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C’era una luce grigia, oltre la finestra, attraverso il bianco vortice della neve. Non ci sarebbe stata l’aurora, quel giorno. Callista giaceva tranquilla nel suo lettino, dall’altra parte della stanza, e gli voltava le spalle, così che lui poteva scorgere solo le trecce sciolte sul guanciale. Callista e Ellemir erano assai diverse: Ellemir si alzava sempre all’alba, Callista non si svegliava mai prima che il sole fosse già alto. Tra poco avrebbe sentito Ellemir muoversi nell’altra metà dell’appartamento: ma era troppo presto.

Callista gridò nel sonno. Un grido di terrore. Ancora un incubo del tempo in cui era stata prigioniera degli uomini-felini? Con un balzo, Andrew le fu accanto: ma lei si levò a sedere, svegliandosi di colpo, e guardò nel vuoto, con la faccia stravolta per l’angoscia.

— Ellemir! — esclamò, trattenendo il respiro. — Devo andare da lei! — E senza rivolgere una parola o uno sguardo a Andrew scivolò fuori dal letto, afferrò una vestaglia e corse via.

Andrew la seguì con lo sguardo, sbigottito, pensando al legame tra le due gemelle. Si era accorto, vagamente, del vincolo telepatico che esisteva tra Ellemir e sua sorella: eppure anche le gemelle rispettavano l’una l’intimità dell’altra. Se il segnale di Ellemir era giunto alla mente di Callista, doveva essere davvero potente. Turbato, cominciò a vestirsi. Si stava allacciando il secondo stivale quando sentì Damon nel salotto dell’appartamento. Andò a raggiungerlo, e il volto sorridente del cognato dissipò le sue paure.

— Devi esserti preoccupato, quando Callista è corsa via a precipizio. Credo che anche Ellemir si sia spaventata, per un momento: ma era più sorpresa che altro. Molte donne non ci vanno soggette, e Ellemir è così sana: ma immagino che un uomo non s’intenda molto, di queste cose.

— Allora non è ammalata gravemente?

— Se lo è, passerà a suo tempo — disse Damon, ridendo. Poi ridivenne serio. — Naturalmente adesso è depressa, povera ragazza, ma Ferrika dice che questa fase passerà fra dieci o venti giorni, perciò l’ho lasciata alle sue cure e al conforto di Callista. Un uomo non può far molto per lei, ora.

Andrew, sapendo che Ferrika era la levatrice della tenuta, comprese immediatamente quale doveva essere la causa dell’indisposizione di Ellemir. — È lecito farti le mie congratulazioni?

— Certamente. — Il sorriso di Damon era luminoso. — Ma la consuetudine vuole che le presenti a Ellemir, piuttosto. Vogliamo scendere a dire a Dom Esteban che avrà un nipote poco dopo il solstizio d’estate?

Esteban Lanart fu felice dell’annuncio, e Dezi commentò, con un sogghigno malizioso: — Vedo che sei molto ansioso di produrre il tuo primo figlio secondo il programma. Davvero ti sei sentito obbligato a rispettare il calendario che ti ha donato Domenic?

Per un istante Andrew pensò che Damon avrebbe scagliato la coppa contro Dezi, ma quello si trattenne. — No, avevo sperato che Ellemir potesse avere un anno o due per sé, senza queste preoccupazioni. Non sono l’erede di un dominio e non avevo bisogno urgente di un figlio. Ma lei lo voleva subito, e aveva il diritto di decidere.

— È tipico di Elli, davvero — disse Dezi, sorridendo senza più malizia. — Tutti i bambini che nascono nella tenuta, lei se li prende in braccio prima che compiano dieci giorni. Andrò a congratularmi con lei, quando si sentirà meglio.

Dom Esteban chiese, quando entrò Callista: — Come sta Ellemir?

— Dorme — rispose Callista. — Ferrika le ha consigliato di stare a letto più a lungo che può, al mattino, finché si sente poco bene: ma dopo mezzogiorno scenderà.

Prese posto accanto a Andrew ma evitò i suoi occhi, e lui si chiese se l’aveva rattristata vedere Ellemir già incinta. Per la prima volta, pensò che forse Callista voleva un figlio: immaginava che molte donne ci tenessero, anche se non se ne era mai fatto un problema.

La tempesta infuriò per più di dieci giorni, con pesanti nevicate, e poi lasciò il posto al cielo sereno e a venti rabbiosi che sollevavano la neve e l’ammucchiavano. E poi ricominciò a nevicare. I lavori, nella tenuta, si fermarono. Percorrendo le gallerie sotterranee, alcuni servitori andavano a curare i cavalli da sella e le mucche; ma non si poteva fare molto di più.

Armida sembrava stranamente silenziosa, senza Ellemir che incominciava a trafficare tutte le mattine di buon’ora. Damon, che la tempesta aveva costretto all’ozio, passava molto tempo accanto a lei. Lo turbava vedere l’effervescente Ellemir che giaceva pallida ed esausta fino a mattina inoltrata e rifiutava di toccare cibo. Era preoccupato per lei, ma Ferrika rideva del suo sgomento e diceva che tutti i mariti si agitano tanto alla prima gravidanza della moglie. Ferrika era la levatrice della tenuta di Armida, e aveva la responsabilità di far venire al mondo i bambini dei villaggi circostanti. Era una responsabilità tremenda, e lei era ancora molto giovane: aveva preso il posto di sua madre soltanto da un anno. Era una donna calma, solida, rotondetta, minuta e bionda; e poiché sapeva di essere giovane per quel lavoro, portava i capelli severamente nascosti da un berretto e indossava abiti semplici e austeri, cercando di sembrare più anziana.

La servitù cincischiava, senza le mani efficienti di Ellemir al timone, anche se Callista faceva del suo meglio. Dom Esteban si lamentava perché, sebbene in cucina ci fossero una decina di donne, il pane era sempre immangiabile. Damon sospettava che in realtà sentisse la mancanza della gaia compagnia di Ellemir. Era imbronciato e stizzoso, e rendeva difficile la vita a Dezi. Callista si dedicava al padre: suonava l’arpa e gli cantava ballate, giocava a carte con lui, gli stava seduta accanto per ore e ore col ricamo sulle ginocchia, ascoltando pazientemente i suoi interminabili racconti di battaglie e campagne del passato, degli anni in cui lui comandava le Guardie.

Una mattina Damon scese tardi e trovò la sala piena di uomini, quasi tutti quelli che quando il tempo era migliore lavoravano nei campi e nei pascoli. Dom Esteban, sulla sedia a rotelle, stava al centro, e parlava con tre uomini dal pesante abito ancora coperto di neve. Qualcuno aveva tagliato i loro stivali, e Ferrika stava inginocchiata ed esaminava loro i piedi e le mani. Il suo simpatico volto rotondo aveva un’espressione profondamente turbata; quando vide avvicinarsi Damon gli parlò in tono di sollievo.

— Nobile Damon, tu eri ufficiale ospitaliero delle Guardie a Thendara: vieni a dare un’occhiata.

Allarmato da quel tono, Damon si chinò a guardare l’uomo di cui Ferrika teneva i piedi. Gettò un’esclamazione costernata. — Cosa ti è successo?

L’uomo davanti a lui, alto e scarmigliato, con i lunghi capelli ancora gelati in ciocche rigide intorno alle guance arrossate, disse, nel pesante dialetto delle montagne: — Siamo rimasti bloccati per nove giorni, Dom, nel rifugio sotto il costone nord. Ma il vento ha abbattuto una parete e non siamo più riusciti ad asciugare i vestiti e gli stivali. Eravamo alla fame, e avevamo viveri solo per tre giorni: così, quando il tempo è migliorato, abbiamo pensato di cercare di arrivare fin qui, o a un villaggio. Ma c’era stata una valanga ai piedi della collina, sotto la vetta, e abbiamo passato tre notti là fuori. Il vecchio Reino è morto assiderato, e abbiamo dovuto seppellirlo nella neve, in attesa del disgelo, ammassandogli sopra un tumulo di pietre. Darrill ha dovuto portarmi fin qui… — Indicò, stoicamente, i piedi bianchi e congelati nelle mani di Ferrika. — Non posso camminare, ma non sono malridotto come Raimon e Piedro.

Damon scosse la testa, avvilito. — Farò tutto quello che posso, ragazzo, ma non ti prometto niente. Sono tutti ridotti così male, Ferrika?

La donna scosse la testa. — Certi non hanno quasi niente. E altri, come puoi vedere, stanno peggio di lui. — Indicò un uomo dai piedi anneriti, quasi maciullati.