«Capisco,» disse Wegener.
Continua, pensò. L’odio sanguinario. Forse questi ne sono già i semi. Finiranno per divorarsi l’un l’altro, lasciando ancora vivi alcuni di noi, sparsi qua e là nel mondo. E ancora, saremo sempre abbastanza, per costruire e per sperare e per realizzare pochi, semplici progetti.
All’una del pomeriggio Juliana Frink raggiunse Cheyenne. Nella zona commerciale del centro, di fronte all’enorme deposito ferroviario, si fermò da un tabaccaio e comprò due giornali del pomeriggio. Parcheggiò accanto al marciapiede e sfogliò il giornale finché non trovò la notizia:
VACANZA CONCLUSA TRAGICAMENTE
Ricercata per essere interrogata in merito alla tragica morte del marito nella lussuosa stanza del President Garner Hotel di Denver, la signora Cinnadella di Canon City, secondo quanto affermano i dipendenti dell’albergo, è partita immediatamente dopo quello che sembra essere stato il tragico epilogo di un litigio coniugale. Risulta che le lamette ritrovate nella stanza, ironicamente fornite dall’albergo ai suoi ospiti, siano state usate dalla signora Cinnadella, descritta come una donna sui trent’anni, bruna, attraente, snella e ben vestita, per tagliare la gola di suo marito. Il corpo è stato scoperto da Theodore Ferris, dipendente dell’albergo, il quale aveva avuto in consegna da Cinnadella delle camicie da stirare appena mezz’ora prima; tornato per restituirle, si è trovato di fronte alla macabra scena. L’appartamento, riferisce la polizia, mostrava tracce di colluttazione, avvalorando l’ipotesi che abbia avuto luogo una violenta discussione…
E così è morto, pensò Juliana mentre ripiegava il giornale. E non solo, ma non conoscono il mio vero nome, non sanno chi sono, e ignorano tutto di me.
Molto più rilassata, riprese a guidare finché non trovò un buon motel; fissò una stanza e scaricò tutte le sue cose dalla macchina. D’ora in avanti non devo avere fretta, si disse. Posso anche aspettare fino a sera, per andare dagli Abendsen; così potrò mettermi il mio vestito nuovo. Non mi sembra il caso di andarci in giro finché è ancora giorno… non si può indossare un abito così elegante prima di cena.
E posso finire di leggere il libro.
Si sistemò nella camera d’albergo, accese la radio, si fece portare del caffè dal bar; poi si sdraiò sul letto immacolato con la copia nuova de La cavalletta che aveva acquistato presso la libreria dell’albergo di Denver.
Alle sei e un quarto di sera finì di leggere il libro. Chissà se Joe è arrivato fino alla fine? si domandò. In questo libro c’è molto di più di quanto lui abbia capito. Che cosa voleva dire Abendsen? Niente sul suo mondo di fantasia. Sono io la sola a saperlo? Scommetto di sì; nessuno capisce veramente La cavalletta tranne me… gli altri s’illudono solamente di capirla.
Ancora un po’ scossa, lo ripose nella borsetta, si infilò il cappotto e lasciò il motel in cerca di un posto per cenare.
L’aria aveva un buon profumo, e le insegne e le luci di Cheyenne sembravano particolarmente eccitanti. Davanti a un bar due graziose prostitute indiane dagli occhi neri stavano litigando… lei rallentò per guardare. C’era un gran viavai di macchine tirate a lucido; tutto quello spettacolo aveva un’aura di vivacità e di attesa, come se fosse l’annuncio di un lieto e importante evento, come se gli sguardi di tutti fossero rivolti verso il futuro e non verso il passato… il passato, pensò, ciò che è stantio e triste, consumato e gettato via.
Cenò in un costoso ristorante francese, dove un uomo in giacca bianca era addetto a parcheggiare le auto dei clienti, e ogni tavolo aveva una candela accesa dentro una coppa da vino, e il burro veniva servito non a pezzi ma arrotolato in piccole palline bianche; apprezzò molto la cena e poi, con molto tempo libero davanti a sé, tornò lentamente verso il motel. Le banconote della Reichsbank erano quasi finite, ma non se ne preoccupò; non aveva importanza. Ci ha parlato del nostro mondo, pensò, mentre apriva la porta della stanza. Di questo mondo, che in questo momento è intorno a noi. Accese di nuovo la radio. Vuole che lo vediamo per ciò che è. E io ci riesco, ci riesco sempre di più a ogni momento che passa.
Prese dalla scatola il vestito azzurro e lo sistemò accuratamente sul letto. Non aveva subito nessun danno; quello che gli poteva servire, al massimo, era una buona spazzolata per togliere un po’ di lanugine. Ma dopo aver aperto gli altri pacchetti, si accorse di non avere preso nessuno dei reggiseni senza spalline che aveva acquistato a Denver.
«Dannazione,» esclamò, accasciandosi su una sedia. Si accese una sigaretta e rimase per un po’ seduta a fumare.
Forse poteva indossarlo con un reggiseno normale. Si tolse la camicetta e la gonna e si provò il vestito. Ma si vedevano le spalline del reggiseno e anche la parte superiore di ciascuna coppa, quindi non poteva andare. Magari, pensò, potrei non mettere affatto il reggiseno… erano anni che non lo faceva più. Le tornarono in mente i vecchi giorni del liceo, quando aveva ancora un seno molto piccolo, e se ne era fatto un problema. Ma la sopraggiunta maturità e la pratica del judo l’avevano portata alla misura trentotto. Comunque provò lo stesso l’abito senza reggiseno, salendo su una sedia in bagno per vedersi nello specchio dell’armadietto.
Il vestito le cadeva a pennello ma, buon Dio, era troppo rischioso. Bastava chinarsi per spegnere una sigaretta o per prendere un bicchiere… e sarebbe stato un disastro.
Una spilla! Poteva indossare il vestito senza reggiseno e chiudere un po’ la scollatura. Rovesciò sul letto il contenuto dell’astuccio dei gioielli e sparpagliò le spille, reliquie che conservava da anni, doni di Frank o di altri uomini conosciuti prima del matrimonio, e poi quella nuova che le aveva acquistato Joe a Denver. Sì, una piccola spilla d’argento messicana a forma di cavallo poteva andare; individuò il punto esatto in cui metterla. Così avrebbe potuto indossare il vestito, finalmente.
Sono contenta di avere qualcosa, adesso. Tante cose erano andate storte; e rimaneva così poco dei suoi splendidi progetti.
Si pettinò accuratamente i capelli con la spazzola in modo da renderli morbidi e lucenti, e a quel punto le rimase soltanto la scelta delle scarpe e degli orecchini. Alla fine si infilò la pelliccia nuova, prese la borsetta nuova di pelle e uscì.
Invece di prendere la vecchia Studebaker, si fece chiamare un taxi dal proprietario del motel. Mentre aspettava nell’ufficio provò l’improvviso impulso di chiamare Frank. Come le fosse venuta quell’idea non riusciva a capirlo, eppure le era venuta. Perché no? si disse. Poteva fare una telefonata a carico del destinatario; lui sarebbe stato ben felice di sentirla e di pagare.
In piedi dietro il banco, tenne il ricevitore accostato all’orecchio, ascoltando con piacere gli operatori delle linee interurbane che tentavano di stabilire la comunicazione. Sentì la centralinista di San Francisco, lontanissima, che chiedeva il numero all’ufficio informazioni, poi una serie di scariche e scricchiolii, e infine il suono del telefono che squillava. Mentre aspettava tenne d’occhio l’esterno per vedere se arrivava il taxi; dovrebbe essere qui da un momento all’altro, pensò. Ma non ci farà caso, se dovrà aspettare un po’; i tassisti ci sono abituati.