Baynes rispose: «L’amministrazione dell’Est, cioè del territorio attualmente sotto il controllo giapponese, verrebbe affidata al Ministero degli Esteri. Uomini di Rosenberg, in stretta collaborazione con la Cancelleria. Questo è stato un argomento di discussione molto contrastato, l’anno scorso, fra i dirigenti. Ho le fotocopie degli appunti. La polizia ha rivendicato l’autorità, ma è stata messa da parte. Deve occuparsi delle colonie spaziali, Marte, Luna, Venere. Quello è il suo campo d’azione. Una volta sistemata questa ripartizione di autorità, la polizia ha esercitato tutta la sua influenza per sostenere il programma spaziale e per opporsi a Dente di Leone.»
«Rivalità,» disse il generale Tedeki. «Il Capo mette i gruppi uno contro l’altro, in modo che nessuno lo minacci mai direttamente.»
«È vero,» disse Baynes. «È per questo motivo che sono stato inviato qui, per richiedere il suo interessamento. Sarebbe ancora possibile intervenire; la situazione è fluida. Ci vorranno mesi prima che il dottor Goebbels possa consolidare la sua posizione. Dovrà far fuori la polizia, e magari mandare al patibolo Heydrich e altri esponenti di rilievo delle SS e dell’SD. Una volta fatto questo…»
«Dobbiamo sostenere il Sicherheitsdienst?» lo interruppe il generale Tedeki. «La parte più crudele della società tedesca?»
«Proprio così,» disse Baynes.
«L’Imperatore,» disse il generale Tedeki, «non tollererebbe mai questa politica. Considera i corpi scelti del Reich, chiunque indossi una divisa nera, come il simbolo della morte, il Sistema del Castello… per lui, tutto questo è male.»
Male, pensò il signor Tagomi. Sì, lo è. Dobbiamo aiutarlo a guadagnare potere, per salvare le nostre vite? È questo il paradosso della nostra situazione terrena?
Non riesco a risolvere questo dilemma, si disse il signor Tagomi. Che l’uomo debba agire in una simile ambiguità morale. Non c’è Via in tutto ciò; è tutto sottosopra. Tutto il caos della luce e delle tenebre, dell’ombra e della sostanza.
«La Wehimacht,» disse Baynes, «i militari, sono loro gli unici nel Reich a possedere la bomba all’idrogeno. Quando l’hanno usata le camicie nere, lo hanno fatto soltanto sotto la supervisione dell’esercito. La Cancelleria, sotto Bormann, non ha mai consentito che la polizia potesse disporre di qualsiasi armamento nucleare. Nell’operazione Dente di Leone tutto verrà affidato alla OKW, l’Alto Comando dell’Esercito.»
«Capisco,» disse il generale Tedeki.
«Le pratiche morali delle camicie nere oltrepassano in ferocia quelle della Wehrmacht. Ma il loro potere è minore. Noi dobbiamo ragionare solo in termini di realismo, sul potere effettivo. Non sulle questioni etiche.»
«Sì, occorre essere realisti,» disse ad alta voce il signor Tagomi.
Sia Baynes che il generale Tedeki lo fissarono.
Rivolto al signor Baynes, il generale disse: «Che cosa propone, in concreto? Che prendiamo contatto con l’SD, qui negli Stati Americani del Pacifico? Che negoziamo direttamente con… ignoro chi sia al comando, qui. Qualche personaggio disgustoso, immagino.»
«L’SD locale non sa niente,» disse Baynes. «Il loro capo, Bruno Kreuz vom Meere, è un vecchio burocrate della Partei. Etn Altparteigenosse. È un imbecille. A Berlino nessuno si sognerebbe di dirgli qualcosa; lui si limita a svolgere incarichi di ordinaria amministrazione.»
«E allora chi?» Il generale sembrava adirato. «Il console di qui, o l’ambasciatore del Reich a Tokyo?»
Questa conversazione non andrà a buon fine, pensò il signor Tagomi. Qualunque sia la posta in gioco, noi non possiamo penetrare nella mostruosa palude schizofrenica del micidiale intrigo nazista; le nostre menti sono incapaci di adattarvisi.
«La faccenda deve essere condotta con molto tatto,» disse Baynes. «Attraverso una serie di intermediari. Qualcuno vicino a Heydrich che si trovi al di fuori del Reich, in un paese neutrale. O qualcuno che viaggi con regolarità fra Tokyo e Berlino.»
«Ha qualche nome in mente?»
«Il Ministro degli Interni italiano, il conte Ciano. Un uomo intelligente, affidabile, molto coraggioso, completamente votato alla distensione internazionale. Però… i suoi rapporti con l’apparato dell’SD sono praticamente inesistenti. Ma potrebbe lavorare attraverso qualcun altro in Germania, attraverso i potentati economici come i Krupp, o il generale Speidel, o magari anche qualche personaggio della Waffen-SS. La Waffen-SS è meno fanatica, più in linea con la società tedesca.»
«La sua organizzazione, l’Abwehr… sarebbe inutile tentare di arrivare a Heydrich attraverso di voi.»
«Le camicie nere non ci possono vedere. Sono vent’anni che cercano di ottenere dalla Partei l’approvazione per la nostra eliminazione in toto.»
«Lei non corre un rischio eccessivo, con loro?» disse il generale Tedeki. «A quanto mi risulta, qui sulla Costa del Pacifico sono piuttosto attive.»
«Attive, ma inette,» replicò Baynes. «L’uomo del Ministero degli Esteri, Reiss, è abile, ma è ostile all’SD.» Si strinse nelle spalle.
«Vorrei le sue fotocopie,» disse il generale Tedeki. «Per farle avere al mio governo. Tutto il materiale in suo possesso riguardo a questo dibattito in Germania. E…» Rifletté. «Prove. Di natura obiettiva.»
«Certamente,» disse Baynes. Si frugò nella giacca e ne estrasse un portasigarette piatto d’argento. «In ogni sigaretta troverà un contenitore cavo per microfilm.» Porse il portasigarette al generale Tedeki.
«E il portasigarette?» chiese il generale, esaminandolo. «Mi sembra un oggetto troppo prezioso per darlo via.» Cominciò a sfilare le sigarette.
Con un sorriso, Baynes gli disse: «Lo tenga pure.»
«Grazie.» Sorridendo anche lui, il generale ripose il portasigarette nella tasca del cappotto.
L’interfono ronzò. Il signor Tagomi premette il pulsante.
Si sentì la voce del signor Ramsey. «Signore, nell’atrio al piano terra c’è un gruppo di uomini dell’SD; vogliono occupare l’edificio. Le guardie stanno cercando di fermarli.» L’urlo di una sirena a distanza; veniva dall’esterno, in basso, proprio sotto la finestra del signor Tagomi. «Sta arrivando la Polizia Militare, e anche la Kempeitai di San Francisco.»
«Grazie, signor Ramsey,» disse il signor Tagomi. «Lei ha fatto una cosa molto onorevole, informandoci con tanta calma.» Il signor Baynes e il generale Tedeki ascoltavano, tesi. «Signori,» disse il signor Tagomi, «certamente noi elimineremo quei sicari dell’SD prima che raggiungano questo piano.» Poi, rivolto al signor Ramsey: «Faccia togliere la corrente agli ascensori.»
«Sì, signor Tagomi.» Ramsey interruppe la comunicazione.
«Aspetteremo,» disse il signor Tagomi. Aprì il cassetto della scrivania e prese una scatola in legno di tek; la aprì e ne estrasse una Colt 44 perfettamente conservata della Guerra Civile, un pezzo da collezionisti di grande valore. Poi prese una scatoletta con la polvere e le pallottole, e cominciò a caricare l’arma. Il signor Baynes e il generale Tedeki lo fissarono con gli occhi sgranati.
«Una parte della mia collezione personale,» disse il signor Tagomi. «Nelle ore libere mi sono spesso dedicato a vanitosi esercizi per imparare a maneggiarla e a sparare rapidamente. Devo ammettere di reggere piuttosto bene il confronto con altri appassionati, in fatto di velocità. Ma fino ad ora non ho mai avuto occasione di servirmene.» Brandì l’arma in modo impeccabile e la puntò in direzione della porta. Rimase seduto ad aspettare.
Seduto al banco da lavoro del laboratorio nello scantinato, Frank Frink era impegnato all’albero rotante. Premeva un orecchino d’argento incompleto contro la spazzola di cotone che girava rumorosamente; schizzi di rosso gli macchiavano gli occhiali e gli annerivano le unghie e le mani. L’orecchino, sagomato a forma di chiocciola, divenne quasi rovente per la frizione, ma Frink lo premette ancora di più, con tenace accanimento.