«La sua certezza è di dubbio gusto,» disse il signor Tagomi. «Sembra che lei voglia imporla in modo quasi eccessivo.»
Childan non si lasciò influenzare da quell’affermazione. «Mi perdoni,» disse, «ma io non mi sbaglio. In questi oggetti io avverto con molta precisione il germe nascosto del futuro.»
«Può darsi,» disse il signor Tagomi. «Ma il suo fanatismo anglosassone non mi fa né caldo né freddo.» Tuttavia sentiva una speranza rinnovata crescergli dentro. La sua speranza, dentro di lui. «Buongiorno.» Si inchinò. «Ci rivedremo, uno di questi giorni. Forse verificheremo l’esattezza della sua profezia.»
Childan ricambiò l’inchino, senza dire nulla.
Reggendo la borsa con la Colt 44, il signor Tagomi se ne andò. Me ne vado come sono entrato, rifletté. Sempre in cerca. Sempre senza ciò di cui ho bisogno, se voglio ritornare nel mondo.
E se avessi acquistato uno di quegli strani oggetti informi? Se lo avessi tenuto con me, esaminato, contemplato… avrei trovato di conseguenza, attraverso di esso, la strada per tornare indietro? Ne dubito.
Quelli sono per lui, non per me.
Eppure, se una persona, anche una sola, trova la sua via… ciò significa che c’è una Via. Anche se io personalmente non riesco a trovarla.
Lo invidio.
Il signor Tagomi si voltò e ritornò verso il negozio. Là, sulla soglia, c’era il signor Childan che lo guardava. Non era rientrato.
«Signore,» disse il signor Tagomi, «acquisterò uno di quegli oggetti, uno a sua scelta. Non ho fede, ma al momento mi attacco anche alle pagliuzze.» Seguì il signor Childan attraverso il negozio, fino alla bacheca di vetro. «Non ci credo. Lo porterò in giro con me, guardandolo a intervalli regolari. Un giorno sì e un giorno no, per esempio. Se dopo due mesi non avrò visto…»
«Potrà restituirmelo e io le rimborserò il prezzo intero,» disse Childan.
«Grazie,» disse il signor Tagomi. Si sentiva meglio. A volte bisogna provare qualsiasi cosa, decise. Non è una disgrazia. Al contrario, è un segno di saggezza, vuol dire che ci si rende conto della situazione.
«Questo la calmerà,» disse Childan. Prese un piccolo triangolo d’argento decorato con gocce vuote. Nero sotto, splendente e pieno di luce sopra.
«Grazie,» disse il signor Tagomi.
Il signor Tagomi raggiunse con il taxi a pedali Portsmouth Square, un piccolo parco aperto sul pendio che sovrastava Kearny Street, proprio al di sopra della stazione di polizia. Si mise a sedere su una panchina al sole. I piccioni camminavano lungo i vialetti pavimentati in cerca di cibo. Sulle altre panchine, alcuni uomini vestiti in modo trasandato leggevano il giornale o sonnecchiavano. Qua e là c’era qualcuno sdraiato sull’erba, mezzo addormentato.
Il signor Tagomi tirò fuori dalla tasca il sacchettino di carta, sul quale appariva il nome del negozio di R. Childan, e rimase per un po’ seduto tenendolo con tutte e due le mani, godendosi il sole. Poi lo aprì ed estrasse il suo nuovo acquisto per esaminarlo con tranquillità, in quel piccolo parco con erba e vialetti, frequentato da uomini anziani.
Tenne in mano quel ghirigoro d’argento. I riflessi del sole di mezzogiorno facevano l’effetto di uno specchio a ingrandimento, come il Jack Armstrong della raccolta a punti delle scatole di cereali. Oppure… abbassò lo sguardo verso l’oggetto. Om, come dicono i bramini. Un punto concentrato in cui tutto viene catturato. Tutte e due le cose, almeno come allusione. Le dimensioni, la forma. Continuò a esaminarlo accuratamente.
Succederà, come ha profetìzzato il signor Childan? Cinque minuti, dieci minuti. Io me ne sto qui seduto più a lungo che posso. Il tempo, ahimè, si consuma rapidamente. Che cosa stringo in mano, finché c’è tempo?
Perdonami, pensò il signor Tagomi rivolto al ghirigoro d’argento. La pressione di muoverci, di agire, è sempre in noi. Con rammarico, cominciò a riporre l’oggetto dentro il sacchettino. Un’ultima speranzosa occhiata… tornò ancora a esaminarlo, con tutta la convinzione che aveva. Come un bambino, si disse. Imitare l’innocenza e la fiducia. Sulla spiaggia, accostando all’orecchio una conchiglia trovata per caso. Ascoltando nel suo fruscio la saggezza del mare.
E questo servendosi dell’occhio, invece che dell’orecchio. Entra in me e spiegami ciò che è stato fatto, che cosa significa, perché. La comprensione racchiusa in un pezzo di metallo finito.
Chiedere troppo e non ottenere nulla.
«Stammi a sentire,» disse sotto voce al ghirigoro. «La garanzia del venditore prometteva molto.»
Se lo scuotessi con violenza, come un vecchio orologio che si rifiuta di camminare? Lo fece, su e giù. O come i dadi in un momento critico del gioco. Risvegliare la divinità che è lì dentro. Magari dorme. O è in viaggio da qualche parte. L’ironia pungente del profeta Elia. Oppure sta dando la caccia a qualcuno. Il signor Tagomi scosse di nuovo su e giù con violenza il ghirigoro argentato che stringeva nel pugno. Chiama ad alta voce. Tornò a osservarlo.
Tu, piccola cosa, sei vuota, pensò.
Maledicila, pensò. Spaventala.
«La mia pazienza sta per finire,» disse sotto voce.
Che fare, allora? Gettarti in un fosso? Soffiarti sopra, scuoterti, soffiarti sopra. Vinci per me la partita.
Rise. Che sciocchezza, lasciarsi invischiare così, in quel sole caldo. Un vero e proprio spettacolo per chiunque si trovi a passare nei paraggi. Si guardò intorno, senza darlo a vedere, sentendosi in colpa. Ma nessuno aveva visto. Solo vecchi che sonnecchiavano. Un po’ di sollievo, ora.
Le ho provate tutte, si rese conto. L’ho supplicato, l’ho contemplato, l’ho minacciato, ho fatto della filosofia, anche troppa. Che altro posso fare?
Potrei semplicemente restare qui. Mi è negato. Forse capiterà un’altra occasione. Eppure, come dice W.S. Gilbert, un’occasione del genere non capiterà più. È così? Sento che è così.
Quando ero bambino ragionavo come un bambino. Ma adesso ho messo da parte le cose infantili. Adesso devo mettermi a cercare in altri regni. Devo star dietro a questo oggetto in modi diversi.
Devo essere scientifico. Esaurire con l’analisi logica ogni ipotesi. Sistematicamente, secondo il classico metodo aristotelico da laboratorio.
Si tappò l’orecchio destro con un dito, per escludere il traffico e ogni altro rumore che potesse disturbarlo. Poi premette forte contro l’orecchio sinistro il triangolo d’argento a forma di conchiglia.
Nessun suono. Nessuno sciabordio di oceano simulato, in realtà il suono del movimento interiore del sangue… nemmeno quello.
Allora quale altro senso poteva percepire il mistero? L’udito era inutile, evidentemente. Il signor Tagomi chiuse gli occhi e cominciò a tastare con il dito ogni punto della superficie dell’oggetto. Nemmeno il tatto; le sue dita non gli dicevano niente. L’odorato. Avvicinò il gioiello d’argento al naso e inspirò. Un debole odore metallico, ma privo di qualsiasi significato. Il gusto. Aprì la bocca, vi infilò il triangolo argentato, lo degustò per un attimo come se fosse un cracker, ma naturalmente senza masticarlo. Nessun significato, solo una cosa dura, fredda, amara.
Lo tenne di nuovo nel palmo della mano.
Alla fine tornò a guardarlo. La vista è il più nobile dei sensi, secondo la scala di priorità dei greci antichi. Girò e rigirò il triangolo d’argento in tutti i modi possibili; lo osservò da ogni punto di vista extra rem.