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«Sì, signor Tagomi. Quando possiamo incontrarci?»

«Molto presto. Fra mezz’ora.» Il signor Tagomi diede un’occhiata alla sveglia in camera da letto, cercando di vedere che ora fosse. «C’è una terza persona: il signor Baynes. Devo contattarlo. Potrebbe esserci un piccolo ritardo, ma…»

«Vogliamo vederci fra due ore, signore?» disse il signor Yatabe.

«Sì,» rispose il signor Tagomi, con un inchino.

«Nel suo ufficio al Nippon Times Building.»

Il signor Tagomi si inchinò una seconda volta.

Clic. Il signor Yatabe aveva riappeso.

Il signor Baynes sarà contento, pensò il signor Tagomi. Come un gatto a cui venga gettato un pezzo di salmone, per esempio la coda grassa e saporita. Premette sulla forcella del telefono, poi compose rapidamente il numero dell’Abhirati Hotel.

«Il tormento è finito,» disse quando gli giunse la voce assonnata del signor Baynes.

La voce smise immediatamente di essere assonnata. «È qui?»

«Nel mio ufficio,» disse il signor Tagomi. «Alle nove e venti. Arrivederci.» Riattaccò e tornò in bagno per finire di radersi. Non c’era tempo di fare colazione; dirò al signor Ramsey di pensarci, appena saranno arrivati tutti in ufficio. Forse potremmo mangiare tutti e tre insieme… mentre si radeva, organizzò mentalmente una ricca colazione.

Baynes rimase in piedi, in pigiama, davanti al telefono, grattandosi la fronte e riflettendo. Peccato che mi sia mosso e abbia contattato quell’agente, pensò. Se avessi aspettato solo un giorno in più…

Ma probabilmente non era successo niente di male. Però quel giorno doveva tornare ai Grandi Magazzini. E se non mi facessi vedere? Potrei scatenare una reazione a catena; penserebbero che sono stato assassinato o qualcosa del genere. Tenterebbero di rintracciarmi.

Non importa. Perché lui è qui. Finalmente. L’attesa è finita.

Baynes si affrettò verso il bagno e si accinse a radersi.

Non ho il minimo dubbio che il signor Tagomi lo riconoscerà nel momento stesso in cui lo vedrà, decise. A questo punto possiamo fare a meno della copertura del “signor Yatabe”. Anzi, possiamo fare a meno di ogni copertura, di ogni finzione.

Appena ebbe finito di farsi la barba, Baynes balzò dentro la doccia. Mentre l’acqua scendeva scrosciando, lui si mise a cantare a pieni polmoni:

“Wer reitet so spät, Durch Nacht und den Wind? Es ist der Valer Mit seinem Kind.”
“Chi cavalca così tardi nella notte e nel vento? È il padre insieme a suo figlio.”

Probabilmente ormai è troppo tardi perché l’SD possa fare qualcosa, pensò. Anche se lo scoprissero. Perciò forse posso smettere di preoccuparmi; almeno, di preoccuparmi delle cose più banali. Delle cose piccole, limitate, che pago direttamente sulla pelle.

Quanto al resto… adesso si può cominciare.

CAPITOLO UNDICESIMO

Per il console del Reich a San Francisco, Freiherr Hugo Reiss, il primo impegno di quella particolare giornata fu inatteso e angoscioso. Quando giunse in ufficio trovò un visitatore già in attesa, un uomo di mezza età, tarchiato, dalla mascella massiccia, con la pelle butterata e una smorfia di disapprovazione che gli congiungeva le sopracciglia nere e folte. L’uomo si alzò e fece il saluto della Partei, mormorando nello stesso tempo: «Heil.»

«Heil,» disse Reiss. Dentro di sé gemette, ma riuscì a mantenere un sorriso formale. «Herr Kreuz vom Meere. Sono sorpreso. Non vuole accomodarsi?» Aprì con la chiave il suo ufficio, domandandosi dove fosse il viceconsole, e chi avesse fatto entrare il capo dell’SD. Comunque, eccolo lì. Ormai era tardi per fare qualcosa.

Con le mani infilate nelle tasche del cappotto nero di lana, Kreuz vom Meere lo seguì. «Mi ascolti, Freiherr,» disse, «abbiamo localizzato quell’uomo dell’Abwehr, Rudolf Wegener. Si è fatto vivo con un vecchio agente di collegamento che tenevamo d’occhio.» Kreuz vom Meere ridacchiò, mostrando degli enormi denti d’oro. «E lo abbiamo seguito fino al suo albergo.»

«Bene,» commentò Reiss, notando che la posta era già sulla sua scrivania. Perciò Pferdehuf era lì intorno. Certamente aveva lasciato l’ufficio chiuso a chiave per evitare che il capo dell’SD ci ficcasse il naso.

«Questo è importante,» disse Kreuz vom Meere. «Ho già informato Kaltenbrunner. Priorità assoluta. Lei dovrebbe ricevere un comunicato da Berlino da un momento all’altro. A meno che quegli Unratfressers [Mangiatori di rifiuti] in patria non combinino qualche pasticcio.» Si sistemò sulla sedia del console, prese dalla tasca del cappotto un foglio di carta arrotolato, lo distese accuratamente, muovendo le labbra. «Si fa chiamare Baynes e si spaccia per un industriale o un rappresentante svedese, o per qualcuno che è legato al mondo economico. Questa mattina alle otto e dieci ha ricevuto una telefonata da un funzionario giapponese che gli ha fissato un appuntamento alle nove e venti presso il suo ufficio. Stiamo cercando di rintracciare da dove provenisse la telefonata. Probabilmente lo sapremo entro mezz’ora. Me lo comunicheranno qui.»

«Capisco,» disse Reiss.

«Ora, noi possiamo prendere quest’uomo,» proseguì Kreuz vom Meere. «In tal caso, naturalmente, lo rispediamo subito nel Reich con il primo volo della Lufthansa. Però o i giap o Sacramento potrebbero protestare e tentare di bloccarci. Se lo faranno, protesteranno con lei. In effetti possono esercitare una grande pressione, e invieranno all’aeroporto un camion pieno di quei duri della Tokkoka.»

«Non può impedire che lo vengano a sapere?»

«È troppo tardi. È già in viaggio verso il suo appuntamento. Potrebbe essere necessario prelevarlo proprio sul posto. Fare un’irruzione, prenderlo e filarsela.»

«La cosa non mi piace.» disse Reiss. «E se avesse l’appuntamento con qualche funzionario giapponese di rango molto elevato? In questo momento a San Francisco potrebbe esserci un rappresentante personale dell’Imperatore. L’altro giorno ho sentito delle voci…»

Kreuz vom Meere lo interruppe. «Non ha nessuna importanza. È un tedesco, ed è soggetto alla legge del Reich.»

E noi sappiamo quale sia la legge del Reich, pensò Reiss.

«Ho una squadra di Kommando pronta a intervenire,» continuò Kreuz vom Meere. «Cinque uomini molto in gamba.» Fece una risatina. «Sembrano dei violinisti. Belle facce ascetiche, piene di spirito. Come degli studenti di teologia. Riusciranno ad entrare. I giap penseranno che si tratti di un quartetto d’archi…»

«Un quintetto,» lo corresse Reiss.

«Sì. Si presenteranno direttamente alla porta… sono vestiti in modo idoneo.» Squadrò Reiss. «Sono eleganti come lei, più o meno.»

Grazie, pensò Reiss.

«Sotto gli occhi di tutti. Alla luce del sole. Raggiungeranno questo Wegener, gli si stringeranno intorno. Sembrerà che vogliano parlare con lui. Una comunicazione importante.» Kreuz vom Meere continuò con voce monotona, mentre il console apriva la posta. «Niente violenza. Solo: “Herr Wegener, venga con noi, prego. Lei capisce.” E tra le vertebre della sua spina dorsale un piccolo ago. Zac. Gangli superiori paralizzati.»

Reiss annuì.

«Mi sta ascoltando?»

«Ganz bestimmt [Certamente]»

«Poi fuori, alla macchina. E nel mio ufficio. I giap faranno un casino del diavolo. Ma saranno educati fino all’ultimo.» Kreuz vom Meere si allontanò pesantemente dalla scrivania e mimò ironicamente l’inchino di un giapponese. «“È stato molto volgare ingannarci così, Herr Kreuz vom Meere. Comunque, arrivederci, Herr Wegener…”»