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Andrew replicò: — Ma stiamo solo sognando, e chi può proibire il sogno? — Ma sapeva, con una punta di rimorso, che un telepate doveva essere responsabile perfino dei propri sogni, e che neppure nei sogni lui poteva accostarsi a Ellemir come desiderava fare. Damon disse: — Ma ti avevo avvertito: è solo una parte del fatto di essere ciò che siamo. — Andrew gli voltò le spalle e cercò di uscire dalla struttura, ma i muri lo tenevano rinchiuso, prigioniero. Poi Callista (oppure era Ellemir? Non sapeva più con certezza quale delle due fosse sua moglie) gli si accostò, tenendo in mano un mazzo di fiori di kireseth, e disse: — Prendili. Un giorno i nostri figli si nutriranno di questi frutti.

Il frutto proibito. Ma prese il mazzo, mordendo i fiori che erano morbidi come seni di donna, e il profumo delle corolle era come una fitta nella sua mente. Poi il fulmine colpì l’edificio, che cominciò a tremare e a crollare, e al di là dei muri che precipitavano c’era Leonie che li malediceva, e oscuramente Andrew sapeva che era tutta colpa sua, perché lui le aveva portato via Callista.

E poi si ritrovò solo sulla grigia pianura, e l’edificio era lontanissimo, all’orizzonte. Sebbene camminasse da un’eternità, giorni, ore, eoni, non riusciva a raggiungerlo. Sapeva che Damon e Callista e Ellemir erano tutti là dentro, e avevano trovato la soluzione ed erano felici, ma lui era di nuovo solo, estraneo, e mai più sarebbe stato parte di loro. Appena si avvicinava, il grigiore elastico si espandeva, e lui era di nuovo lontano, l’edificio era di nuovo sull’estremo orizzonte. Eppure, chissà come, nel contempo era all’interno di quelle mura, e Callista gli giaceva tra le braccia (oppure era Ellemir? o forse, chissà come, faceva l’amore con entrambe, contemporaneamente?), ed era Damon quello che vagava all’orizzonte e si sforzava di avvicinarsi all’edificio e non lo raggiungeva mai, mai, mai… Disse a Ellemir: — Devi portargli qualche fiore di kireseth.  — Ma lei si trasformò in Callista e replicò: — È proibito, a coloro che sono stati addestrati in una Torre. — Andrew non riusciva a capire se era lì a giacere fra le due donne o se era fuori, a vagare sul lontano orizzonte… Ma sapeva di essere prigioniero nel sogno di Damon e di non poterne uscire.

Si svegliò con un sussulto. Callista giaceva, irrequieta, nella grigia oscurità della camera. Andrew sentì la propria voce dire: — Saprai cosa fare di loro quando verrà il momento… — E poi, chiedendosi cos’aveva inteso dire, comprese che quelle parole facevano parte del sogno di Damon. Poi si riaddormentò, vagando fino all’alba in quei reami grigi e informi. Parzialmente conscio che quella non era la sua coscienza, si chiese se era se stesso o se in un modo o nell’altro si era mescolato anche alla personalità di Damon.

Si sorprese a pensare che la precognizione era quasi peggio della mancanza di ogni facoltà. Se era un avvertimento, allora ci si poteva lasciar guidare. Ma era solo una sfocatura del tempo, e neppure Leonie comprendeva il tempo. E Andrew, vagamente conscio, si augurò che Damon tenesse per sé quei suoi maledetti sogni.

Era una mattina fredda, e nevischiava. Damon pensò che il cielo rispecchiava il suo umore.

Aveva evitato quel lavoro per tanti anni, e adesso era costretto a ricominciare. E ora sapeva che non era soltanto per il bene di Callista. Aveva sbagliato a rinunciarvi completamente.

Era stato fuorviato dal tabù che vietava ai telepati di operare con le matrici fuori dalle Torri. Dopo le epoche del caos, quel tabù poteva aver avuto senso: ma adesso — lo sentiva in tutti i nervi — era un errore.

C’erano tante cose che i telepati potevano fare. E invece non si faceva nulla.

Lui si era costruito una nuova carriera nelle Guardie, ma ciò non l’aveva mai soddisfatto completamente. E a differenza di Andrew, non riusciva a sentirsi realizzato dirigendo la tenuta del suocero. Sapeva che per molti figli cadetti, privi di una tenuta tutta loro, quella sarebbe stata la soluzione ideale: sebbene non avesse proprietà terriere, aveva una tenuta dove i suoi figli avrebbero partecipato all’eredità. Ma questo non andava bene, per lui. Sapeva che qualunque maggiordomo sarebbe stato in grado di svolgere il suo lavoro. Il suo compito, lì, consisteva semplicemente nel controllare che un dipendente privo di scrupoli non approfittasse del padre di sua moglie.

Non gli dispiaceva dedicare il proprio tempo al lavoro nella tenuta. La sua vita era lì con Ellemir, e adesso l’avrebbe straziato il doversi separare da Andrew o da Callista.

Per Andrew era diverso. Era diventato adulto in un mondo non molto diverso da quello, e per lui era come ritrovare l’ambiente che aveva creduto di perdere per sempre quando aveva lasciato la Terra. Ma Damon, adesso, aveva incominciato a intuire che il suo vero lavoro era quello, il lavoro che aveva appreso nelle Torri.

— Il tuo compito e quello di Ellemir — disse a Andrew, — consistono semplicemente nel proteggerci dalle intrusioni. Se ci fosse qualche interruzione (anche se ho cercato di provvedere perché non ce ne siano), potrete occuparvene voi. Altrimenti dovete semplicemente restare in rapporto con me e prestarmi la vostra forza.

Il compito di Callista era di gran lunga più difficile. All’inizio aveva esitato a partecipare in quel modo: ma Damon era riuscito a convincerla, e ne era lieto perché poteva fidarsi completamente di lei. Come lui, era stata addestrata ad Arilinn, era un abile controllore psi, e sapeva esattamente ciò che si doveva fare. Avrebbe vegliato sulle sue funzioni vitali, assicurandosi che il suo organismo continuasse a procedere nel dovuto modo mentre il suo io essenziale era altrove.

Callista era pallida, stranita, e Damon sapeva che era riluttante a riprendere il lavoro che aveva abbandonato per sempre: e non, come lui, per paura o disgusto, ma perché era stato uno strazio rinunciarvi. E ora che aveva compiuto la rinuncia, esitava a scendere a un compromesso.

Eppure quello era il suo vero lavoro, e Damon lo sapeva. Era nata ed era stata addestrata per compierlo. Era un errore crudele, che una donna non potesse svolgere quel lavoro senza rinunciare alla femminilità. Per qualunque attività che non fosse un’operazione da compiere tra i grandi relè e schermi, Callista sarebbe stata perfettamente qualificata, anche se si fosse sposata una decina di volte e avesse avuto una decina di figli. Eppure era perduta, per le Torri, e la perdita era altrettanto grave per lei. Era un’idea assurda, pensava Damon, che con la rinuncia alla verginità Callista fosse stata privata di tutte le facoltà acquisite tanto faticosamente e delle conoscenze apprese a caro prezzo durante tutti gli anni trascorsi ad Arilinn.

Non lo credo, pensò, e trattenne il respiro. Era una bestemmia, un sacrilegio inconcepibile. Ma guardò Callista e pensò di nuovo, in uno slancio di sfida: Comunque, io non lo credo!

Tuttavia stava violando il tabù della Torre già servendosi di lei come controllore. Era una sciocchezza, una sciocchezza spaventosa!

Certo, dal punto di vista legale non faceva nulla di riprovevole. Callista, sebbene avesse dichiarato l’intenzione di sposarsi con una cerimonia di matrimonio libero, in pratica non era la moglie di Andrew. Era ancora vergine, e perciò era qualificata… Che sciocchezza! Che tragica sciocchezza!

C’era un errore, pensò nuovamente, un errore terribile nell’intera concezione dell’addestramento dei telepati, su Darkover. A causa degli abusi delle epoche del caos, dei reati commessi da uomini e donne morti da così tanto tempo che le loro ossa erano diventate polvere, altri uomini e altre donne erano condannati a una morte vivente.

Callista chiese, con dolcezza: — Cosa c’è, Damon? Sembri così incollerito!