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— Sarei qui, se non lo fosse? — ribatté Damon; poi, ricordando, si lasciò cadere su una cassa, si coprì la faccia con le mani e si abbandonò al dolore. Andrew gli rimase accanto, tenendogli una mano sulla spalla e tentando senza parlare di dargli un sostegno, di comunicargli la consapevolezza della sua pietà.

— Il peggio è — disse infine Damon, alzando la faccia stravolta, — che Elli pensa di avermi deluso per non aver potuto dare alla luce nostra figlia. Ma se qualcuno ne ha colpa, sono io, che le ho permesso di occuparsi da sola di questa casa tanto grande. Ho colpa io comunque! Siamo parenti troppo stretti, due volte cugini, e spesso in tale parentela c’è un’eredità di morte. Non avrei mai dovuto sposarla! Non avrei mai dovuto sposarla! Io l’amo, l’amo, ma sapevo che desiderava un figlio, e avrei dovuto capire che era pericoloso, che eravamo parenti troppo stretti… Non so se avrò il coraggio di lasciare che tenti di nuovo. — Alla fine si calmò un poco e si alzò, dicendo con voce stanca: — Dovrei tornare da lei. Quando si sveglierà, mi vorrà accanto. — Per la prima volta da quando Andrew lo conosceva, dimostrava tutti i suoi anni.

E lui aveva invidiato a Damon la sua felicità! Ellemir era giovane, avrebbe potuto avere altri figli. Ma col peso di quel senso di colpa?

Più tardi Andrew trovò Callista nella piccola distilleria, con un fazzoletto sbiadito avvolto intorno ai capelli per proteggerli dall’odore delle erbe. Lei alzò il volto, e Andrew scorse i segni del pianto. Aveva condiviso quel tormento con la sorella? Ma la sua voce aveva la calma distaccata che lui ormai si attendeva in Callista: e ora, inspiegabilmente, gli dava fastidio.

— Sto preparando qualcosa per ridurre l’emorragia: dev’essere appena fatto, per essere efficace, e lei deve berlo ogni ora. — Callista stava pestando grosse foglie grigiastre in un piccolo mortaio. Gettò la poltiglia in un bicchiere a cono e la mise a filtrare attraverso strati di tessuto finissimi, poi misurò con cura un liquido incolore e lo versò.

— Ecco. Deve filtrare, prima che io possa proseguire. — Si girò verso di lui, alzando gli occhi. Andrew chiese: — Ma Elli… si riprenderà? E potrà avere altri figli, in futuro?

— Oh, sì, credo di sì.

Andrew avrebbe voluto prenderla tra le braccia, consolarla della sofferenza che lei aveva diviso con la gemella. Ma non osò neppure sfiorarle la mano. Tormentato dalla frustrazione, le voltò le spalle.

Mia moglie. E non l’ho mai neppure baciata. Damon e Ellemir hanno in comune il dolore; ma io, cos’ho in comune con Callista?

Gentilmente, pensando al tormento negli occhi di lei, chiese: — Amore, è davvero una tragedia così grande? Non è come se avesse perso davvero un bambino. Un bambino pronto per nascere, sì, capirei; ma un feto, a questo stadio? Come può essere tanto terribile?

Non era preparato all’orrore e alla rabbia con cui Callista si girò verso di lui. Era pallidissima, e gli occhi le bruciavano come la fiamma sotto la storta. — Come puoi dire una cosa simile? — mormorò. — Come osi? Non sai che per due volte in dieci giorni Damon e Ellemir sono stati in contatto con… con la sua mente? Avevano imparato a conoscerla come una presenza reale, la loro figlia.  — Andrew rabbrividì di fronte alla sua collera. Non aveva mai pensato che in una famiglia di telepati un bambino non ancora nato potesse essere una presenza. Così presto? E che specie di pensieri poteva avere un feto, a un terzo della gravidanza… Ma Callista captò il disprezzo in quel pensiero. Esclamò, tremando: — Vorresti dire che non sarebbe una tragedia se nostro figlio o nostra figlia morisse prima di essere abbastanza forte da vivere fuori dal mio corpo? — La sua voce vibrava. — Quello che non puoi vedere non è reale, terrestre?

Andrew alzò la testa per ribattere incollerito: A quanto sembra, non lo sapremo mai: non è probabile che tu mi dia un figlio, finché le cose stanno così. Ma tacque, scorgendo il volto sbiancato e sofferente di lei. Non poteva ribattere, provocazione per provocazione. Quel «terrestre» l’aveva ferito; ma le aveva promesso che non avrebbe mai tentato di farle fretta, di esercitare la minima pressione su di lei. Ringoiò quelle parole di collera, e poi vide, nello sgomento che passava sul volto di Callista, che lei le aveva udite comunque.

Certo. È una telepate. Per lei la risposta che non ho pronunciato è reale come se l’avessi gridata.

— Callista — mormorò. — Tesoro. Ti chiedo scusa. Perdonami. Non intendevo…

— Lo so. — Vacillando, lei si accostò e l’abbracciò, appoggiandogli la testa contro il petto. Rimase, tremante, nel cerchio delle sue braccia. — Oh, Andrew, Andrew, vorrei che avessimo almeno questo…  — mormorò, singhiozzando.

Lui la tenne stretta a sé, senza osare muoversi. Callista era tesa, leggera come una piuma, come un uccellino che fosse volato a lui e che sarebbe fuggito di nuovo a una parola, a un gesto incauto. Dopo un momento i suoi singhiozzi si acquietarono, e alzò verso di lui il volto con la solita espressione rassegnata. Poi si scostò, così delicatamente che Andrew non si sentì abbandonato.

— Guarda, il liquido è filtrato. Devo finire la medicina per mia sorella. — Gli sfiorò le labbra con le dita, nel gesto consueto: lui le baciò, e comprese che, stranamente, quel litigio li aveva avvicinati di più.

Per quanto tempo ancora? In nome di tutti gli dèi, per quanto tempo possiamo andare avanti così? E mentre quel pensiero gli sfrecciava nella mente, non riuscì a comprendere se era suo o di Callista.

Tre giorni dopo, com’era stato deciso, Andrew e Damon partirono per Serrais. Ellemir era fuori pericolo, e Damon non poteva fare più nulla per lei. Nulla avrebbe potuto aiutarla se non il tempo, e Damon lo sapeva.

Andrew si sentiva stranamente sollevato all’idea di andarsene, anche se si sarebbe vergognato di ammetterlo. Non si era accorto che la tensione tra lui e Callista e l’atmosfera di silenziosa angoscia l’avessero oppresso tanto ad Armida.

I grandi altopiani, le montagne in lontananza… Avrebbe potuto essere l’allevamento di cavalli della sua infanzia. Eppure doveva solo aprire gli occhi per vedere il grande sole rosso (che brillava come un occhio iniettato di sangue attraverso le nebbie del mattino), per ricordare che quella non era la Terra. Era metà mattina, ma due piccole lune indistinte — una viola-pallida e l’altra verde-tiglio — passavano basse oltre la cresta delle colline: una era quasi piena, l’altra una falce calante. Perfino l’odore dell’aria era strano: eppure adesso quella era la sua patria, la sua patria per tutto il resto della sua vita. E Callista l’aspettava. Conservava nella mente il ricordo del suo volto, pallido e sorridente in cima alla scalinata mentre lui si allontanava. Conservava quel sorriso nella memoria: nonostante tutta la pena che le aveva portato il matrimonio, era riuscita a sorridergli, a porgergli le dita da baciare, ad augurargli di andare con gli dèi, nel morbido linguaggio che lui incominciava finalmente a comprendere: — Adelandeyo.

Anche Damon si rianimava a vista d’occhio, via via che i chilometri scorrevano sotto gli zoccoli dei cavalli. Gli ultimi giorni avevano inciso nuove rughe sul suo volto: ma adesso non sembrava più vecchio, oppresso dall’angoscia.

A mezzogiorno smontarono per consumare il pasto, e legarono i cavalli perché pascolassero l’erba nuova che spuntava robusta attraverso i resti dell’ultima tormenta di neve. Trovarono un tronco asciutto e vi si sedettero, circondati dai boccioli che gettavano via i baccelli invernali e prorompevano in corolle coloratissime come se fosse già primavera. Ma quando Andrew glielo chiese, Damon ribatté: — Primavera? Per gli inferni di Zandru, no, non è ancora pieno inverno, e non lo sarà fin dopo la festa del solstizio! Oh, i fiori? — Rise. — Col clima che c’è qui, fioriscono ogni volta che ci sono un paio di giorni di sole e di caldo. I tuoi scienziati terrestri usano un’espressione apposita: adattamento evolutivo. Tra le colline di Kilghard ci sono soltanto pochi giorni in piena estate in cui non nevica, perciò i fiori sbocciano appena c’è un po’ di sole. Se pensi che qui sia strano dovresti andare negli Heller, a vedere i fiori e i frutti che crescono intorno a Nevarsin. Qui non possiamo coltivare i meloni glaciali, lo sai. È troppo caldo: sono piante dei nevai. — E in effetti Damon si era tolto il mantello foderato di pelliccia e cavalcava in maniche di camicia, sebbene Andrew fosse ancora imbacuccato per ripararsi da quella che a lui sembrava una giornata fredda e pungente.