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Callista scrollò la testa. — No, è finito, qualche giorno fa. Credo — (alzò gli occhi verso Damon, ridendo) — che la mia sia soltanto pigrizia: approfitto di una debolezza femminile.

— Vorrei che fosse così, Callista — disse Damon, e andò a sedersi a tavola. — Vorrei convincermi che oggi saresti in grado di alzarti. — La guardò mentre lei, con dita languide, imburrava un pezzo di pane di noci. Callista se lo portò alla bocca e masticò, ma Andrew non la vide deglutire.

Ellemir spezzò un po’ di pane e disse: — Abbiamo una decina di ancelle, in cucina, ma se io manco per un giorno o due il pane diventa immangiabile!

Andrew pensò che il pane era come al solito: caldo, fragrante, a grana grossa, con la farina mescolata alle noci macinate che su Darkover costituivano il cibo principale. Era aromatizzato con le erbe e aveva un buon sapore, ma a Andrew davano un po’ fastidio quella grana grossolana e quelle spezie sconosciute. Neppure Callista mangiava, e Ellemir appariva turbava. Disse: — Posso mandarti a prendere qualcosa d’altro, Callie?

Callista scrollò la testa. — No, davvero. Non posso, Elli. Non ho fame…

Erano giorni che non mangiava quasi nulla. In nome di Dio, pensò Andrew, cos’ha?

Damon disse, con improvvisa ruvidezza: — Vedi, Callista? È come ti dicevo. Hai lavorato con le matrici per… per quanto? Nove anni? Sai cosa significa, quando non puoi mangiare!

Negli occhi di lei balenò un’espressione spaventata. Disse: — Mi sforzerò, Damon. Davvero. — Prese una cucchiaiata di frutta cotta e l’inghiottì con riluttanza. Damon l’osservò, preoccupato, pensando che costringerla a fingere un appetito che non provava non era ciò che lui voleva ottenere. Disse, fissando le creste di neve che sembravano panna montata, imporporate dalla luce: — Se il tempo migliorasse, manderei qualcuno a Neskaya. Forse la leronis potrebbe venire a darti un’occhiata.

— Sembra che adesso si stia schiarendo — osservò Andrew, ma Damon scrollò il capo.

— Prima di sera riprenderà a nevicare. Conosco il tempo di queste colline. Se qualcuno partisse stamattina, resterebbe bloccato a metà strada.

Infatti, poco dopo mezzogiorno la neve ricominciò a scendere in enormi fiocchi bianchi, dapprima lentamente e poi sempre più pesante, in un turbine irrequieto che nascose il paesaggio e le colline. Andrew la guardava, indignato e incredulo, mentre andava dalle gallerie delle stalle alle serre, mentre sovrintendeva all’attività dei maggiordomi e dei garzoni. Com’era possibile che il cielo racchiudesse tanta neve?

Salì di nuovo nel tardo pomeriggio, appena ebbe terminato quel po’ di lavoro che c’era da fare in quei giorni. Come sempre, quando rimaneva per un poco lontano da Callista, si sgomentò. Gli parve che da quel mattino fosse diventata ancora più pallida e scarna, e che dimostrasse dieci anni più della gemella. Ma gli occhi le brillarono di gioia al vederlo, e quando Andrew le prese le dita lei le strinse intorno alla sua mano, di slancio.

Andrew chiese: — Sei sola, Callista? Dov’è Ellemir?

— È andata a passare un po’ di tempo con Damon. Poverini, sono stati così poco insieme, ultimamente: uno dei due è sempre con me. — Si scostò, con un fremito di sofferenza che sembrava non lasciarla mai. — Avarra abbia pietà di me: sono stanca di stare a letto.

Lui si chinò e la sollevò. — Allora ti terrò un po’ così, tra le braccia — disse, portandola a una poltrona davanti alla finestra. Era leggera come una bambina, abbandonata e inerte. Gli appoggiò la testa sulla spalla. Andrew provava una tenerezza dolorosa, immune dal desiderio: un uomo non poteva turbare col desiderio quella bambina malata. La cullò, dolcemente.

— Dimmi cosa succede, Andrew. Sono così isolata. Poteva finire il mondo senza che io ne sapessi nulla.

Lui indicò il mondo bianco di neve, oltre la finestra. — Come vedi, non è accaduto niente d’importante. Non c’è niente da dirti, a meno che t’interessi sapere quali frutti stanno maturando nella serra.

— Ecco, mi fa piacere sapere che non sono stati distrutti dalla tormenta. Qualche volta i vetri si spezzano e le piante muoiono: ma è ancora troppo presto perché succeda — disse lei, appoggiandosi stancamente, come se lo sforzo di parlare fosse stato troppo grande.

Andrew la tenne stretta, lieto che non si ritraesse, che mostrasse di desiderare il contatto con lui mentre in precedenza l’aveva temuto. Forse aveva ragione: ora che il suo ciclo era incominciato, con l’andar del tempo e con la pazienza avrebbe potuto vincere il condizionamento della Torre. Teneva gli occhi chiusi, e sembrava addormentata.

Rimasero così a lungo, fino a quando Damon, entrando all’improvviso nella stanza, si arrestò di colpo, sbigottito. Aprì la bocca per parlare, ma Andrew percepì il messaggio concitato e impaurito, direttamente dal suo pensiero.

Andrew! Mettila giù, presto, allontanati da lei!

Andrew alzò la testa, irosamente: ma sentendo l’angoscia sincera di Damon reagì con prontezza. Sollevò Callista e la riportò sul letto. Lei restò silenziosa, immobile, priva di sensi.

— Da quanto tempo è così? — chiese calmo Damon.

— Solo da pochi minuti. Stavamo parlando — rispose Andrew, in tono difensivo.

Damon sospirò, e disse: — Credevo di potermi fidare di te. Credevo che capissi!

— Lei non ha paura di me, Damon: voleva che la tenessi tra le braccia.

Callista aprì gli occhi. Sembravano incolori, nella luce fioca filtrata dalla neve. — Non rimproverarlo, Damon. Ero stanca di stare a letto. Davvero, sto meglio. Pensavo che stasera mi sarei fatta portare la mia arpa e avrei suonato un po’. Sono stanca di non aver niente da fare.

Damon la guardò, scettico, ma disse: — La manderò a prendere, se vuoi.

— Lascia, vado io — replicò Andrew. Senza dubbio, se si sentiva abbastanza bene da suonare l’arpa doveva essere migliorata! Scese nella Grande Sala, trovò un maggiordomo e chiese lo strumento di dama Callista. L’uomo gli portò la piccola arpa, non più grande di una chitarra terrestre, nella custodia di legno scolpito.

— Devo portarla di sopra, Dom Ann’dra?

— No, la prendo io.

Una delle ancelle, che stava dietro il maggiordomo, disse: — Porta le nostre congratulazioni alla signora, e dille che speriamo che presto stia abbastanza bene da accettarle personalmente.

Andrew imprecò, incapace di trattenersi. Poi si affrettò a chiedere scusa: la donna non aveva avuto intenzioni cattive. E cos’altro potevano pensare? Callista era a letto da dieci giorni, e nessuno era stato chiamato ad assisterla: solo la sua gemella poteva starle vicina. Si poteva dar loro torto se pensavano che era incinta, e che la sorella e il marito si prendevano cura di lei perché il bambino non subisse la stessa sorte di quello di Ellemir? Infine disse, con una voce che sapeva malferma: — Ti ringrazio dei tuoi… dei tuoi gentili auguri, ma mia moglie non ha avuto questa fortuna… — Non riuscì a continuare. Accettò i mormorii di comprensione, e si affrettò a salire.

Nel soggiorno dell’appartamento si fermò, sentendo la voce incollerita di Damon.

— È inutile, Callista, e lo sai. Non puoi mangiare, non dormi se non ti somministro un soporifero. Speravo che tutto si risolvesse, dopo l’inizio spontaneo del ciclo. E invece guardati!

Callista mormorò qualcosa. Andrew non riuscì ad afferrare le parole, ma solo il tono di protesta.

— Sii sincera, Callista. Tu eri leronis di Arilinn. Se ti avessero portato qualcuna in questo stato, cos’avresti fatto? — Una breve pausa. — Allora sai cosa devo fare, e in fretta.

— Damon, no! — Era un grido di disperazione.

— Breda, ti prometto che cercherò…