando le basi della dominazione britannica in Asia facendo appello all’enorme massa di popolazione cinese, che naturalmente è dalla parte degli americani per via di Chiang Kai-shek. Gli inglesi cominciano a organizzare,» le rivolse un breve sogghigno, «quelle che chiamano “riserve di detenzione”. In altre parole, campi di concentramento per migliaia di cinesi potenzialmente non fedeli al regime. Vengono accusati di sabotaggio e propaganda sovversiva. Churchill è così…»
«Vuoi dire che è ancora al potere? Ma non ha quasi novant’anni?»
«È proprio qui che il sistema inglese si dimostra migliore di quello americano,» Joe rispose. «Gli Stati Uniti cambiano ogni otto anni il loro presidente, per quanto sia bravo… mentre Churchill è sempre lì. Dopo Tugwell gli Stati Uniti non hanno più avuto un capo paragonabile a Churchill. Solo mezze figure. E più invecchia, più diventa rigido e autocratico… Churchill, intendo. Finché verso il 1960 è come uno dei vecchi capi guerrieri dell’Asia centrale; nessuno riesce più a opporsi a lui. È al potere da vent’anni.»
«Buon Dio,» disse lei, sfogliando l’ultima parte del libro per verificare quello che aveva detto Joe.
«Su questo sono d’accordo,» disse Joe. «Churchill è stato l’unico grande leader che gli inglesi abbiano avuto durante la guerra; se lo avessero lasciato al governo, adesso starebbero molto meglio. Te lo dico io: uno Stato non è migliore di chi lo guida. Führerprinzip… il Principio del Capo, come dicono i nazisti. Hanno ragione. Anche questo Abendsen deve riconoscerlo. Certo, gli Stati Uniti d’America si espandono economicamente dopo la vittoria nella guerra contro il Giappone perché riescono a conquistare l’enorme mercato asiatico strappato ai giap. Ma questo non basta; non c’è spiritualità. Non che gli inglesi ne abbiano. Sono due plutocrazie, nelle mani dei ricchi. Se avessero vinto, avrebbero pensato solo a far soldi, quello sarebbe stato l’unico problema delle classi dominanti. Abendsen si sbaglia; non ci sarebbe nessuna riforma sociale, nessun piano per lavori di pubblica utilità… i plutocrati anglosassoni non lo avrebbero consentito.»
Detto da un fascista convinto, pensò Juliana.
Evidentemente Joe intuì dalla sua espressione ciò che pensava; si girò verso di lei, rallentando la macchina, un occhio su di lei, uno sulla strada. «Stammi a sentire, io non sono un intellettuale… il fascismo non ne ha bisogno. Quello che serve è l’azione. La teoria deriva dall’azione. Ciò che ci chiede il nostro stato corporativo è la comprensione delle forze sociali… della storia. Capisci? Te lo dico io; lo so bene, Juliana.» Il suo tono era convinto, quasi implorante. «Quei vecchi imperi corrotti dove dominava il denaro, l’Inghilterra, la Francia e gli Stati Uniti, benché questi ultimi fossero una specie di derivazione bastarda, non proprio un impero, ma tuttavia ugualmente orientati verso il denaro… non avevano anima, e di conseguenza non avevano futuro. Nessuna possibilità di crescita. I nazisti sono un manipolo di banditi da strada, sono d’accordo. E sei d’accordo anche tu, è giusto?»
Lei non poté fare a meno di sorridere; il suo modo di fare italiano aveva avuto il sopravvento su di lui, impegnato a guidare e a parlare nello stesso tempo.
«Abendsen parla come se fosse poi così importante quale delle due nazioni, Inghilterra o Stati Uniti, alla fine riuscirà a prevalere. Balle! Non ha nessuna importanza, non c’è nessun significato storico. L’una vale l’altra. Hai mai letto ciò che ha scritto il Duce? Parole ispirate. Un uomo straordinario, una prosa straordinaria. Ti spiega la realtà nascosta in ogni evento. La vera posta in gioco in guerra era: il vecchio contro il nuovo. Il denaro — ecco perché i nazisti tirarono in ballo ingannevolmente la questione ebraica — contro lo spirito comune delle masse, quello che i nazisti chiamano Gemeinschaft… identità collettiva. Come i sovietici. La comunità. Giusto? Solo che i comunisti vi associarono le ambizioni imperialistiche pan-slave di Pietro il Grande, e trasformarono la riforma sociale in uno strumento per realizzare quelle ambizioni.»
Come ha fatto Mussolini, pensò Juliana. Esattamente.