«No,» disse lei.
«Mettiti quel vestito azzurro.» Frugò fra i pacchi finché non lo trovò dentro la scatola più grande. Sfilò accuratamente il nastro, tirò fuori il vestito, e lo stese sul letto con precisione; tutto senza fretta. «D’accordo? Sarai uno schianto. Ascoltami, ci compriamo una bottiglia di scotch di marca e ce la portiamo appresso. Del Vat 69.»
Frank, pensò. Aiutami. Mi trovo in mezzo a qualcosa che non capisco.
«È molto più lontano di quanto tu creda,» disse. «Ho guardato la carta geografica. Sarà tardissimo, quando arriveremo là, le undici passate, forse mezzanotte.»
«Mettiti quel vestito o ti ammazzo,» disse lui.
Juliana chiuse gli occhi e cominciò a ridacchiare. Il mio allenamento, pensò. Era vero, dopotutto; adesso vedremo. Può uccidermi, oppure io posso stringergli un nervo della schiena e azzopparlo per tutta la vita? Ma lui ha combattuto contro quei commandos inglesi; ci è già passato, tanti anni fa.
«So che forse puoi mettermi al tappeto,» disse Joe. «O forse no.»
«Non metterti al tappeto,» disse lei. «Storpiarti per sempre. Posso farlo davvero Ho vissuto sulla Costa Occidentale. Me l’hanno insegnato i giap, su a Seattle. Tu va’ pure a Cheyenne, se vuoi, e lasciami qui. Non tentare di costringermi. Tu mi fai paura e io ce la metterò tutta…» La voce le si spezzò. «Ce la metterò tutta per farti molto male, se ti avvicini.»
«Oh, andiamo… mettiti quel maledetto vestito! Cosa significa tutta questa storia? Devi essere impazzita, per parlare di uccidere e di storpiare, solo perché voglio che tu venga in macchina con me dopo cena, e ce ne andiamo a trovare questo tipo il cui libro…»
Qualcuno bussò alla porta.
Joe andò ad aprirla con andatura impettita. Un giovane in divisa, dal corridoio, disse: «Servizio guardaroba, signore. L’ha chiesto al bureau, signore.»
«Oh, sì,» disse Joe, dirigendosi verso il letto; raccolse le camicie bianche nuove che aveva acquistato e le portò al fattorino. «Puoi farmele riavere entro mezz’ora?»
«Basta stirare le pieghe,» disse il ragazzo, esaminandole. «Non c’è bisogno di lavarle. Sì, sono sicuro che è possibile, signore.»
Mentre Joe richiudeva la porta, Juliana disse: «Come facevi a sapere che una camicia bianca nuova non può essere indossata finché non è stirata?»
Lui non disse nulla; si limitò ad alzare le spalle.
«Me l’ero dimenticato,» disse Juliana. «E una donna dovrebbe saperlo… quando le tiri fuori dal cellofan, sono tutte spiegazzate.»
«Da giovane ero abituato a vestirmi bene e uscivo spesso.»
«Come facevi a sapere che l’albergo ha un servizio di guardaroba? Io non lo sapevo. È proprio vero che ti sei fatto tagliare e tingere i capelli? Io credo che i tuoi capelli siano sempre stati biondi, e che tu portassi una parrucca. Non è così?»
Lui alzò di nuovo le spalle.
«Devi essere un agente dell’SD,» disse lei. «Che si spaccia per un camionista italiano. Non hai mai combattuto in Nord Africa, vero? Probabilmente sei venuto qui per uccidere Abendsen; non è così? So che è così. Credo di essere piuttosto stupida.» Si sentiva prosciugata, inaridita.
Dopo una pausa, Joe disse: «Ma certo che ho combattuto in Nord Africa. Magari non con la batteria d’artiglieria di Pardi. Con i Brandeburghesi.» Poi aggiunse. «Commandos della Wehrmacht. Ci siamo infiltrati nel Quartier Generale degli inglesi. Non vedo quale sia la differenza; ne abbiamo compiute, di azioni. E sono stato al Cairo; è lì che mi sono guadagnato la medaglia e una promozione sul campo. Caporale.»
«Quella penna stilografica è un’arma?»
Lui non rispose.
«Una bomba,» si rese conto lei all’improvviso, parlando ad alta voce. «Una bomba camuffata, regolata per esplodere quando qualcuno la tocca.»
«No,» disse lui. «Quella che hai visto è una ricetrasmittente a due watt. Per potersi tenere in contatto radio. Nel caso ci sia un cambiamento nel programma, con questa situazione politica di Berlino che cambia da un giorno all’altro.»
«Ti metti in contatto un attimo prima di farlo. Per essere sicuro.»
Lui annuì.
«Tu non sei italiano, sei tedesco.»
«Svizzero.»
«Mio marito è ebreo,» lei disse.
«Non me ne importa niente di che cos’è tuo marito. Tutto quello che voglio da te è che ti metta quel vestito e ti prepari per andare a cena. Pettinati in qualche modo; mi dispiace che tu non sia potuta andare dal parrucchiere. Forse il salone di bellezza dell’albergo è ancora aperto. Potresti andarci mentre io aspetto che mi riportino le camicie e faccio la doccia.»
«Come lo ucciderai?»
«Ti prego, metti il tuo vestito nuovo, Juliana,» disse Joe. «Io chiamo il bureau e chiedo se c’è una parrucchiera.» Si diresse verso l’apparecchio.
«Perché vuoi che venga con te?»
Mentre componeva il numero, Joe rispose: «Abbiamo un dossier su Abendsen e pare che sia attratto da un certo tipo di donna bruna e passionale. Il tipo medio-orientale o mediterraneo.»
Mentre Joe parlava con il personale dell’albergo, Juliana fece qualche passo e si sdraiò sul letto. Chiuse gli occhi e si portò le mani al volto.
«C’è una parrucchiera,» annunciò Joe quando ebbe riappeso. «E può occuparsi subito di te. Scendi nel salone; è al mezzanino.» Le porse qualcosa; Juliana aprì gli occhi e vide che erano altre banconote della Reichsbank. «Per pagare.»
«Lasciami qui sdraiata. Ti dispiace?» disse lei.
Lui la squadrò con un’espressione di acuta curiosità e partecipazione.
«Seattle è oggi come sarebbe stata San Francisco,» disse lei, «se non ci fosse stato il grande incendio. Vecchie case di vero legno e alcune di mattoni, e poi le colline, come a San Francisco. Là i giapponesi ci abitavano da molto prima della guerra. Hanno un loro quartiere degli affari, abitazioni, negozi e tutto il resto. Molto antico. È un porto. Questo piccolo, vecchio giapponese che mi ha addestrato… ero andata da lui con un tizio della marina mercantile, e mentre stavo là ho cominciato a prendere delle lezioni. Minoru Ichoyasu, si chiamava; indossava il panciotto e la cravatta. Era rotondo come uno yo-yo. Insegnava all’ultimo piano di un palazzo per uffici giapponese; aveva il nome scritto sulla porta con quelle antiquate lettere dorate, e c’era un’anticamera che sembrava quella di un dentista. Con dei numeri del National Geographics.»
Chinandosi verso di lei, Joe la prese per un braccio e la fece mettere seduta; la sostenne, la rimise in piedi. «Che ti succede? Ti comporti come se stessi male.» La guardò in volto, esaminando i suoi lineamenti.
«Sto morendo,» disse lei.
«È solo un attacco di ansia. Non ti capitano spesso? Posso farti portare un sedativo dalla farmacia dell’albergo. Che ne dici di un fenobarbital? E poi non mangiamo niente dalle dieci di stamattina. Andrà tutto benissimo. Per quanto riguarda Abendsen, tu non dovrai fare niente, solo stare con me; parlerò io. Basta che tu sorrida e sia carina con me e con lui; restagli vicina, parla con lui, in modo che rimanga con noi e non vada da nessuna parte. Quando ti vedrà sono certo che ci farà entrare, specialmente se indosserai quel vestito italiano, con quel taglio. Se fossi al suo posto, non ci penserei due volte, a farti entrare.»
«Fammi andare in bagno,» disse lei. «Mi sento male. Ti prego.» Si divincolò per liberarsi da lui. «Ti ho detto che sto male… lasciami andare.»
Joe la lasciò andare, lei attraversò la stanza e andò in bagno; si richiuse la porta alle spalle.
Posso farlo, pensò. Accese la luce, che l’abbagliò. Socchiuse gli occhi. Posso trovarle. Nell’armadietto del bagno c’era una confezione omaggio dell’albergo con lamette da barba, sapone, dentifricio. Aprì il pacchettino nuovo di lamette. A filo singolo, sì. Sfilò una lametta, scivolosa al contatto, di un azzurro cupo.