Si ripeterono i chiassosi giochi con scambi di baci che Andrew ricordava dalla sua festa nuziale. Rammentò qualcosa che aveva letto diversi anni prima: le società urbane che disponevano di molto tempo libero ideavano svaghi estremamente ricercati, superflui per i rari momenti di libertà di coloro che dovevano dedicarsi per lunghe ore a pesanti lavori manuali. Ripensando a ciò che sapeva dei giorni dei pionieri del suo mondo, quando gli agricoltori si svagavano con passatempi destinati in futuro a essere considerati adatti ai bambini (addentare una mela senza toccarla con le mani, giocare a moscacieca), si rese conto che avrebbe dovuto aspettarsi qualcosa del genere. Anche lì, nella Grande Casa, c’era parecchio da fare, e le feste come quella erano poche; perciò, se i giochi gli sembravano infantili il torto era suo e non di quegli allevatori e contadini, che lavoravano duramente. Quasi tutti gli uomini avevano i calli alle mani, segno di una pesante fatica fisica: perfino i nobili. Anche le sue mani erano indurite, come non lo erano mai state da quando aveva lasciato l’allevamento di cavalli in Arizona, a diciannove anni. Anche le donne lavoravano, pensò, rammentando i giorni che Ellemir trascorreva a dirigere le attività delle cucine, e le lunghe ore passate da Callista nella distilleria e nella serra. Entrambe partecipavano gaiamente alle danze e a quei giochi semplici. Uno non era molto diverso dalla moscacieca: un uomo e una donna venivano bendati, e dovevano cercarsi in mezzo alla folla.
Quando incominciarono le danze, si ritrovò molto richiesto come ballerino. Scoprì il perché quando un ragazzo che non aveva ancora vent’anni trascinò Callista nel ballo, girandosi a dire alla sua compagna di prima, una ragazzetta che non dimostrava più di quattordici anni: — Se danzo con una sposa al solstizio d’inverno, mi sposerò prima che l’anno finisca!
La ragazza — era una bambina, in effetti, con una veste a fiori e i capelli sciolti in lunghi riccioli intorno alle guance — si avvicinò a Andrew e disse, con un sorriso impertinente per mascherare la timidezza: — Oh, allora io ballerò con lo sposo! — Andrew si lasciò trascinare sulla pista, e avvertì la ragazza che non era un buon ballerino. Poi, più tardi, la rivide in un angolo, col giovane che voleva sposarsi entro l’anno: lo stava baciando con una passione che non aveva nulla d’infantile.
Col passare delle ore, molte coppie si appartarono negli angoletti o nelle parti più buie delle sale. Dom Esteban sì ubriacò, e alla fine lo portarono a letto, già addormentato. A uno a uno gli ospiti si congedarono, o augurarono la buonanotte e si fecero condurre alle loro camere. Quasi tutti i servitori avevano partecipato alla festa e adesso erano ubriachi come gli ospiti, poiché non dovevano affrontare una lunga cavalcata al freddo. Damon si era addormentato su una panca nella Grande Sala, e russava. Nell’oscurità che precede l’alba si guardarono intorno nella Grande Sala, con le fronde verdi appassite, le bottiglie e le coppe sparse un po’ dovunque, i dolciumi avanzati: compresero che i loro doveri di padroni di casa erano finiti, e che potevano andarsene a letto. Dopo qualche tentativo poco convinto di svegliare Damon, che borbottò intontito, lo lasciarono stare e salirono senza di lui. Andrew era sorpreso. Perfino al suo matrimonio, Damon aveva bevuto pochissimo. Bene, pensò, anche un uomo sobrio aveva diritto di ubriacarsi per Capodanno.
Nelle stanze che le due coppie dovevano dividersi quella notte a causa degli ospiti, Andrew provò una fitta di frustrazione, intensificata dallo stato di semiubriachezza. Era una vita d’inferno, essere sposato e dormire solo. Un matrimonio infernale, e qualcosa che sembrava una parodia di una festa natalizia. Era depresso, sconsolato. Forse, dato che Damon era ubriaco, Ellemir… Ma no, le donne si erano sdraiate insieme sul letto grande, come avevano fatto durante la lunga infermità di Callista. Pensò che avrebbe dovuto dormire ancora nel lettino che solitamente era di sua moglie; e Damon, se saliva, si sarebbe sistemato nel salotto.
Le donne ridacchiavano tra loro come ragazzine. Avevano bevuto anche loro? Callista lo chiamò a bassa voce, e lui si avvicinò. Erano sdraiate vicine e ridevano nella luce fioca. Callista tese la mano e lo attirò accanto a loro.
— Qui c’è posto anche per te.
Andrew esitò. Che senso avrebbe avuto, lasciarsi tentare? Poi rise, e prese posto accanto a loro. Il letto era enorme, e poteva accogliere comodamente sei persone. Callista gli sussurrò: — Volevo dimostrarti una cosa, amor mio. — E gli spinse dolcemente Ellemir tra le braccia.
Lui provò un furioso imbarazzo che parve dilagare bruciante in tutto il suo essere, smorzando la passione come un getto di acqua gelida. Non si era mai sentito così nudo in tutta la sua vita.
Oh, al diavolo, pensò. Si comportava da sciocco. Non era quello il secondo passo logico e inevitabile, del resto? Ma la logica non aveva spazio nei suoi sentimenti.
Ellemir era calda e tenera tra le sue braccia.
Cosa c’è, Andrew?
C’era, maledizione, la presenza di Callista, e lei doveva saperlo. Per qualcuno, pensò, sarebbe stato particolarmente eccitante. Ellemir seguì i suoi pensieri, che associavano quel genere di cose agli esibizionismi erotici, ai tentativi di eccitare gusti depravati, agli istinti decadenti. Disse, in un mormorio: — Ma non è affatto così, Andrew. Siamo tutti telepati. Qualcunque cosa facciamo, gli altri lo sapranno, vi parteciperanno: quindi perché fingere che uno di noi possa escludere completamente qualcuno degli altri?
Andrew sentì le dita di Callista sfiorargli il volto. Strano che al buio, sebbene le loro mani fossero quasi identiche, lui potesse essere cosi sicuro che quella sulla sua guancia era di Callista e non di Ellemir.
Fra telepati, il concetto di quel tipo d’intimità non poteva esistere, Andrew lo sapeva: perciò chiudere le porte e isolarsi era solo una finzione. E veniva il momento in cui si rinunciava a fingere…
Cercò di ritrovare l’eccitazione, ma l’ubriachezza e l’imbarazzo cospiravano per deluderlo. Ellemir rise: ma era chiaro che quel riso non intendeva ridicolizzarlo. — Credo che abbiamo tutti bevuto un po’ troppo. Dormiamo, allora.
Erano quasi addormentati quando la porta della camera si aprì ed entrò Damon, a passi malfermi. Li guardò sorridendo. — Sapevo che vi avrei trovati tutti qui. — Gettò via gli abiti. Era ancora ubriaco. — Avanti, fatemi posto. Dov’è che…
— Damon, devi dormire per farti passare la sbronza — disse Callista. — Non pensi che staresti più comodo se…
— Comodo un accidente — ribatté assonnato Damon. — Nessuno deve dormire solo, in una notte di festa!
Callista gli fece posto accanto a sé, ridendo, e Damon s’infilò nel letto e si addormentò di colpo. Andrew sentì una risata folle disperdere il suo imbarazzo. Mentre si assopiva, percepì un sottile filo di contatto mentale che s’intesseva intorno a loro, come se Damon, anche nel sonno, cercasse il conforto della loro presenza e li attirasse tutti insieme, allacciandoli, con i cuori che battevano all’unisono in una pulsazione lenta, in una serenità infinita. Pensò, senza sapere se era un pensiero suo o di un altro, che adesso tutto andava bene perché Damon era lì. Così doveva essere. Captò, dalla coscienza di Damon: Tutti i miei cari… Non sarò solo, mai più…
Si svegliarono tardi, ma le tende chiuse oscuravano la stanza. Ellemir era ancora raggomitolata tra le braccia di Andrew. Si mosse, si girò assonnata verso di lui, lo avvolse nel proprio tepore di donna. Quel senso di vicinanza, di partecipazione, era ancora presente, e lui si lasciò sommergere, accettando l’accoglienza del corpo di lei. Non erano solo lui e Ellemir, in un certo senso, ma la consapevolezza — al di sotto della superficie della coscienza — che tutti ne facevano parte, che s’integravano straordinariamente, senza bisogno di analisi. Aveva voglia di gridare al mondo, alla gente: — Vi amo, vi amo tutti. — Nella sua esultanza non distingueva l’eccitazione sessuale per Ellemir, la tenerezza per Callista, il forte e protettivo calore umano che provava per Damon. Erano un’emozione sola, che era amore. Vi era immerso, e vi si abbandonava, esausto, gloriandosene. Sapeva che avevano svegliato gli altri. Non aveva importanza.