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— Torna da noi, Callista. Torna.

Lei disse, balbettando: — Mio marito…

Leonie fece un gesto di rifiuto. — Il libero matrimonio non è nulla, Callista: è una finzione legale, priva di valore se non viene consumato. Cosa ti lega a quell’uomo?

Callista fece per rispondere «L’amore», ma sotto lo sguardo sprezzante di Leonie non riuscì a pronunciare quella parola. Disse, invece: — Una promessa, Leonie.

— La tua promessa a noi è venuta prima. Tu sei nata per questo lavoro, Callista: è il tuo destino. Ricordi? Eri consenziente a ciò che ti veniva fatto. Eri una delle sette ragazze giunte da noi quell’anno. Sei di loro hanno fallito, una dopo l’altra. Erano già cresciute, i loro canali nervosi erano già maturi. Per loro, la liberazione dei canali e il condizionamento contro la reazione erano troppo dolorosi. E poi c’era Hilary Castamir: la ricordi? Lei è diventata Custode, ma ogni mese, quando sopravveniva il suo ciclo, andava in convulsioni, e il prezzo sembrava troppo grande. Ero disperata, Callista, ti ricordi? Dovevo addossarmi il lavoro di tre Custodi, e la mia salute cominciava a soffrirne. E per questo ti ho spiegato come stavano le cose, e tu hai acconsentito.

— Come potevo acconsentire? — esclamò disperata Callista. — Ero una bambina! Non sapevo neppure cosa mi chiedevi!

— Eppure hai acconsentito a essere addestrata quando non eri ancora adulta, quando i canali erano ancora immaturi. Perciò ti sei adattata facilmente all’addestramento.

— Lo ricordo — disse Callista, a voce bassa. Era stata così orgogliosa di riuscire dove tante fallivano, di diventare Callista di Arilinn, di prendere posto accanto alle grandi Custodi della leggenda. Ricordava l’euforia che le dava il prendere la direzione dei grandi cerchi, percepire le immense tensioni che fluivano senza ostacoli attraverso il suo corpo, guidare gli enormi anelli di energon…

— Ed eri così giovane. Mi sembrava improbabile che avessi qualche possibilità. E invece… Ma, mia cara, potrai riavere tutto. Basta che tu dica una parola.

— No! — gridò Callista. — No! Sono stata sciolta dal giuramento… Non voglio! — Eppure, stranamente, non ne era sicura.

— Callista, avrei potuto costringerti a ritornare. Eri ancora vergine, e la legge mi autorizzava a importi di tornare ad Arilinn. C’è un gran bisogno di te, e io sono vecchia. Eppure, come ho detto, è un peso troppo grande per portarlo senza pieno consenso. Ti ho lasciata libera, figlia mia, sebbene io sia vecchia: e questo significa che dovrò sforzarmi di portare il mio fardello fino a quando Janine sarà abbastanza cresciuta, abbastanza adulta per questo lavoro. Ti sembra che io ti volessi male, o che abbia mentito quando ti ho benedetta e ti ho augurato di vivere felice col tuo innamorato? Credevo che fossi già libera. Credevo, rendendoti il tuo giuramento, d’inchinarmi all’inevitabile; credevo che in pratica fossi già libera, e che non ci fosse ragione di non renderti la promessa e di tormentarti insistendo per farti ritornare, per liberare i canali e costringerti a ritentare.

Callista sussurrò: — Speravo… credevo di essere libera…

Sentì l’orrore di Leonie, quasi tangibile. — Mia povera piccola, che rischio! Come può starti tanto a cuore un uomo, quando hai tutto questo davanti a te? Callista, tesoro, torna da noi! Guariremo tutte le tue ferite. Torna, il tuo posto è qui…

— No! — Era un grido di rinuncia. E come se fosse echeggiato nell’altro mondo, Callista udì la voce di Andrew invocare tormentosamente il suo nome.

— Callista, Callista, torna da noi…

Ci fu un trauma breve e brusco, la sensazione di precipitare. Leonie non c’era più, e la sofferenza le trafiggeva il corpo. Si ritrovò distesa sul letto, e il volto di Andrew, pallido come quello di un morto, era chino su di lei.

— Temevo di averti persa per sempre, questa volta — mormorò Andrew.

— Forse sarebbe meglio… — mormorò Callista, angosciata.

Leonie aveva ragione. Niente mi lega a lui, tranne una promessa… e il mio destino è di essere Custode. Per un attimo il tempo si sfocò, e Callista vide se stessa al riparo di strane mura sconosciute che non erano quelle di Arilinn. Afferrò con le mani i fasci di forza, gettò gli anelli di energon…

Tese le mani verso Andrew, e istintivamente si ritrasse. Poi, sentendo lo sgomento di lui, gli prese le mani, dimenticando le acute fitte ammonitrici.

Non potrò mai ritornare. Se non c’è una soluzione morirò, ma non ritornerò mai là.

Niente mi lega a Andrew, se non parole. Eppure… le parole… le parole hanno potere. Aprì le palpebre, guardò il marito negli occhi, e ripeté le parole che lui aveva pronunciato in occasione delle nozze.

— Andrew, nella buona e nella cattiva sorte… in ricchezza e in povertà… nella malattia e nella buona salute… finché morte non ci separi — disse, e strinse le sue mani su quelle di lui. — Andrew, amor mio, non devi piangere.

CAPITOLO UNDICESIMO

Damon non si era mai sentito tanto frustrato. Leonie aveva agito per ragioni che all’epoca le erano parse valide, e in una certa misura lui poteva comprendere le sue motivazioni.

Doveva esserci una Custode, ad Arilinn. Per tutta la vita di Leonie, quello era stato il problema più importante, e niente poteva eclissarlo. Ma non era possibile spiegarlo a Andrew.

— Sono sicuro che se fossi al tuo posto penserei la stessa cosa — disse. Era notte. Callista era piombata in un sonno inquieto, sfinita: ma almeno dormiva senza bisogno di pozioni soporifere, e Damon si sforzava di trovare in questo un barlume di consolazione. — Non puoi biasimare Leonie…

— E invece sì! — l’interruppe Andrew. Damon sospirò.

— Cerca di capire. Lei ha fatto ciò che riteneva giusto, non solo per le Torri ma anche per Callista, per risparmiarle angosce e sofferenze. Difficilmente poteva prevedere che Callista avrebbe voluto sposare… — Stava per dire «un alieno». Si trattenne, ma naturalmente Andrew captò il suo pensiero. Un rossore cupo, che era per metà di collera e per metà d’imbarazzo, gli si diffuse sul volto. Girò le spalle a Damon, caparbiamente; e Damon sospirò, pensando che il problema andava risolto in fretta perché altrimenti lui avrebbe perso anche Andrew.

Era un pensiero amaro, quasi intollerabile. Fin dal primo momento del quadruplice legame tramite la matrice, quando Callista era ancora prigioniera, Damon aveva trovato qualcosa che credeva di aver perso irrevocabilmente quando era stato allontanato dalla Torre: il legame telepatico del cerchio.

L’aveva perso quando Leonie l’aveva mandato via da Arilinn, e aveva dovuto rassegnarsi a farne a meno; e poi, al di là di ogni speranza, l’aveva ritrovato nelle due cugine e in quell’alieno… Adesso avrebbe preferito morire piuttosto che permettere che il vincolo si spezzasse di nuovo.

Disse, in tono fermo: — Leonie ha fatto questo, per qualunque ragione, buona o cattiva, e ne è responsabile. Callista non è abbastanza forte da ottenere la soluzione. Ma Leonie, e soltanto Leonie, può avere la chiave del suo problema.

Andrew guardava l’oscurità turbinante di neve, fuori dalla finestra. — È inutile. Quanto dista Arilinn da qui?

— Non so in che modo voi calcoliate le distanze. Noi la calcoliamo in una cavalcata di dieci giorni. Ma non pensavo di andare da lei. Farò ciò che ha fatto Callista: la cercherò nel sopramondo. — Le labbra contratte abbozzarono un mesto sorriso. — Adesso che Dom Esteban è invalido, e Domenic è ancora un ragazzo, io sono il parente più stretto. Ho il diritto e la responsabilità di chieder conto a Leonie.

Ma chi poteva chiedere conto a un’Hastur, a un’Hastur che era la Dama di Arilinn?

— Vorrei venire con te e scatenare l’inferno — esclamò Andrew.

— Tu non sapresti cosa dirle. Te lo prometto, Andrew: se c’è una soluzione, la troverò.