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Adesso che erano raccolti intorno alla sedia di Dom Esteban, la somiglianza era schiacciante. Domenic era molto simile a Callista e a Ellemir, sebbene avesse i capelli più rossi, i riccioli più ribelli, le lentiggini fitte e dorate anziché lievissime. E Dezi, silenzioso e dimenticato dietro la sedia a rotelle, era come un riflesso sbiadito di Domenic. Domenic alzò la testa, lo vide, e gli batté amichevolmente la mano sulla spalla.

— Dunque sei qui, cugino? Sapevo che avevi lasciato la Torre. Non ti do torto. Io ci ho passato quaranta giorni, qualche anno fa, per le prove del laran, e non vedevo l’ora di andarmene! Te ne sei stancato o ti hanno buttato fuori?

Dezi esitò e distolse lo sguardo, e Callista s’intromise. — Alla Torre, comunque, non hai imparato il nostro galateo, Domenic. È una domanda che non si deve mai fare. È una questione che deve rimanere tra un telepate e la sua Custode; e se Dezi non vuole dirlo, è una scorrettezza imperdonabile chiederglielo.

— Oh, scusami — fece Domenic, bonariamente, e soltanto Damon notò l’espressione di sollievo di Dezi. — Ma io non vedevo l’ora di scappar via, e mi domandavo se anche tu la pensavi allo stesso modo. A certi piace. Guarda Callista: ha resistito quasi dieci anni. E tanti altri… Be’, non era vita per me.

Damon, che osservava i due ragazzi, pensò con dolore a Coryn, che a quell’età era stato così simile a Domenic. Gli parve di riassaporare i giorni semidimenticati della sua adolescenza, quando lui, il più goffo dei Cadetti, era stato accettato tra loro grazie alla sua amicizia giurata con Coryn, il quale, come Domenic, era il più simpatico, il più energico e travolgente di tutti.

Quelli erano stati i giorni prima del fallimento, e dell’amore disperato, e dell’umiliazione bruciante… ma, pensò Damon, era stato prima che lui conoscesse Ellemir. Sospirò e le strinse la mano. Domenic, sentendo su di sé lo sguardo di Damon, alzò la testa e sorrise, e Damon si sentì cadere da dosso il peso della solitudine. Aveva Ellemir, e aveva per fratelli Andrew e Domenic. L’isolamento e la solitudine erano finiti per sempre.

Domenic prese amichevolmente il braccio di Dezi. — Sta’ a sentire, cugino: se ti stancassi di ronzare intorno allo sgabello di mio padre, vieni a Thendara. Ti farò avere un grado nel corpo dei Cadetti… Posso farlo, vero padre? — Al cenno indulgente di Dom Esteban, aggiunse: — Hanno sempre bisogno di ragazzi di buona famiglia, e basta guardarti in faccia per capire che sei di sangue Alton, no?

Dezi rispose, senza alzare la voce: — È quello che mi hanno sempre detto. Altrimenti non avrei potuto passare attraverso il Velo, ad Arilinn.

— Be’, nei Cadetti non ha importanza. Parecchi di noi sono bastardi di qualche nobile. — Domenic rise ancora, rumorosamente. — E gli altri sono poveri infelici, figli legittimi di un nobile, che soffrono e sudano per dimostrarsi degni del genitore. Ma io sono sopravvissuto per tre anni, e ci riuscirai anche tu: quindi vieni a Thendara e ti troverò qualcosa. La schiena di chi non ha un fratello è indifesa, dicono; e poiché Valdir è con i monaci a Nevarsin, sarò lieto di averti con me.

Dezi arrossì un poco. Poi disse: — Ti ringrazio, cugino. Resterò qui finché tuo padre avrà bisogno di me. Poi verrò con piacere. — Si voltò in fretta, premuroso, verso Dom Esteban. — Zio, cos’hai? — Il vecchio era impallidito e si era accasciato contro la spalliera della sedia.

— Niente — rispose Dom Esteban, riprendendosi. — Un momento di debolezza. Forse, come dicono tra le colline, una bestia selvatica è passata sul terreno della mia tomba. O forse è soltanto perché è il primo giorno che sto seduto dopo essere rimasto sdraiato per tanto tempo.

— Allora lascia che ti aiuti a tornare a letto: riposerai fino al momento delle nozze — disse Dezi. Domenic replicò: — Ti aiuterò io. — E mentre i due giovani si davano da fare, Damon notò che Ellemir li stava guardando con una strana espressione smarrita.

— Cosa c’è, preciosa?

— Niente, una premonizione, non so — rispose Ellemir, tremando. — Ma quando ha parlato, l’ho visto giacere come morto, qui, a questo tavolo…

Damon rammentò che di tanto in tanto, negli Alton, un lampo di precognizione accompagnava il dono del laran. Aveva sempre sospettato che Ellemir possedesse quella facoltà più di quanto credeva lei stessa. Ma represse l’inquietudine e disse, affettuosamente: — Be’, non è un giovanotto, mia cara, e noi dovremo vivere qui. È logico che un giorno dovremo accompagnarlo all’ultimo riposo. Ma questo non deve turbarti, cara. E adesso, credo, dovrò andare a rendere omaggio a mio fratello Lorenz, visto che ha deciso di onorare le mie nozze con la sua presenza. Credi che riusciremo a evitare che lui e Domenic si azzuffino?

E mentre Ellemir riprendeva a pensare agli ospiti e ai festeggiamenti, il suo pallore si attenuò. Ma Damon avrebbe voluto condividere la sua precognizione. Che visione aveva avuto?

Andrew si guardava intorno, con un senso d’irrealtà, via via che il momento delle nozze si avvicinava. Il matrimonio libero era una semplice dichiarazione davanti a testimoni, e doveva compiersi al termine del pranzo offerto agli ospiti e ai vicini che erano stati invitati ai festeggiamenti. Andrew non aveva parenti o amici, lì; e sebbene quella mancanza non gli pesasse, ora che si avvicinava il momento si accorgeva d’invidiare a Damon perfino la presenza dell’austero Lorenz, che stava al suo fianco per la dichiarazione solenne che avrebbe fatto di Ellemir sua moglie, secondo la legge e la consuetudine. Com’era il proverbio che aveva citato Damon? «La schiena di chi non ha un fratello è indifesa». Ebbene, la sua era indifesa veramente.

Intorno al lungo tavolo nella Grande Sala di Armida, apparecchiato con la tovaglia più bella e con le stoviglie più sontuose, erano radunati tutti gli agricoltori, i piccoli proprietari e i nobili residenti a meno di un giorno di viaggio. Damon era pallido e teso, più bello del solito in un abito di pelle morbida, tinta e riccamente ricamata nei colori del suo dominio. A Andrew, quel verde e quell’arancione apparivano sgargianti. Damon porse la mano a Ellemir, che girò intorno al tavolo per andargli accanto. Era pallida e seria, in una veste verde, con i capelli raccolti in una reticella d’argento. Due ragazze — aveva spiegato a Andrew che erano state sue compagne di giochi, quando lei e Callista erano bambine: una era una nobildonna di una tenuta vicina, l’altra una ragazza del villaggio — vennero a mettersi dietro di lei.

Damon disse con voce ferma: — Amici miei, nobili, gentiluomini e gentildonne, vi abbiamo riuniti per testimoniare il nostro impegno. Siate tutti testimoni che io, Damon Ridenow di Serrais, nato libero e non impegnato con nessuna donna, prendo come libera consorte questa donna, Ellemir Lanart-Alton, col consenso dei suoi parenti. E proclamo che i suoi figli saranno dichiarati miei eredi legittimi e divideranno la mia eredità e il mio patrimonio, grande o piccolo che sia.

Ellemir gli prese la mano. La sua voce sembrava quella di una bambina, nell’enorme sala. — Siate tutti testimoni che io, Ellemir Lanart, prendo Damon Ridenow come libero consorte, col consenso dei nostri parenti.

Ci fu uno scoppio di applausi e risate e congratulazioni e abbracci e baci per la sposa e per lo sposo. Andrew strinse le mani di Damon, ma Damon l’abbracciò, com’era consuetudine, sfiorando con la guancia la guancia dell’amico. Poi Ellemir si strinse per un attimo a lui, alzandosi in punta di piedi, e per un attimo gli posò le labbra sulle labbra. Per un attimo, stordito, Andrew credette di aver ricevuto il bacio che Callista non gli aveva ancora dato, e la sua mente si offuscò. Per quel momento, non seppe quale delle due l’avesse baciato. Poi Ellemir lo guardò ridente e disse, a mezza voce: — È troppo presto perché tu sia ubriaco!