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Quando lavoreremo con gli uomini, per guarirli, li porteremo a uno a uno dietro questo muro, in modo che non trabocchi qualcosa che potrebbe danneggiare Ellemir e il bambino, o scuotere la serenità di Callista, o disturbare il sonno di Dom Esteban.

Era solo uno strumento psicologico, lo sapeva, ben diverso dalla forte rete elettrico-mentale intorno ad Arilinn, salda come le stesse mura della Torre, per tener fuori gli intrusi, fisicamente e mentalmente. Ma aveva la sua realtà al livello su cui avrebbero operato: li avrebbe protetti dalle interferenze esterne, schermando quelli che, ad Armida, avrebbero potuto captare i loro pensieri e diluirli o distorcerli. E sarebbe servito anche a concentrare la facoltà risanatrice su quelli che ne avevano bisogno.

— Prima di cominciare, chiariamo quello che dovremo fare — disse. Ferrika aveva alcuni disegni anatomici eseguiti piuttosto bene. Aveva tenuto corsi d’igiene fondamentale alle donne dei villaggi (un’innovazione che Damon approvava di tutto cuore), e lui si era fatto portare i disegni, scartando quelli che la levatrice usava per istruire le donne incinte ma tenendo quelli che rappresentavano la circolazione. — Guardate: dobbiamo ristabilire l’afflusso normale del sangue nelle gambe e nei piedi, sciogliere la linfa raggrumata e il sangue coagulato e cercare di riparare le fibre nervose lese dal congelamento.

Andrew ascoltò la lucida e pratica esposizione di Damon, il quale parlava come un medico terrestre che descrivesse un’iniezione endovenosa, e guardò inquieto la matrice tra le sue mani. Non dubitava che Damon potesse fare tutto ciò che diceva, ed era ben disposto ad aiutarlo. Ma pensò che formavano una squadra ospedaliera inverosimile.

Gli uomini giacevano nella stanza in cui li avevano portati. Quasi tutti dormivano, storditi dalle pozioni soporifere; ma Raimon era sveglio, col volto arrossato e gli occhi accesi dalla febbre, straziato dai dolori.

Damon disse, gentilmente: — Siamo venuti a fare tutto ciò che possiamo, amico mio.

Scoprì la matrice che teneva nelle mani: l’uomo rabbrividì.

— Magia — mormorò. — Sono cose che vanno bene per gli Hali’imyn…

Damon scosse il capo. — È una facoltà che può essere usata da chiunque sia nato con quella dote. Andrew, qui, non è di nascita Comyn, e non appartiene neppure alla stirpe di Cassilda: tuttavia è esperto in questo lavoro, ed è venuto per aiutarti.

Gli occhi febbricitanti di Raimon si fissarono sulla matrice. Damon vide la smorfia di sofferenza che gli contraeva il volto, e nonostante il crescente rapporto euforico con la gemma riuscì a trovare un distacco sufficiente per dire: — Non guardare direttamente la matrice, amico, perché non sei abituato e ti perturberebbe gli occhi e le mente.

L’uomo distolse lo sguardo, con un gesto superstizioso; Damon provò di nuovo un senso d’irritazione, ma la dominò. Disse: — Sdraiati e cerca di dormire, Raimon. — E poi, con fermezza: — Dezi, dagli un’altra dose del soporifero di Ferrika. Se dormono, mentre noi lavoriamo, non interferiranno. — E se dormivano non avrebbero provato paura, e i pensieri di paura non avrebbero interferito con l’opera delicata e precisa che loro dovevano compiere.

Era un peccato che non fosse possibile insegnarlo a Ferrika, pensò Damon. Si chiese se lei possedeva almeno un minimo di laran. Con la sua conoscenza della medicina e la sua capacità di usare la matrice, sarebbe stata preziosa per tutti gli abitanti della tenuta.

Era questo che avrebbe dovuto fare Callista, pensò, e non lavorare come una stupida massaia!

Mentre Raimon inghiottiva la pozione soporifera e si riabbandonava assonnato sui cuscini, Damon protese la mente e annodò i fili del contatto. Andrew, che guardava le luci nella matrice ravvivarsi e offuscarsi al ritmo del suo respiro, sentì Damon protendersi e centrare la coscienza tra sé e Dezi. Per Andrew, soggettivamente, sebbene Damon non si muovesse e non li toccasse, era come se si appoggiasse a loro per sostenersi e poi calasse la coscienza nel corpo dell’infortunato. Andrew sentiva la tensione nei muscoli lesi, i vasi sanguigni spezzati, il sangue denso e torpido nei tessuti lacerati, gonfi e flaccidi, come un pezzo di carne congelato e poi sgelato. Sentì che Damon ne era consapevole; lo sentì cercare, come con le dita della mente, le guaine nervose lesionate nei fasci delle fibre alla caviglia, alle dita, ai tendini… Non c’è molto da fare. Come se fossero sotto i suoi polpastrelli, Andrew sentiva i tendini contratti, sentiva il modo in cui la pressione di Damon li allentava, sentiva gli impulsi che fluivano di nuovo attraverso le fibre, irregolarmente. La superficie di quelle fibre non sarebbe mai guarita completamente: ma almeno gli impulsi si erano ristabiliti. Damon fremette, nel percepire la sofferenza delle fibre nervose ricostruite. È un bene che abbia fatto bere quella pozione a Raimon: non avrebbe sopportato il dolore se fosse stato sveglio. Poi, con delicate pulsazioni ritmiche, cominciò a stimolare le pulsazioni della circolazione, il flusso attraverso le vene e le arterie quasi ostruite dal sangue coagulato. Andrew sentì Damon, intento in quel lavoro delicato, negli strati profondi delle cellule, indugiare ed esitare, mentre il suo respiro diventava irregolare. Sentì Dezi protendersi e rafforzare il battito del cuore di Damon. Sentì se stesso protendersi: l’immagine della sua mente era quella di una roccia, salda alle spalle di Damon, alla quale l’altro poteva appoggiarsi… E poi percepì qualcosa intorno a loro. Mura? Mura solide, che li racchiudevano? Aveva importanza? Si concentrò per prestare energia a Damon, e vide, a occhi chiusi, i piedi anneriti che cambiavano lentamente colore, si arrossavano e impallidivano. Alla fine Damon sospirò e aprì gli occhi. Lasciò cadere il contatto, mantenendo solo un filo sottile; si chinò su Raimon, che giaceva assopito, e gli toccò cautamente i piedi. La pelle annerita si stava staccando a brandelli: sotto c’era la carne arrossata, piena di vesciche… ma, come Andrew sapeva, era libera dalla cancrena e dai veleni dell’infezione.

— Soffrirà terribilmente — disse Damon, piegandosi a toccare le dita, che avevano perso le unghie insieme alla pelle necrotizzata. — E forse potrebbe ancora perdere un paio di dita: i nervi erano morti, e non ho potuto fare molto. Ma guarirà, e potrà servirsi dei piedi e delle mani. E lui era quello ridotto peggio. — Strinse le labbra, scosso dalla responsabilità, e si rese conto — vergognandosi di se stesso — che in fondo si era quasi augurato di non riuscire. Quella responsabilità, pensò, era troppo grande. Ma poteva riuscire, e c’erano altri uomini che correvano lo stesso pericolo. E ora che sapeva di poterli salvare… Assunse volutamente un tono aspro, quando si rivolse a Dezi e Andrew.

— Bene, cosa stiamo aspettando? Sarà meglio che ci occupiamo degli altri.

I fili del contatto si riallacciarono. Adesso Andrew aveva compreso: sapeva come e quando doveva inondare Damon della propria forza se l’altro vacillava. Lavorarono insieme: Damon affondò la coscienza nei piedi e nelle gambe del secondo infortunato, e Andrew — sebbene una piccola parte di lui fosse ancora isolata — sentì il muro cingerli, in modo che non potesse penetrare nessun pensiero casuale dall’esterno. Sentì, insieme a Damon, la lenta discesa da una cellula all’altra, attraverso gli strati di muscoli e di pelle e di nervi e di ossa, stimolando delicatamente, scartando, ridestando. Era più efficace del bisturi di un chirurgo, pensò: ma a che prezzo! La discesa nella carne annerita e congelata si ripeté ancora due volte prima che Damon interrompesse finalmente l’ultimo contatto, separandoli, e Andrew ebbe la sensazione che fossero usciti da uno spazio chiuso, da una muraglia che li circondava. Ma quattro uomini giacevano nel sonno, con le gambe e i piedi infiammati, doloranti, lesionati, ma in via di guarigione. Sarebbero guariti, senza pericolo d’infezioni o di cancrena: erano ferite pulite che si sarebbero rimarginate nel minimo tempo necessario.