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All’improvviso, la voce di Ellemir prese a tremare. — Allora voi terrestri siete come gli uomini delle Città Aride, che tengono le loro donne rinchiuse e incatenate perché nessun altro le tocchi? E Callista è un giocattolo che tu vuoi chiudere in uno scrigno perché nessun altro possa prenderlo? Ma che cos’è per te il matrimonio?

— Non lo so — rispose avvilito Andrew: la sua collera si era attenuata. — Non sono mai stato sposato, prima d’ora. Non voglio litigare con te, Elli. — Mormorò a fatica quel vezzeggiativo. — Io… ecco… bene, prima stavamo parlando delle cose che mi sembrano strane: eccone una. Credere che Callista non soffrirebbe…

— Se l’avessi abbandonata, o se l’avessi costretta a consentire contro la sua volontà (come Dom Ruyven di Castamir, che aveva costretto dama Crystal ad accogliere la sua moglie barragana e ad adottare tutti i bastardi partoriti da quella donna), allora sì che avrebbe motivo di angosciarsi. Ma come puoi credere che sia una crudeltà se fai ciò che lei vuole? — Ellemir lo guardò negli occhi e gli prese gentilmente la mano. Poi disse: — Se tu soffri, tutti noi ne risentiamo. Anche Callista. E… e anch’io, Andrew.

Le barriere del terrestre erano abbassate. Il contatto tra le loro menti lo fece sentire completamente indifeso, scoperto. Non si stupiva più che lei non avesse esitato a farsi vedere senza niente addosso. La vera nudità era questa.

Era arrivato a quel particolare stadio di ubriachezza in cui i preconcetti si offuscano e la gente fa cose scandalose, convincendosi che sono normalissime. Vedeva Ellemir ora come lei stessa, ora come Callista, ora come un segno visibile di un contatto che solo adesso lui cominciava a comprendere, il quadruplice legame tra loro. Lei si chinò e posò la bocca sulla sua. Andrew si sentì pervaso da una scossa elettrica. Tutta la sua frustrazione dolorosa si trasfuse nella forza con cui la prese tra le braccia.

Sta succedendo davvero oppure sono ubriaco e sto sognando di nuovo? Il pensiero si offuscò. Sentiva il corpo di Ellemir tra le braccia, snello, nudo, sicuro, con quella strana accettazione concreta. In un attimo d’intuizione completamente lucida comprese che quello era il modo in cui Ellemir escludeva la consapevolezza di Damon. Non si trattava solo della sua esigenza, ma anche di quella di lei. E ne era lieto.

Era nudo, e non ricordava di essersi spogliato. Lei era calda e docile tra le sue braccia. Sì, c’è già stata per un momento: noi quattro, uniti, prima della catastrofe…. In fondo alla mente di lei percepì un senso di affettuoso divertimento: No, tu non mi sei estraneo…

E insieme all’eccitazione crescente venne un pensiero, strano e triste: avrebbe dovuto essere Callista, non lei. Ellemir gli dava una sensazione così diversa, tra le sue braccia: era così solida, senza la timida fragilità che l’aveva tanto affascinato in Callista. Poi sentì il tocco di lei che lo eccitava, annullando i suoi pensieri. Sentì i ricordi appannarsi, e per un momento si chiese se era opera sua: quella foschia benedetta annebbiava tutto. Adesso era soltanto un corpo che reagiva, spinto da una lunga privazione, conscio soltanto di un corpo arrendevole e sensibile tra le sue braccia, di un’eccitazione e di una tenerezza pari alle sue nella ricerca dello sfogo a lungo negato. Quando l’acme giunse fu così intenso che Andrew temette di perdere i sensi.

Dopo lunghi istanti si mosse, spostandosi cautamente. Lei sorrise e si scostò i capelli dal volto. Andrew si sentiva calmo, liberato. No, era qualcosa di più della gratitudine: era una vicinanza, come… sì, come il momento in cui si erano incontrati nella matrice. Disse, sottovoce: — Ellemir. — Solo una riconferma, una sicurezza. Per il momento lei era chiaramente se stessa, non era Callista, non era nessun’altra. Lo baciò lievemente sulla tempia, e all’improvviso lo sfinimento e la liberazione del lungo diniego lo travolsero: si addormentò tra le braccia di Ellemir. Dopo chissà quanto tempo, si svegliò e vide che Damon li stava guardando.

Aveva l’aria stanca e stravolta, e Andrew pensò, sgomento, che quello era il migliore amico che avesse mai avuto e lui era lì a letto con sua moglie.

Ellemir si levò di scatto a sedere. — Callista…?

Il sospiro di Damon sembrò salire dalle radici del suo essere. — Si riprenderà perfettamente. Ora dorme. — Barcollò, e per poco non cadde addosso a loro due. Ellemir tese le braccia e lo strinse al seno.

Andrew sentì di essere di troppo: poi, captando lo sfinimento di Damon, che era ormai sull’orlo del collasso, si rese conto che quella sua preoccupazione era egoistica, incoerente. Goffamente, augurandosi che ci fosse un modo per esprimere ciò che provava, passò la mano intorno alle spalle di Damon.

Damon sospirò di nuovo e disse: — Sta meglio di quanto avessi osato sperare. È molto debole, naturalmente, ed esausta. Dopo tutto quello che le ho fatto passare… — Rabbrividì, e Ellemir lo strinse a sé.

— È stato così terribile, amore?

— Terribile, sì, terribile per lei  — mormorò Damon. Anche in quel momento (Ellemir lo sentì, con una stretta al cuore) stava cercando di proteggerla, di proteggere entrambi dalla crudezza del ricordo. — È stata così coraggiosa, e io non sopportavo di doverle fare tanto male. — La sua voce si spezzò. Nascose il volto nel seno di Ellemir e prese a singhiozzare: singulti aspri, irrefrenabili.

Andrew pensò che adesso doveva andarsene, ma Damon gli cercò la mano e la serrò in una stretta sofferente. Andrew, accantonando il disagio di trovarsi presente in quel momento, pensò che adesso Damon aveva bisogno di tutto il conforto che era possibile dargli. Disse soltanto, sottovoce, quando Damon si fu calmato: — Devo andare da Callista?

Damon captò il sottinteso in quelle parole: Tu e Ellemir preferite restare soli. Nelle sue condizioni di stanchezza e di tensione era doloroso, come un rifiuto. Lo sfinimento diede un tono tagliente alle sue parole.

— Lei non saprà neppure se ci sei o no, ma fa’ come ti pare! — E il seguito era evidente come la parte che aveva pronunciato: Se davvero non vedi l’ora di allontanarti da noi.

Lui non capisce ancora…

Damon, come potrebbe? Anche Ellemir stentava a comprendere. Sapeva soltanto che quando Damon si trovava in quelle condizioni era una cosa dolorosa, stancante. Non era in grado di confortarlo, di rispondere alle sue esigenze; e si sentiva straziata dalla propria incapacità. Non era un bisogno sessuale: quello avrebbe potuto capirlo e alleviarlo; ma ciò che percepiva in Damon la lasciava esausta e impotente, perché non era un bisogno riconoscibile e comprensibile. Un po’ della sua disperazione si comunicò a Andrew, sebbene lei dicesse soltanto: — Resta, ti prego. Credo che ci voglia vicini tutt’e due, adesso.

Damon, aggrappandosi a entrambi in un disperato e straziante bisogno di contatto fisico, che tuttavia non era la sua vera esigenza, pensò: No, non capiscono. E poi, più razionalmente: E non capisco neppure io. Per il momento gli bastava che fossero lì. Non era completo, non era ciò di cui aveva bisogno, ma per il momento poteva bastare: e Ellemir, che lo teneva stretto per alleviargli la disperazione, pensò che così avrebbero potuto calmarlo un po’. Ma di cosa aveva bisogno, veramente? L’avrebbe mai scoperto? Ne dubitava. E come avrebbe potuto saperlo, lei, se neppure Damon lo sapeva?

CAPITOLO DODICESIMO

Callista si svegliò e rimase distesa, a occhi chiusi, col sole sulle palpebre. Durante la notte, nel sonno, aveva sentito la tempesta che si placava, e la neve che smetteva di cadere, e le nubi che scomparivano. Al mattino era spuntato il sole. Si stiracchiò, assaporando la beatitudine dell’assenza del dolore. Si sentiva ancora debole, esausta, sebbene adesso avesse l’impressione di aver dormito ininterrottamente per due o tre giorni, dopo quella prova terribile. Poi era rimasta a letto per qualche giorno, recuperando le forze, pur sentendosi del tutto bene. Sapeva di dover anzitutto ritrovare la salute, che prima era sempre stata eccellente: e per questo occorreva tempo.