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Lui non poteva spiegarglielo. Era ancora legata ai tabù, fin dal profondo delle ossa. Disse «Ho freddo», e non proseguì. Si avvolse in una vestaglia, che almeno avrebbe difeso il suo corpo dallo spaventoso gelo del sopramondo. Notò che anche Callista aveva sostituito il solito abito da casa con una vestaglia pesante. Si abbandonò su una poltrona, mentre Callista prendeva posto su un cuscino ai suoi piedi. Ellemir e Andrew erano un po’ scostati, e Ellemir osservò: — Quando vegliavo per te mi dicevi che dovevo toccarti i polsi per restare in contatto.

— Tu non sei addestrata, tesoro. Callista faceva questo lavoro già quando era una ragazzina. Sarebbe addirittura in grado di controllarmi da un’altra stanza, se fosse necessario. Tu e Andrew, sostanzialmente, siete superflui, anche se sarà un aiuto avervi qui. Se qualcosa dovesse interromperci… Ho dato gli ordini, ma se, gli dèi non vogliano, s’incendiasse la casa o Dom Esteban stesse male e avesse bisogno di assistenza, potrete occuparvene voi e proteggere me e Callista dalle interferenze.

Callista teneva la propria matrice sulle ginocchia. Damon notò che l’aveva legata al polso con un nastro. C’erano vari modi di maneggiare una matrice, e ad Arilinn tutti venivano incoraggiati a fare esperimenti e a trovare il metodo più congeniale. Damon notò che lei era in contatto con la gemma psi senza fissarla, mentre invece lui scrutava nelle profondità della propria e guardava le luci vorticanti che si mettevano a fuoco lentamente… Cominciò a respirare più adagio, e sentì quando Callista stabilì il contatto con la sua mente, sintonizzando le risonanze del proprio campo fisico con quelle di lui. Più vagamente, e in distanza, la sentì collegarsi a Andrew e Ellemir. Per un momento si rilassò, nella gioia di averli tutti intorno a sé, vicini, rassicuranti, nel legame più stretto che conoscesse. In quel momento sapeva di essere più vicino a Callista di chiunque altro al mondo. Più vicino che a Ellemir, anche se conosceva così bene il suo corpo, anche se aveva condiviso i suoi pensieri, anche se per un breve tempo lei aveva portato in grembo la loro figlia. Eppure Callista era vicina a lui come un gemello a un gemello prima della nascita, e Ellemir era più distante. E ancora più oltre percepiva Andrew, come un gigante, una rocca di forza che li proteggeva, li salvaguardava…

Percepì le mura del loro rifugio che li racchiudeva, la struttura astrale che aveva costruito per guarire gli uomini dal congelamento. Poi, con quello strano slancio verso l’alto, fu nel sopramondo, e poté vedere le mura prendere forma intorno a loro. Quando l’aveva costruito insieme a Andrew e Dezi somigliava a un rifugio per viaggiatori, di rozza pietra bruna, forse perché lui l’aveva ritenuto una struttura temporanea. Nel sopramondo, gli edifici erano ciò che ognuno li riteneva. Notò che adesso i mattoni e le pietre erano levigati e lucenti, e che sotto i suoi piedi c’era un pavimento d’ardesia come quello della piccola distilleria di Callista. Dal punto in cui si trovava, vestito dei colori verde e oro del suo dominio, poteva vedere che l’edificio era arredato. Visti così, i mobili sembravano stranamente trasparenti e incorporei, ma lui sapeva che se avesse provato a sedersi avrebbero assunto forza e solidità. Sarebbero stati comodi, e gli avrebbero offerto qualunque superficie desiderasse: velluto o seta o pelliccia, a volontà. Su uno di quei mobili giaceva Callista, e anche lei appariva stranamente trasparente, sebbene Damon sapesse che anche lei si sarebbe solidificata se rimanevano lì a lungo. Andrew e Ellemir erano ancora più indistinti, e lui vide che dormivano su altri mobili, perché erano lì soltanto nella sua mente, non erano consci al livello del sopramondo. Solo i loro pensieri, che fluttuavano tra i suoi nel collegamento mantenuto da Callista, erano forti e presenti. Erano passivi, lì, e gli prestavano tutta la loro forza. Damon fluttuò per un momento, godendo il conforto di un cerchio di sostegno, sapendo che l’avrebbe salvato dal terribile sfinimento conosciuto già altre volte. Notò che Callista teneva tra le mani una serie di fili, come una ragnatela, e comprese che era così che lei visualizzava il controllo mantenuto sul suo corpo, giacente nel mondo solido. Se il suo respiro fosse mancato, se la circolazione fosse stata ostacolata dalla posizione rattrappita, addirittura se un prurito avesse disturbato la sua concentrazione nel sopramondo, Callista avrebbe potuto rimediare prima ancora che lui se ne accorgesse. Protetto da Callista, il suo corpo era al sicuro, lì nel rifugio del loro edificio.

Ma non poteva restare lì: e mentre lo pensava, sentì se stesso attraversare le impalpabili mura del rifugio. Erano i suoi pensieri a fornire l’uscita, sebbene nessun estraneo potesse entrare: e si trovò fuori, sulla grigia e informe pianura del sopramondo. In lontananza scorgeva le cime della Torre di Arilinn, o meglio del duplicato di quella Torre.

Da mille anni, forse, i pensieri di ogni tecnico psi che si era mosso nel sopramondo avevano fatto di Arilinn un monumento inespugnabile. Perché era così lontana?, si chiese Damon, e poi comprese. Era la visualizzazione di Callista, e a lei Arilinn sembrava molto distante. Ma lì, nel sopramondo, lo spazio non aveva realtà, e letteralmente alla velocità del pensiero Damon si trovò davanti alle porte di Arilinn.

Lui ne era stato scacciato. Poteva penetrarvi, ora, se tentava di farlo? A questo pensiero si trovò all’interno, sui gradini del cortile, e Leonie stava davanti a lui, velata, nelle vesti cremisi.

— So perché sei venuto, Damon. Ho cercato dovunque i documenti che tu vuoi, e in questo giorno ho scoperto sulla storia di Arilinn molte più cose di quante ne avessi mai immaginate. Sapevo infatti che nei primi tempi delle Torri molti Custodi erano emmasca di sangue chieri, né uomo né donna. Ma non sapevo che quando tali nascite si sono fatte meno frequenti, quando i chieri hanno smesso di unirsi agli umani, alcuni dei primi Custodi sono stati castrati affinché assomigliassero a loro. Tu lo sapevi che anticamente venivano usati come Custodi non soltanto donne ma anche maschi castrati? Che barbarie!

— Ed era inutile — osservò Damon. — Qualunque tecnico psi appena un po’ efficiente è in grado di svolgere quasi tutto il lavoro di un Custode, senza altri inconvenienti che qualche giorno d’impotenza.

Leonie sorrise appena e disse: — Molti uomini ritengono che anche questo prezzo sia troppo alto.

Damon annuì, pensando a suo fratello Lorenz e al disprezzo nella sua voce quando diceva di lui «mezzo monaco, mezzo eunuco».

— Quanto alle donne — proseguì Leonie, — si è scoperto che una Custode non andava necessariamente castrata, sebbene non avessero ancora ideato le tecniche di addestramento che usiamo noi. Era sufficiente fissare i canali in modo che restassero liberi e non trasportassero ulteriori impulsi oltre a quelli psi. Perciò facevano in questo modo, senza ricorrere alla barbarie della castrazione. Ma nella nostra epoca, anche questa sembra una menomazione troppo grave per una donna. — Il suo volto aveva assunto un’espressione sprezzante. — Credo che fosse solo per l’orgoglio degli uomini Comyn, i quali erano convinti che l’attributo più prezioso di una donna fosse la fecondità, la capacità di trasmettere la loro eredità maschile. E hanno cominciato a riprovare le menomazioni della capacità riproduttiva delle donne.

Damon disse, a bassa voce: — E significava anche che una donna, convinta durante la fanciullezza di voler essere Custode, non era obbligata a compiere una scelta per la vita prima di sapere quanto le sarebbe costato.

Leonie non gli badò. — Tu sei un uomo, e non pretendo che tu capisca. Era appunto per risparmiare alle donne il doloroso peso della scelta. — All’improvviso, la sua voce si spezzò. — Credi che non avrei preferito essere privata della femminilità durante l’infanzia piuttosto che trascorrere tutta la vita imprigionata, sapendo di detenere la chiave della mia prigione, sapendo che solo il mio voto, il mio onore, la parola di un’Hastur, mi tenevano così… così incarcerata? — Damon non sapeva se era l’angoscia o la collera a farle tremare la voce. — Se potessi fare ciò che voglio, se voi uomini Comyn non foste tanto preoccupati della preziosa fecondità delle donne, tutte le bambine che vengono alla Torre verrebbero castrate e vivrebbero per tutta la vita felici, libere dal peso della femminilità. Sarebbero libere dalla sofferenza e dall’incessante ricordo della loro scelta: dalla consapevolezza che non possono decidere una volta per tutte ma devono continuare a ripetere quella scelta ogni giorno della loro vita.