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Damon si voltò, e si accorse all’improvviso che il giovane era allo stremo della sopportazione. Disse, gentilmente: — Lo sai cosa ti ha salvato dalla morte, vero?

— Non so più nulla. E quello che so non serve a molto! — Andrew era disperato. — Davvero credi che avrei potuto…

— No. No, naturalmente, bredu. Capisco perché non potevi. Non credo che nessun uomo onesto potrebbe fare una cosa simile! — Damon gli posò la mano sul polso. — Quello che ti ha salvato… che vi ha salvati… è stato il fatto che lei non aveva paura. Che ti amava e ti voleva. Perciò ti ha colpito soltanto col riflesso fisico, che non poteva controllare. Non ti ha fatto neppure perdere i sensi: sei svenuto perché hai battuto la testa. Se Callista fosse stata terrorizzata e ti avesse resistito, se tu avessi cercato davvero di prenderla contro la sua volontà, riesci a immaginare cos’avrebbe potuto farti? Callista è una dei più potenti telepati di Darkover, ed è stata istruita come Custode ad Arilinn! Se non avesse voluto, se l’avesse considerato uno stupro, se avesse provato… paura o ripugnanza nei confronti del tuo desiderio, tu saresti morto. — E ripeté, con maggior forza: — Saresti morto, morto!

Ma Callista aveva avuto paura, pensò Andrew, fino a quando Damon e Ellemir avevano stabilito il contatto… Era stata la consapevolezza del piacere di Ellemir a farle desiderare di condividerlo! E ancora più inquietante era il pensiero di Damon, conscio di Callista come lui era stato conscio di Ellemir. Damon, captando la sua angoscia, per un momento restò turbato, come per un rimprovero. Erano stati tutti così vicini… Andrew non voleva essere parte di ciò che erano? Posò la mano sulla spalla del terrestre: un contatto insolito per un telepate ma naturale in quel momento, nel ricordo dell’intimità che avevano condiviso. Andrew si scostò, e Damon ritrasse la mano, turbato e un po’ rattristato. Doveva restare così lontano? Per quanto tempo? Per quanto tempo? Era un fratello o un estraneo?

Tuttavia disse, gentilmente: — So che per te è una cosa nuova. Continuo a dimenticare che io sono un telepate fin dalla nascita e ho sempre accettato tutto questo come una cosa naturale. Andrà tutto bene, vedrai.

Tutto bene?, si chiese Andrew. Sapere che il solo fatto che lui fosse diventato involontariamente un guardone aveva impedito a sua moglie di ucciderlo? Sapere che Damon e Ellemir la consideravano una cosa normale, al punto che l’avevano prevista e poi accolta con gioia? Per caso Damon era risentito in quanto lui voleva Callista tutta per sé? Ricordò la proposta che lei gli aveva fatto, ricordò l’impressione di tenere tra le braccia Ellemir, calda, ardente… come Callista non poteva essere. Sconvolto, confuso e disperato, voltò le spalle a Damon, brancolando, per uscire da quella stanza. Era oppresso dalla vergogna e dall’orrore. Voleva… doveva andare via, dovunque, dovunque, lontano da lì, lontano dal contatto rivelatore di Damon, dall’uomo che sapeva leggere i suoi pensieri più intimi. Non si rendeva conto di essere ammalato, di avere una malattia autentica chiamata trauma culturale. Sentiva soltanto che era indisposto, e che il malessere assumeva la forma di una rabbia furiosa nei confronti di Damon. Il pesante odore delle erbe gli fece temere un conato di vomito. Disse, con voce impastata: — Vado a prendere un po’ d’aria. — E spalancò la porta, attraversando le cucine deserte. Uscì nel cortile. Si fermò, in mezzo alla neve che cadeva fitta, e maledisse il pianeta dov’era venuto a vivere e la sorte che l’aveva condotto lì.

Avrei dovuto morire quando l’aereo è precipitato. Callie non ha bisogno di me… Non riuscirò mai ad altro che a farle male.

Alle sue spalle, Damon disse: — Andrew, vieni, parlane con me. Non andartene così, da solo, cercando di rinnegare tutto.

— Oh Dio — mormorò Andrew, inalando un respiro che era quasi un singulto. — Devo fare così. Non posso più parlare. Non lo sopporto più. Lasciami in pace, maledizione: non sei capace di lasciarmi in pace almeno per un po’?

Sentiva la presenza di Damon come un’acuta sofferenza fisica, una pressione, un’ossessione. Sapeva di fargli male: rifiutava di capire, di voltarsi, di guardare… Infine Damon disse, gentilmente: — Sta bene, Ann’dra. So che hai già sopportato anche troppo. Ti lascerò stare per un po’, allora. Ma non troppo a lungo. — E Andrew comprese, senza voltarsi, che Damon se n’era andato. No, pensò con un fremito d’orrore: Damon non era mai venuto lì, era ancora nella piccola distilleria.

Rimase nel cortile, al centro del pesante turbine di neve, appena attutito dai muri che lo circondavano. Callista. Cercò il rassicurante contatto con lei, ma lei non c’era: c’era solo una pulsazione fioca, inquieta, e Andrew non osò disturbare quel sonno indotto dalla pozione soporifera.

Cosa posso fare? Cosa posso fare? Sgomento e inorridito, cominciò a piangere, solo tra la neve. Non si era mai sentito così solo in vita sua, neppure quando l’aereo era precipitato e lui si era trovato su un pianeta sconosciuto, sotto un sole ignoto, fra montagne inesplorate…

Tutto quello che conoscevo è finito, inutile, insignificante o peggio. I miei amici sono estranei, mia moglie è la più estranea di tutti. Il mio mondo è scomparso, rinnegato. Non posso ritornarvi: mi credono morto.

Pensò: Almeno prendessi la polmonite e morissi. E poi, conscio della puerilità di quel desiderio, si rese conto di trovarsi in un pericolo molto reale. Stordito, spinto da qualcosa che non era l’istinto di conservazione ma la vaga ombra di un senso del dovere, rientrò. La casa gli sembrava aliena, estranea: non era un luogo dove un terrestre potesse vivere. Era mai stata accogliente, era mai stata per lui una vera casa? Con un profondo senso di alienazione, girò lo sguardo intorno a sé nella sala vuota, e provò sollievo nel vederla così. Dom Esteban doveva essere andato a riposare, come faceva sempre a metà della giornata. Le ancelle chiacchieravano sottovoce. Si lasciò cadere esausto su una panca, appoggiò la testa sulle braccia, e restò così, senza dormire, chiuso in se stesso, sperando che se rimaneva immobile, in silenzio, tutto sarebbe svanito e non sarebbe più stato vero.

Molto tempo dopo, qualcuno gli mise in mano un bicchiere. Ingollò il contenuto con un senso di gratitudine; e poi ne trovò un altro, e un altro ancora. Si sentì stordito. Udì la propria voce che parlava, confidava tutto a un ascoltatore comprensivo. Poi bevve ancora. Si rese conto di perdere i sensi, e ne provò sollievo.

C’era una voce nella sua mente, una voce che si insinuava al di là delle sue barriere, affondava nel suo inconscio, superando ogni resistenza.

Qui nessuno ti vuole. Qui nessuno ha bisogno di te. Perché non te ne vai subito, prima che succeda qualcosa di spaventoso? Vattene subito, torna da dove sei venuto, torna al tuo mondo. Là sarai più felice. Vattene. Vattene subito. Nessuno se ne accorgerà o se ne curerà.

Sapeva che c’era una lacuna, in quel ragionamento. Damon gli aveva fornito una valida ragione per non andarsene… ma poi ricordò che era in collera con Damon.

La voce insistette, gentile, suadente:

Tu credi che Damon sia tuo amico. Non fidarti di lui. Si servirà di te quando avrà bisogno del tuo aiuto, e poi si scaglierà contro di te. C’era qualcosa di familiare, in quella voce… ma non era una voce. Era nella sua mente. In preda al panico, tentò di escluderla. Ma era così persuasiva…

Vattene subito. Vattene subito. Qui nessuno ha bisogno di te. Sarai felice quando tornerai dalla tua gente. Qui non lo sarai mai.

A passi barcollanti, uscì nel corridoio. Trovò il mantello, e se l’allacciò sulle spalle. Qualcuno lo stava aiutando ad affibbiarlo. Era Damon? Damon sapeva che lui non poteva restare. Non poteva fidarsi di Damon. Sarebbe stato felice tra la sua gente. Sarebbe ritornato a Thendara, alla Città Commerciale e all’impero terrestre, dove la sua mente era soltanto sua…