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Quando aveva lasciato la Torre, aveva pensato che non l’avrebbe fatto mai più: Valdir era troppo giovane per averne bisogno, e Domenic era ormai troppo grande. Eppure si rendeva conto che, qualunque cosa accadesse, in nessuna casa di telepati doveva mancare quella droga particolare. Era di gran lunga il preparato più difficile che lei conoscesse: andava distillato in tre operazioni distinte, ognuna delle quali serviva a eliminare una diversa frazione chimica della resina. Aveva sistemato tutto, e stava prendendo gli apparecchi per distillare quando Ferrika entrò e trasalì nel vederla.

— Perdona se ti disturbo, vai domna.

— No, vieni, Ferrika. Cosa posso fare, per te?

— Una delle ancelle si è scottata la mano nel fare il bucato. Sono venuta a prendere l’unguento per le ustioni.

— Eccolo — disse Callista, prendendo un barattolo dallo scaffale. — Posso fare qualcosa?

— No, mia signora, non è grave — rispose la donna, e se ne andò. Poco dopo tornò per riportare il barattolo.

— È una scottatura grave?

Ferrika scosse il capo. — No, no. Ha infilato la mano per sbaglio nel mastello dell’acqua calda, ma credo che dovremmo tenere un unguento in cucina e nei lavatoi. Se qualcuno si scottasse in modo grave, si perderebbe tempo prezioso per venire fin qui a prenderlo.

Callista annuì. — Credo che tu abbia ragione. Riempi qualcuno dei barattoli più piccoli, allora — disse. Mentre Ferrika si metteva al lavoro, al tavolino, lei aggrottò la fronte e aprì un cassetto dopo l’altro, finché Ferrika si voltò e chiese: — Mia signora, posso aiutarti a cercare? Se io o il nobile Damon abbiamo messo qualcosa fuori posto…

— Sì, qui c’erano i fiori di kireseth…

— In parte li ha usati il nobile Damon, mia signora, mentre tu eri malata.

Callista annuì, ricordando la tintura che Damon aveva preparato. — Ne ho tenuto conto; ma, a meno che ne abbia sprecati parecchi, qui ce n’erano più di quanti lui avrebbe dovuto usarne, in un sacchetto dentro quell’armadio. — Continuò a frugare. — Tu ne hai presi un po’?

La donna scosse la testa. — Non li ho toccati. — Stava mettendo l’unguento in un barattolo con una spatolina d’osso. Mentre la guardava, Callista chiese: — Tu sai preparare il kirian?

— So come si prepara, mia signora. Quando studiavo nella Casa della Corporazione, ad Arilinn, ognuna di noi passava un po’ di tempo come apprendista di un farmacista, per imparare a preparare le medicine. Ma personalmente non l’ho mai preparato. Nella Casa della Corporazione non ne avevamo bisogno, anche se dovevamo imparare a riconoscerlo. Tu sai che i… che certa gente vende clandestinamente i sottoprodotti della distillazione del kirian?

— Ne avevo sentito parlare, anche alla Torre — rispose seccamente Callista. Il kireseth era una pianta che conteneva varie resine nelle foglie, negli steli e nei fiori. Tra le Colline di Kilghard, in certe stagioni, il polline creava problemi poiché aveva pericolose qualità psicoattive. Il kirian, la droga telepatica che abbassava le barriere della mente, utilizzava solo la frazione non pericolosa, e anche quella andava usata con grande prudenza. L’uso del kireseth grezzo o delle altre resine, era vietato per legge a Thendara e ad Arilinn, ed era considerato un reato in tutti i dominii. Perfino il kirian veniva trattato con estrema precauzione, e agli estranei incuteva una specie di paura superstiziosa.

Mentre contava e divideva i teli da filtro, Callista pensò, con strana nostalgia, alla lontana pianura di Arilinn. Era stata casa sua, per tanto tempo. Pensò che non l’avrebbe più rivista.

Poteva essere di nuovo la sua casa, aveva detto Leonie… Per scacciare quel pensiero, chiese: — Hai vissuto a lungo, ad Arilinn?

— Tre anni, domna.

— Ma tu sei nata nella tenuta, non è vero? Ricordo che io e te e Dorian e Ellemir giocavamo insieme, da bambine, e prendevamo insieme lezione di ballo.

— Sì, mia signora, ma quando Dorian si è sposata e tu sei andata alla Torre ho deciso che non volevo restare qui tutta la vita, come una pianta aggrappata al muro. Mia madre era stata levatrice qui, come ricorderai, e credevo di essere dotata per il suo lavoro. Nella tenuta di Syrtis c’era una levatrice che aveva studiato nella Casa della Corporazione ad Arilinn, dove addestrano guaritrici e ostetriche: e vedevo che grazie alle sue cure si salvavano tante donne che mia madre avrebbe affidato alla misericordia di Avarra… Si salvavano, e i loro bambini sopravvivevano. Mia madre diceva che quei sistemi nuovi erano pazzeschi, e probabilmente erano anche blasfemi; ma io sono andata alla Casa della Corporazione, a Neskaya, e ho pronunciato i voti. Mi hanno mandata ad Arilinn, a studiare. Poi ho chiesto alla mia «madre per giuramento» l’autorizzazione di venire qui a lavorare, e lei ha acconsentito.

— Non sapevo che ad Arilinn ci fosse qualcuno venuto dai miei villaggi.

— Oh, ti vedevo di tanto in tanto, mia signora, a cavallo con le altre vai leroni. E una volta, domna Lirielle è venuta alla Casa delle Corporazioni per aiutarci. C’era una donna con gli organi interni che venivano distrutti da una malattia terribile, e la nostra madre della Corporazione ha detto che non si poteva fare niente per lei se non castrarla.

— Credevo che fosse proibito — osservò Callista, con un brivido, e Ferrika replicò: — Infatti, domna, ma non quando si tratta di salvare una vita. Più che vietato è molto pericoloso, se lo si fa con i ferri chirurgici. Molte non si riprendono mai. Ma lo si può fare con la matrice… — S’interruppe con un sorriso malinconico e disse: — Ma c’è bisogno che sia io a spiegarlo a te, che eri Dama di Arilinn e che conosci tutte queste arti?

Callista disse, quasi tremando: — Non l’ho mai visto fare.

— Io ho avuto il privilegio di vedere all’opera la leronis; e ho pensato che sarebbe stato un grande aiuto, per le donne del nostro mondo, se quell’arte fosse stata conosciuta meglio.

Con un brivido di ripugnanza, Callista chiese: — L’arte di castrare?

— Non soltanto quella, domna, ma anche quella, sì, per salvare una vita. La donna è sopravvissuta. Sebbene la sua femminilità fosse stata distrutta, anche il male era bruciato e lei era salva. Ma ci sono tante altre cose che si potrebbero fare. Tu non hai visto ciò che ha fatto il nobile Damon con gli uomini colpiti da congelamento: ma io ho visto come si sono ripresi, dopo… e ho visto in che modo guariscono gli altri uomini, quando sono costretta ad amputare loro le dita delle mani e dei piedi per salvarli dalla cancrena. E ci sono donne per le quali è pericoloso mettere al mondo altri figli, e non esiste un modo per impedirlo. Da molto tempo sono convinta che la soluzione potrebbe essere di castrarle parzialmente, se lo si potesse fare senza i rischi di un intervento chirurgico. È un vero peccato, mia signora, che l’arte di fare queste cose con una matrice non sia conosciuta fuori dalle Torri.

Callista sbigottì a quel pensiero, e Ferrika si rese conto di essersi spinta troppo oltre. Tappò il barattolo dell’unguento contro le bruciature. — Hai trovato il kireseth che cercavi, dama Callista? Dovresti chiedere al nobile Damon se l’ha messo in qualche altro posto. — Ripose l’unguento, diede un’occhiata alle dosi di tè alle erbe che Callista aveva preparato, e poi osservò gli scaffali. — Quando questa sarà finita non avremo più radice di fruttonero?

Callista guardò i frammenti raggrinziti in fondo al barattolo. — Dobbiamo mandarne a prendere ai mercati di Neskaya, quando le strade saranno transitabili. Viene dalle Città Aride. Comunque non l’usiamo molto spesso, vero?