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— Più che mai.

Damon andò a guardare: ma quando socchiuse la finestra per affacciarsi, il vento irruppe nella stanza come un uragano. Sì affrettò a richiudere. — Callie è sveglia? Chi c’è con lei? Bene: mi ero proprio augurato che Ellemir avesse il buonsenso di tener lontane le ancelle. Nelle sue condizioni, la presenza di non telepati sarebbe quasi insopportabile. Vedi, è per questo che nelle Torri non ci sono servitori umani. — Si voltò verso la porta. — Hai mangiato qualcosa?

— Non ancora — rispose Andrew, accorgendosi che era mezzogiorno passato e che lui aveva una gran fame.

— Allora scendi, se non ti dispiace, e di’ a Rhodri di mandare su qualcosa. Credo che dovremmo stare tutti vicino a Callista. — Damon esitò. — Devo affidarti una missione delicata. Va’ a dare a Dom Esteban una specie di spiegazione. Se andassi io, basterebbe che mi guardasse per sapere tutto: mi conosce fin da quando avevo nove anni. Non credo che ti sonderà per approfondire. Per lui sei ancora abbastanza estraneo, e quindi non violerà il tuo riserbo. Ti dispiace? Io non me la sento di dargli spiegazioni.

— Non mi dispiace — rispose Andrew. In realtà gli dispiaceva, ma sapeva che fornire una specie di spiegazione all’invalido era doveroso. Ormai era passata da un pezzo l’ora in cui Ellemir si alzava di solito, e Dom Esteban era abituato alla compagnia di Callista.

Scese, e disse al maggiordomo di sala che erano rimasti svegli tutti fino a tardi e che avrebbero fatto colazione nei loro appartamenti. Ricordando quello che aveva detto Damon a proposito della presenza dei non telepati, spiegò che nessuno doveva entrare: il vassoio doveva essere lasciato davanti alla porta. Senza mostrare la minima curiosità, come se fosse stata una richiesta normalissima, il maggiordomo replicò: — Certamente, Dom Ann’dra.

Nella Grande Sala, Dom Esteban stava sulla poltrona a rotelle davanti alla finestra, e la guardia Caradoc gli teneva compagnia. Andrew vide con sollievo che Dezi non c’era. Dom Esteban e Caradoc erano impegnati in un gioco simile agli scacchi, che una volta Damon aveva cercato d’insegnare a Andrew. Era chiamato «i castelli»: c’erano pezzi di cristallo scolpito, che non venivano disposti in ordine sulla scacchiera ma gettati a caso e mossi dal punto dove cadevano, secondo certe regole complesse. Dom Esteban prese dalla scacchiera un pezzo di cristallo rosso, rivolse a Caradoc un sogghigno trionfante, poi alzò gli occhi verso Andrew.

— Buongiorno. O devo dire buonasera? Spero che tu abbia dormito bene.

— Abbastanza bene, signore, ma Callista è… è un po’ indisposta. E Ellemir è con lei.

— E voi due state con le vostre mogli: molto giusto — commentò Dom Esteban sorridendo.

— Se c’è qualcosa da fare, suocero…

— Con questo tempaccio? — Il vecchio indicò la neve. — Niente. Non devi scusarti.

Andrew ricordò che anche il vecchio era un potente telepate. Se la tempesta della notte precedente aveva disturbato Damon e Ellemir addirittura nel letto coniugale, aveva sconvolto anche Dom Esteban? Ma se era così, neppure un fremito delle palpebre stava a dimostrarlo. Il nobile Alton aggiunse: — Porta i miei saluti a Callista, e i miei auguri di riprendersi presto. E di’ a Ellemir di assistere sua sorella. La compagnia non mi manca, quindi per un giorno o due posso fare a meno di voi.

Nel pesante dialetto delle montagne, Caradoc commentò che la stagione delle tormente andava benissimo per rimanere in casa a godersi la compagnia della moglie. Dom Esteban sghignazzò, ma quella battuta infastidì un po’ Andrew. Provava riconoscenza per il vecchio, ma si sentiva teso, vergognoso. Nessuno che possedesse un’ombra di facoltà telepatica poteva aver dormito, quella notte, pensò. Doveva aver svegliato i telepati fino a Thendara!

Avevano già portato di sopra la colazione, e Damon l’aveva portata al capezzale di Callista. Lei era di nuovo a letto: era pallida ed esausta. Ellemir stava cercando d’indurla a mangiare qualcosa, a bocconcini, come avrebbe fatto con una bambina malata. Damon fece posto a Andrew e gli porse un panino caldo. — Non ti abbiamo aspettato. Io avevo molta fame, dopo questa notte. I servitori, probabilmente, penseranno che stiamo facendo un’orgia!

Callista disse, con una risatina ironica: — Vorrei che avessero ragione. Sarebbe sempre meglio di questo. — Scosse la testa quando Ellemir le offrì un pezzetto di pane caldo, spalmato di aromatico miele di montagna. — No, davvero, non me la sento.

Damon la scrutava inquieto. Lei aveva bevuto qualche sorso di latte ma aveva rifiutato di mangiare, come se lo sforzo d’inghiottire fosse troppo grande. Infine le disse: — Adesso che ti occupi tu della distilleria, hai preparato il kirian?

Lei scrollò la testa. — Ho continuato a rimandare da un giorno all’altro; e qui non c’è nessuno che ne abbia bisogno, dato che Valdir è a Nevarsin. E poi è un fastidio, prepararlo: bisogna distillarlo tre volte.

— Lo so. Io non l’ho mai preparato, ma ho visto come si fa — disse Damon, guardandola attentamente mentre lei si muoveva. — Soffri ancora?

Callista annuì, e disse con un filo di voce: — Sanguino.

— Anche questo? — Non le veniva risparmiato proprio nulla? — È molto in anticipo sul normale? Se si tratta di pochi giorni, può essere semplicemente il trauma.

Lei scosse la testa. — Non capisci. Non… non c’è nessun ritmo normale, per me. Questa è la prima volta…

Lui la fissò inorridito, quasi incredulo. Poi disse: — Ma avevi tredici anni, quando sei andata alla Torre: i tuoi cicli non erano ancora apparsi?

A Andrew parve che Callista fosse imbarazzata, quasi vergognosa. — No. Leonie aveva detto che era un bene che non fossero ancora iniziati.

Damon esclamò irosamente: — Avrebbe dovuto aspettarli, per cominciare la tua preparazione!

Callista distolse gli occhi, arrossendo. — Mi aveva detto che… che se cominciavo così giovane, alcuni dei normali processi fisici si sarebbero alterati. E che per me sarebbe stato tutto più facile se i cicli non mi comparivano neppure.

Damon esclamò: — Credevo che fosse una barbarie delle epoche del caos! Da generazioni è normale che una Custode debba essere una donna fatta!

Callista si affrettò a difendere la madre adottiva. — Mi aveva detto che altre sei ragazze avevano tentato di adattarsi e non c’erano riuscite, ma che per me sarebbe stato più facile: meno sofferenze e meno fastidi…

Damon aggrottò la fronte e sorseggiò un bicchiere di vino, fissando nel vuoto come se vi scorgesse qualcosa di sgradevole.

— Rispondimi, e rifletti attentamente. Nella Torre ti hanno dato qualcosa per sopprimere le mestruazioni?

— No. Non è mai stato necessario.

— Non posso credere una cosa simile, di Leonie, ma ha mai lavorato con una matrice sulle correnti del tuo corpo?

— Solo il normale schema di addestramento, credo — rispose dubbiosa Callista. Andrew intervenne: — Un momento: cos’è questa storia?

Damon era torvo. — Nei tempi antichi, qualche volta una futura Custode veniva castrata: l’ha detto anche Marisela, ti ricordi? Non posso credere… non posso credere  — aggiunse con enfasi, — che Leonie abbia annullato in questo modo la tua femminilità!

Callista replicò, turbata: — Oh, no, Damon! Oh, no! Leonie mi vuole bene, non avrebbe mai… — Ma la sua voce si spense. Aveva paura.

Leonie era stata così sicura che la sua scelta fosse definitiva, aveva esitato tanto a lasciarla libera…

Andrew strinse la fredda mano di Callista. Damon disse, aggrottando la fronte: — No, naturalmente, so che non sei stata castrata. Se il ciclo è incominciato, allora il tuo orologio si è rimesso in moto. Ma talvolta lo si faceva anticamente, quando pensavano che la verginità fosse un peso meno opprimente per una ragazza ancora immatura.