Dom Esteban replicò, in tono burbero: — Come puoi vedere, avrò bisogno di due bravi figli. Senti, figliolo, hai intenzione di continuare a chiamarmi signore per il resto delle nostre vite?
— No di certo, parente. — Andrew usò la forma intima della parola, come faceva Damon. Poteva significare «zio», o qualunque altro parente stretto della generazione di un padre. Si alzò, e quando si scostò incontrò lo sguardo del giovane Dezi, silenzioso alle spalle di Esteban, carico di un’intensità collerica… sì, e di qualcosa che lui poteva percepire come risentimento e invidia.
Povero ragazzo, pensò. Io vengo qui da estraneo, e mi trattano come se fossi un membro della famiglia. Lui fa parte della famiglia… e il vecchio lo tratta come un servo o un cane! Non mi sorprende che sia geloso!
CAPITOLO QUARTO
Era stato deciso che il matrimonio avrebbe avuto luogo da lì a quattro giorni: un matrimonio senza sfarzo, con Leonie unica ospite d’onore e i vicini delle tenute circostanti invitati a festeggiare insieme alla famiglia. Il breve intervallo lasciava appena il tempo di portare la notizia all’erede di Esteban, Domenic, a Thendara, e di far venire da Serrais — se lo desideravano — i fratelli di Damon.
La notte prima delle nozze, le due gemelle rimasero sveglie fino a tardi, nella stanza che avevano diviso da bambine prima che Callista andasse alla Torre di Arilinn. Alla fine Ellemir disse, con un po’ di tristezza: — Ho sempre pensato che il giorno del mio matrimonio ci sarebbero state grandi cerimonie, e abiti bellissimi, e tutti i nostri parenti a far festa insieme a noi; non immaginavo un matrimonio affrettato, alla presenza di pochi campagnoli! Con Damon per marito posso fare a meno del resto, però…
— Dispiace anche a me, Elli. So che è colpa mia — disse Callista. — Tu sposi un Comyn del dominio di Ridenow, quindi non c’è ragione perché non debba sposarti di catenas, con tutte le feste che desideri. Io e Andrew abbiamo rovinato tutto. — La figlia di un Comyn non poteva sposarsi di catenas, con l’antica cerimonia, senza l’autorizzazione del Consiglio dei Comyn, e Callista sapeva che non c’era speranza che il Consiglio la desse a uno straniero, a un nessuno… un terrestre! Perciò avevano scelto la forma più semplice, conosciuta come «matrimonio libero», che si poteva celebrare con una semplice dichiarazione di fronte a testimoni.
Ellemir sentì la tristezza nella voce della sorella e disse: — Come ama ripetere nostro padre, il mondo va come vuole e non come vorremmo tu e io. Damon ha promesso che alla prossima stagione del Consiglio andremo a Thendara e ci saranno feste per tutti.
— E per allora — aggiunse Callista, — il mio matrimonio con Andrew sarà consolidato da tanto tempo che niente potrà cambiarlo.
Ellemir rise. — Sarebbe davvero una sfortuna se a quell’epoca io fossi incinta e non potessi divertirmi! Anche se non lo giudicherei una sfortuna, avere subito un figlio da Damon.
Callista taceva, pensando agli anni nella Torre, dove lei aveva accantonato le cose che fanno sognare una ragazza, senza rimpiangerle perché non le conosceva. Sentendole nel tono di Ellemir domandò, esitando: — Vuoi subito un figlio?
Ellemir rise. — Oh, sì! Tu no?
— Non ci avevo pensato — disse Callista, lentamente. — Per tanti anni non ho mai riflettuto sul matrimonio, l’amore o i figli… Immagino che Andrew vorrà dei figli, prima o poi: ma a me sembra che un figlio debba essere desiderato per se stesso, e non solo perché è mio dovere verso il clan. Ho vissuto tanti anni nella Torre, pensando solo al dovere verso gli altri, che credo di dover avere, prima, un po’ di tempo da dedicare soltanto a me stessa. E… a Andrew.
Per Ellemir era incomprensibile. Come poteva, una donna, prendere marito senza pensare per prima cosa di dargli un figlio? Ma intuiva che per Callista era diverso. Comunque, rifletté con snobismo inconscio, Andrew non era un Comyn: non era poi così importante che Callista gli desse subito un erede.
— Ricorda, Elli, ho passato tanti anni pensando che non mi sarei mai sposata…
La sua voce era così triste e stranita che Ellemir non poté sopportarla. Disse: — Tu ami Andrew, e l’hai scelto liberamente. — Ma c’era una sfumatura interrogativa nelle sue parole. Callista aveva deciso di sposare il suo salvatore solo perché le sembrava la cosa più semplice?
Callista seguì quel pensiero e disse: — No. L’amo più di quanto so esprimere. Eppure c’è un altro vecchio detto, e finora non sapevo quanto è vero: nessuna scelta è priva di rimpianti, e porterà comunque più gioia e più angoscia di quanto possiamo prevedere. La mia vita mi sembrava immutabile, già decisa e così semplice: avrei preso il posto di Leonie ad Arilinn e avrei fatto il mio dovere fino a quando la morte o la vecchiaia mi avessero liberata da quel peso. E mi sembrava una vita accettabile. L’amore, il matrimonio, i figli… non ci pensavo neppure.
Le tremava la voce. Ellemir si alzò, andò a sedersi sull’orlo del letto della sorella, e le prese la mano nel buio. Callista fu sul punto di ritirarla, in un gesto inconscio, automatico; poi disse malinconicamente, più a se stessa che a Ellemir: — Dovrò imparare a non farlo.
Ellemir replicò, gentilmente: — Non credo che Andrew ne sarà entusiasta.
Sentì Callista rabbrividire a quelle parole. — È… un riflesso istintivo. È difficile abbandonarlo, così com’è stato difficile impararlo.
Ellemir disse, d’impulso: — Dovevi sentirti molto sola!
Le parole di Callista parvero salire da un abisso soffocante. — Sola? Non sempre. Nella Torre siamo più vicini di quanto si possa immaginare. Siamo ognuno parte degli altri. Tuttavia, come Custode ero sempre separata dagli altri, divisa da… da una barriera che nessuno poteva mai varcare. Sarebbe stato più facile, credo, essere veramente sola. — Ellemir sentiva che la sorella non parlava a lei ma a remoti ricordi impossibili da condividere, e che cercava di tradurre in parole qualcosa di cui non aveva mai voluto parlare.
— Gli altri, nella Torre, potevano… potevano esprimere in qualche modo quella vicinanza. Potevano toccarsi. Potevano amare. Una Custode impara un duplice isolamento. Essere vicina, più vicina di chiunque altro, a ognuna delle menti del cerchio della matrice, eppure… non essere mai completamente reale per loro. Mai donna, mai neppure un essere umano vivente. Solo… solo parte degli schermi e dei relè. — Callista s’interruppe, perduta in quella strana vita claustrale e solitaria che era stata la sua per tanti anni. — Molte provano, e non ci riescono. Finiscono col lasciarsi coinvolgere, in un modo o nell’altro, nell’aspetto umano degli altri uomini e delle altre donne della Torre. Durante il primo anno ad Arilinn ho visto sei ragazze arrivare per essere addestrate come Custodi, e fallire. E io ero fiera, perché riuscivo a sopportare l’addestramento. Non… non è facile — disse, pur sapendo che quelle parole erano ridicolmente inadeguate. Non davano un’idea dei mesi di rigorosa disciplina fisica e mentale fino a quando la mente si abituava all’incredibile potere, fino a quando il suo corpo riusciva a sopportare quei flussi e quelle tensioni inumane. Infine mormorò, in tono amaro: — Adesso vorrei aver fallito anch’io! — E s’interruppe, inorridita, nell’udire le sue stesse parole.
Ellemir disse: — Vorrei che non fossimo cresciute così lontane, breda. — Quasi per la prima volta, pronunciò la parola che significava «sorella» nel modo intimo: poteva significare anche «tesoro». Callista reagì al tono, più che alla parola.
— Non è che non… non ti volessi bene, o non ti ricordassi. Ma mi veniva insegnato (oh, non puoi immaginare come!) a tenermi lontana da ogni contatto umano. E tu eri la mia gemella: a te ero stata più vicina che a chiunque altro. Durante il primo anno, di notte piangevo fino a quando mi addormentavo, perché sentivo tanto la tua mancanza. Ma poi… poi hai finito col sembrarmi come tutto il resto della mia vita prima della partenza per Arilinn: una che avevo conosciuto soltanto in un sogno. Perciò in seguito, quando sono stata autorizzata a vederti di tanto in tanto, a farti visita, ho cercato di tenerti lontana, come parte del sogno, per non essere straziata a ogni nuova separazione. Le nostre vite erano divise, e io sapevo che doveva essere così.