Acquistarono un abito dal taglio impeccabile, fatto di una delle nuove fibre sintetiche della Du Pont, il dacron. Poi calzini, biancheria e un paio di scarpe alla moda, con la punta. Che altro? si chiese Juliana. Camicie. E cravatte. Scelse insieme al commesso due camicie bianche con i polsini alla francese, e parecchie cravatte anch’esse francesi. Ci vollero solo quaranta minuti per comprare tutto l’occorrente per lui; lei si meravigliò di avere fatto così presto, a confronto del tempo che aveva impiegato per sé.
Il vestito di Joe avrebbe bisogno di qualche ritocco, pensò lei. Ma Joe si era innervosito di nuovo; pagò il conto con le banconote della Reichsbank che aveva con sé. C’è qualche altra cosa che serve, si disse Juliana. Un portafogli nuovo. Così lei e il commesso scelsero un portafogli nero in pelle di coccodrillo, e fu tutto. Lasciarono il negozio e tornarono alla macchina; erano le quattro e mezzo e gli acquisti, almeno per quanto riguardava Joe, erano finiti.
«Non vuoi farti stringere un po’ la linea della vita?» gli chiese, mentre guidavano nel traffico del centro di Denver. «Il tuo vestito…»
«No.» La sua voce, brusca e impersonale, la fece trasalire.
«Cosa c’è che non va? Ho speso troppo?» Lo so che è questo, si disse; ho speso troppo. «Potrei riportare indietro qualche gonna.»
«Andiamo a mangiare,» disse lui.
«Oh, Dio,» esclamò Juliana. «Ecco che cosa mi sono dimenticata. Le camicie da notte.»
Lui la guardò con aria truce.
«Non vuoi che mi compri qualche bel pigiama nuovo?» disse lei. «Così sarò tutta fresca e…»
«No.» Joe scosse la testa. «Scordatene. Cerchiamo un posto per mangiare.»
«Prima andremo a fissare una camera in albergo,» disse Juliana con voce decisa. «Così potremo cambiarci. Dopo andremo a cena.» E sarà meglio che sia un ottimo albergo, pensò, o fra noi è tutto finito. Anche a questo punto. E all’albergo chiederemo quale sia il miglior ristorante di Denver. E ci faremo dire il nome di un buon locale notturno dove si possa assistere a uno spettacolo di quelli che si vedono una volta nella vita, non qualche artista locale ma un grosso nome europeo, come Eleanor Perez o Willie Beck. So che a Denver vengono personaggi di grande rilievo, perché ho visto la pubblicità. E non mi contenterò di niente di meno.
Mentre cercavano un buon albergo, Juliana continuò a osservare l’uomo accanto a lei. Con i capelli corti e biondi, e i vestiti nuovi, non sembra proprio la stessa persona, pensò. Mi piace di più così? Difficile dirlo. E quanto a me… quando sarò riuscita ad andare dal parrucchiere, saremo quasi due persone differenti. Create dal nulla, anzi dal denaro. Ma devo andare a farmi i capelli, si disse.
Trovarono un grande, imponente albergo nel centro di Denver con un portiere in livrea che si occupò di parcheggiare la macchina. Era quello che lei desiderava. E un fattorino — per la verità un uomo maturo, ma con l’uniforme marrone — comparve sollecitamente e trasportò tutte le loro valigie e i pacchi, lasciandoli liberi di salire comodamente gli ampi gradini ricoperti da un tappeto, sotto il tendone, attraversare la porta a vetri e, infine, entrare nell’atrio.
Su ogni lato dell’atrio c’erano piccoli negozi, dove si vendevano fiori, articoli da regalo, dolciumi; c’era poi l’ufficio telegrafico, il banco per prenotare i voli aerei, un gran viavai di clienti al bureau e agli ascensori, enormi piante in vaso, e sotto i loro piedi i tappeti, folti e soffici. Juliana poteva sentire l’odore dell’albergo, delle persone, dell’attività. Insegne al neon indicavano in quale direzione si trovasse il ristorante, la sala cocktail, lo snack-bar. Lei riuscì a stento a rendersi conto di tutto, mentre attraversavano l’atrio e finalmente giungevano al bureau.
C’era perfino una libreria.
Mentre Joe firmava il registro, lei si scusò e corse verso la libreria per vedere se avevano La cavalletta. Sì, ce n’era una bella pila di copie, con un cartellino che informava quanto quel libro fosse popolare e importante, e naturalmente che era verboten nei territori controllati dai tedeschi. Una donna sorridente di mezza età, con l’aspetto di una brava nonna, la servì; il libro costava quasi quattro dollari, il che a Juliana sembrò un’enormità, ma lo pagò con una banconota della Reichsbank che sfilò dal sua borsetta nuova, poi tornò indietro per raggiungere Joe.
Facendo strada con tutti i loro bagagli, il fattorino li condusse all’ascensore e poi su fino al secondo piano, lungo il corridoio, caldo e silenzioso, anch’esso provvisto di tappeti, fino alla loro stanza, bella da togliere il fiato. Il fattorino aprì loro la porta, portò tutto dentro, sistemò la finestra e le luci; Joe gli diede la mancia e lui se ne andò, richiudendosi la porta alle spalle.
Tutto era esattamente come lei desiderava.
«Quanto ci tratterremo a Denver?» chiese a Joe, che aveva cominciato ad aprire i pacchetti sopra il letto. «Prima di andare a Cheyenne?»
Lui non rispose; era tutto preso dal contenuto della sua valigia.
«Un giorno o due?» gli chiese ancora Juliana, mentre si sfilava la pelliccia nuova. «Credi che possiamo fermarci per tre giorni?»
Alzando la testa, Joe rispose: «Andremo via stasera.»
All’inizio lei non capì; e quando capì, non lo prese sul serio. Lo guardò, e lui ricambiò lo sguardo con un’espressione sogghignante, quasi di scherno, il viso stravolto da una enorme tensione, più di quanto le fosse mai capitato di vedere prima in un essere umano. Non si muoveva; sembrava paralizzato, con le mani piene dei suoi vestiti, estratti dalla valigia, il corpo piegato.
«Dopo aver cenato,» aggiunse.
Lei non riuscì a trovare nulla da dire.
«Perciò mettiti quel vestito azzurro che costa un occhio della testa,» le disse. «Quello che ti piace tanto; quello così bello… capisci?» Adesso lui cominciò a sbottonarsi la camicia. «Vado a radermi e a fare una bella doccia calda.» La sua voce aveva un timbro meccanico, come se parlasse da qualche miglia di distanza attraverso un apparecchio; si voltò, e si diresse verso il bagno a passo rigido, scattante.
Con difficoltà, lei riuscì a dire: «Stasera è troppo tardi.»
«No. Avremo finito di cenare verso le cinque e mezzo, le sei al massimo. Possiamo essere a Cheyenne in due ore, due ore e mezzo. Cioè verso le otto e mezzo. Diciamo alle nove al massimo. Possiamo telefonare da qui, dire ad Abendsen che stiamo arrivando, spiegargli la situazione. Questo gli farà una buona impressione, una telefonata interurbana. Gli diremo così… siamo diretti verso la Costa Occidentale, ci fermiamo a Denver solo per questa notte. Ma siamo così entusiasti del suo libro che siamo disposti ad arrivare fino a Cheyenne e ritornare in nottata, solo per avere l’occasione di…»
«Perché?» lo interruppe Juliana.
I suoi occhi cominciarono a riempirsi di lacrime, e lei si ritrovò a stringere i pugni, con i pollici all’interno, come faceva da bambina; sentì che la mascella le tremava, e quando parlò la sua voce era appena udibile. «Io non voglio andare a trovarlo stasera; non ci vengo. Non voglio più andarci, nemmeno domani. Voglio solo restare qui a vedere quello che c’è da vedere. Come mi avevi promesso.» E mentre parlava, riaffiorò di nuovo la paura con un senso di oppressione al petto, quel tipo di panico cieco che non era mai del tutto scomparso, nemmeno nei momenti più felici trascorsi insieme a lui. Tornò a galla e si impossessò di lei; lo sentì vibrare sul suo volto, manifestarsi in modo così evidente che anche Joe non fece fatica ad accorgersene.
«Faremo un salto laggiù e poi, quando saremo tornati… vedremo quello che c’è da vedere qui.» Si espresse in modo pacato, ma sempre con mortale freddezza, come se stesse recitando.