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— Ma quel tempo è passato, Ellemir, e quasi tutte quelle armi enormi, illegali, sono state distrutte durante le epoche del caos, o sotto il regno di Varzil il Buono. Credi davvero che perché ho guarito i piedi congelati di quattro uomini e ho reso loro la possibilità di usarli sarei capace di scatenare una forma di fuoco nelle foreste o di evocare un essere delle grotte per annientare le messi?

— No, no, naturalmente. — Ellemir si levò a sedere, tendendogli le braccia. — Sdraiati e riposa, caro, sei così stanco.

Damon lasciò che lei l’aiutasse a svestirsi, e si adagiò al suo fianco; ma continuò a parlare, fissando ostinatamente l’oscurità.

— Elli, il modo in cui usiamo i telepati, qui su Darkover, è sbagliato. Devono vivere in clausura per tutta la vita nelle Torri, diventando quasi inumani (sai che per poco non mi ha distrutto, il vedermi allontanato da Arilinn), oppure devono rinunciare a tutto ciò che hanno imparato. Come Callista… Che Evanda abbia pietà di lei — aggiunse: un barlume della sua coscienza era ancora in collegamento con Andrew, che stava guardando Callista addormentata, il cui volto recava tuttora tracce di lacrime. — Lei ha dovuto rinunciare a tutto quello che aveva appreso, a tutto ciò che aveva fatto. Adesso ha paura di fare qualunque altra cosa. Dovrebbe esserci un modo, Elli, dovrebbe esserci un modo!

— Damon, Damon — supplicò lei, stringendolo a sé, — è sempre stato così. Coloro che sono stati istruiti nelle Torri sono più saggi di noi: devono sapere quello che fanno, quando stabiliscono che sia così!

— Non ne sono tanto sicuro.

— Comunque, adesso non possiamo far niente, caro. Devi riposare e calmarti, altrimenti turberai lei — disse Ellemir, prendendo la mano di Damon e posandosela sul ventre. Damon sapeva che sua moglie stava cercando di distrarre i suoi pensieri, ma era disposto ad accettarlo: dopotutto, Ellemir aveva ragione. Sorrise, cominciando a captare l’informe emanazione casuale — che non era ancora un pensiero — della creaturina. — Lei, hai detto?

Ellemir rise sommessamente, felice. — Non saprei spiegarti come lo so, ma ne sono certa. Forse una piccola Callista?

Damon pensò: Mi auguro che abbia una vita più felice. Non vorrei vedere la mano di Arilinn posarsi su mia figlia… Poi rabbrividì all’improvviso, in un guizzo di precognizione, vedendo una donna snella, dai capelli fulvi, nelle vesti cremisi della Custode di Arilinn… Se le strappava da dosso, dal collo alla caviglia, e le gettava via… Damon sbatté le palpebre. La visione era scomparsa. Precognizione? Oppure era una drammatica allucinazione, nata dalla sua inquietudine? Tenendo fra le braccia sua moglie e sua figlia, cercò di dimenticarla, almeno per il momento.

CAPITOLO SETTIMO

Gli uomini che erano stati vittime del congelamento si stavano riprendendo; ma poiché per ora erano invalidi, un nuovo fardello di lavoro fisico toccò a Andrew; e perfino Damon dava una mano di tanto in tanto. Il tempo si era calmato, ma Dom Esteban diceva che era soltanto una tregua prima che le vere tempeste invernali scendessero dagli Heller coprendo le basse colline di neve destinata a durare per mesi.

Damon si era offerto di andare a Serrais con Andrew e di portare qualcuno degli uomini in soprannumero di quella tenuta, perché lavorassero lì fino alla fine dell’inverno e aiutassero a curare i campi all’inizio della primavera. Il viaggio sarebbe durato più di dieci giorni. Quel mattino stavano facendo i piani nella Grande Sala di Armida. I malesseri mattutini di Ellemir erano passati, e come al solito lei era nelle cucine a dirigere il lavoro delle donne. Callista era seduta accanto al padre, quando all’improvviso si raddrizzò sul sedile con aria inquieta. Disse: — Oh… Elli, Elli… oh, no! — Ma prima ancora che lei si alzasse in piedi, Damon aveva rovesciato la sedia per correre verso le cucine. In quel momento si levarono grida dalle altre stanze.

Dom Esteban borbottò: — Cos’hanno, quelle donne? — Ma nessuno l’ascoltava. Anche Callista si era precipitata verso la porta delle cucine. Dopo un attimo, Damon tornò di corsa e fece un cenno a Andrew.

— Ellemir è svenuta. Non voglio che nessun estraneo la tocchi. Puoi portarla tu?

Ellemir giaceva accasciata sul pavimento della cucina, circondata dalle donne sgomente. Damon fece loro segno di allontanarsi, e Andrew sollevò Ellemir tra le braccia. Era spaventosamente pallida: ma Andrew non sapeva nulla delle gravidanze, e quello svenimento, pensò, non doveva essere molto allarmante.

— Portala nella sua stanza, Andrew. Io vado a chiamare Ferrika.

Andrew aveva appena deposto Ellemir sul letto quando Damon arrivò insieme alla levatrice. Strinse le mani della moglie, entrando in rapporto telepatico con lei e cercando il fioco e informe contatto con la creaturina. Mentre sentiva ripercuotersi nel proprio corpo i tormentosi spasimi che straziavano Ellemir, comprese ciò che stava accadendo. Supplicò: — Non puoi fare qualcosa?

Ferrika rispose, gentilmente: — Farò tutto quello che posso, nobile Damon. — Ma al di sopra della sua testa china, l’uomo incontrò gli occhi di Callista: erano pieni di lacrime. Lei disse: — Ellemir non è in pericolo, Damon. Ma è già troppo tardi per la piccina.

Ellemir strinse convulsamente le mani del marito. — Non lasciarmi — implorò, e lui mormorò: — No, amore. Mai. Resterò con te. — Era la tradizione: nessun telepate Comyn dei Domimi lasciava sola la moglie quando partoriva la loro creatura, o rifiutava di condividere le sue sofferenze. E adesso lui doveva dare a Ellemir la forza per sopportare la loro perdita, non per prepararsi alla gioia. Represse l’angoscia e s’inginocchiò accanto a lei, tenendola fra le braccia, stringendola a sé.

Andrew era ritornato da Dom Esteban: poteva dirgli solo che Damon e Callista erano con Ellemir, e che avevano mandato a chiamare Ferrika. Per tutta la giornata si sentì oppresso dalla lugubre atmosfera che pesava sulla casa. Perfino le ancelle stavano riunite in gruppetti impauriti. Andrew avrebbe voluto entrare in contatto con Damon e cercare di dargli forza, di rassicurarlo: ma cosa poteva dire, cosa poteva fare? Una volta, alzando gli occhi verso le scale, vide Dezi che entrava nella sala esterna. Il ragazzo chiese: — Come sta Ellemir? — Il risentimento di Andrew traboccò.

— Te ne importa molto, a te?

— Io non voglio male, a Elli — rispose, stranamente mesto. — È l’unica, qui, che sia buona con me. — Voltò le spalle a Andrew e se ne andò, e il terrestre ebbe la strana sensazione che anche Dezi fosse sul punto di piangere.

Damon e Ellemir erano stati così felici per il loro bambino, e adesso… questo! Andrew si chiese, assurdamente, se per caso la sua sfortuna era contagiosa, se i tormenti del suo matrimonio si erano comunicati all’altra coppia. Poi, rendendosi conto che quella era una pazzia, scese nella serra e cercò di distrarsi dando ordini ai giardinieri.

Molte ore dopo, Damon uscì dalla stanza dove giaceva Ellemir, addormentata, dimentica del dolore e dell’angoscia, vinta da una delle pozioni soporifere di Ferrika. La levatrice, soffermandosi per un momento accanto a lui, disse gentilmente: — Nobile Damon, meglio che sia accaduto ora piuttosto che veder nascere deforme quella povera creatura. La misericordia di Avarra assume talvolta strani aspetti.

— So che hai fatto tutto quello che potevi, Ferrika. — Ma Damon le voltò le spalle, depresso: non voleva che lo vedesse piangere. Lei comprese e scese le scale in silenzio, mentre Damon procedeva come un cieco. D’istinto si diresse alla serra, e vi trovò Andrew: il terrestre gli andò incontro, chiedendo a bassa voce: — Come sta Ellemir? È fuori pericolo?