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Ellemir fu la prima a muoversi: si stirò, rise, sbadigliò. Si sollevò leggermente e lo baciò rapida. — Mi piacerebbe star qui tutto il giorno — disse, in tono di rammarico, — ma sto pensando al caos della sala. Se voglio che i nostri ospiti possano fare colazione, devo scendere ad assicurarmi che si lavori! — Si sporse a baciare Damon; dopo un momento baciò anche Callista, poi scivolò dal letto e andò a vestirsi.

Damon, meno coinvolto fisicamente, percepì lo sforzo che Callista stava compiendo per mantenere le barriere. Dunque non era un effetto totale, dopotutto. Lei ne era ancora fuori. Le sfiorò con la punta di un dito gli occhi, ancora chiusi. Andrew era andato in bagno. Erano soli, e sentì che la coraggiosa finzione si stava dissolvendo.

— Piangi, Callie?

— No. No, naturalmente. Perché dovrei? — Ma piangeva.

Damon la tenne così, sapendo che in quel momento condividevano qualcosa da cui gli altri erano esclusi: quell’esperienza comune, quella dolorosa disciplina, il senso di diversità.

Andrew era andato a vestirsi. Damon captò un frammento del suo pensiero, una contentezza mista a rammarico, e ricordò che per un poco Andrew era stato uno di loro. Ma adesso anche lui era separato. Sentiva anche le emozioni di Callista: non serbava rancore a Ellemir, per nulla, ma aveva bisogno di sapere prima di poter partecipare. Sentì la sua angoscia disperata, il folle impulso improvviso di graffiarsi, di percuotersi con i pugni, di ribellarsi al proprio corpo inutile, mutilato, così diverso da ciò che avrebbe dovuto essere. La tenne stretta a sé, cercando di calmarla con quel contatto.

Ellemir tornò dal bagno, con i capelli sgocciolanti, e si sedette al tavolino di Callista. — Metterò uno dei tuoi abiti da casa, Callie: ci sono tante pulizie da fare — disse. — Questo è il guaio delle feste! — Vide che Callista nascondeva il volto contro la spalla di Damon, e per un momento si sentì straziata dall’angoscia della sorella. Ellemir era cresciuta nella convinzione di possedere un po’ del laran del suo clan: ma adesso, mentre riceveva l’impatto della sofferenza di Callista, comprese che era più una maledizione che una fortuna. E quando Andrew tornò, lei captò il suo improvviso distacco.

Andrew stava pensando che bisognava abituarsi fin dall’infanzia, a certe cose. Interpretò il teso silenzio di Ellemir come un’espressione di vergogna o di rammarico per ciò che era accaduto, e si chiese se avrebbe dovuto scusarsi. Di cosa? Con chi? Ellemir? Damon? Vide Callista tra le braccia di Damon. Aveva il diritto di protestare? Forse era giusto così, ma lui provava ancora un disagio e un disgusto quasi fisici; o era solo perché la sera prima aveva bevuto troppo?

Damon si accorse che Andrew li stava guardando, e sorrise.

— Immagino che Dom Esteban abbia più mal di testa di me, questa mattina. Andrò a lavarmi la faccia con l’acqua fredda, poi scenderò a vedere se posso far qualcosa per nostro padre. Non me la sento di lasciarlo alle cure del suo valletto, oggi. — E aggiunse, staccandosi lentamente da Callista: — Voi terrestri avete qualche espressione adeguata per il mattino dopo una sbronza?

— A decine — rispose Andrew, cupamente. — E ognuna è rivoltante, come la sensazione che si prova. — Postumi della sbronza, pensò.

Damon andò in bagno e Andrew si passò un pettine tra i capelli, guardando irritato Callista. Non vide neppure che lei aveva gli occhi rossi. Lentamente, la giovane donna si alzò e indossò la vestaglia a fiori. — Devo andare ad aiutare Ellemir. Le ancelle non sapranno neppure da dove cominciare. Perché mi fissi così, marito mio?

Quella frase lo infastidì, gli mise addosso la voglia di litigare. — Non mi permetti neppure di toccarti le dita, e se ti bacio ti ritrai come se intendessi violentarti: eppure giacevi fra le braccia di Damon…

Lei abbassò gli occhi. — Tu sai perché oso farlo… con lui.

Andrew ricordò l’intensa sessualità che aveva percepito, diviso con Damon. Era inquietante, e lo riempiva di un vago disagio. — Non puoi dire che Damon non sia un uomo!

— Certo, lo è. Ma lui ha appreso, alla mia stessa durissima scuola, quando e come non deve sembrarlo.

Per l’ipersensibile senso di colpa di Andrew, quella era una provocazione: come se lui fosse una specie di bruto, di animale che non sapeva dominare gli appetiti sessuali e che andava accontentato. Callista l’aveva spinto, letteralmente, nelle braccia di Ellemir, ma Damon non aveva bisogno di simili concessioni. All’improvviso, rabbiosamente, prese Callista fra le braccia e le posò a forza la bocca sulla bocca. Per un momento lei resistette, scostando le labbra, e Andrew sentì la sua ribellione furiosa. Poi all’improvviso lei divenne completamente passiva fra le sue braccia, con le labbra fredde, immote, così lontana che non sembrava neppure con lui nella stessa camera. La sua voce bassa lo dilaniò come una zannata.

— Qualunque cosa tu senta di dover fare, io posso sopportarlo. Così come sono adesso, non farebbe nessuna differenza. Non mi danneggerà, ora, e non mi turberà al punto di indurmi a reagire o a colpirti. Anche se senti di dovere… di dovermi portare a letto… non significherà nulla per me, ma se ti facesse piacere…

Agghiacciato, inorridito fino al midollo, Andrew la lasciò. In un certo senso era più orribile che se lei avesse resistito furiosamente, l’avesse aggredito a morsi e unghiate, l’avesse colpito ancora con la folgore. Prima, lui aveva avuto paura della propria eccitazione: adesso sapeva che niente poteva superare le sue difese, niente.

— Oh, Callista, perdonami! Oh, Dio, Callista, perdonami! — Cadde in ginocchio davanti a lei, prendendole le dita e portandosele alle labbra, straziato dal rimorso. Damon uscì dal bagno e si arrestò sgomento nel vederli, ma loro non lo udirono e non lo scorsero. Callista prese tra le mani il volto di Andrew. Disse, sussurrando: — Ah, amore, sono io che devo chiederti perdono. Non voglio… non voglio esserti indifferente. — Aveva la voce colma di un’angoscia tanto grande che Damon comprese di non poter più attendere.

Sapeva perché si era ubriacato, la sera prima. Perché, passato il solstizio d’inverno, non poteva più rimandare la terribile prova. Ora doveva penetrare nel sopramondo, addirittura nel tempo, e cercarvi un aiuto, un modo di riportare Callista a tutti loro. Ora, davanti alla sua sofferenza frenetica, sentiva che avrebbe rischiato anche più di questo, per lei, per Andrew.

Si ritirò in silenzio e uscì dall’appartamento, passando per un’altra porta.

CAPITOLO QUINDICESIMO

Dopo il solstizio d’inverno, sorprendentemente, il tempo migliorò e le riparazioni dei danni causati dalla grande nevicata procedettero in fretta. In dieci giorni vennero ultimati, e Andrew pensò di poter lasciare tutto, per un po’ di tempo, nelle mani del coridom.

Gli sembrava di non aver mai visto Damon così stanco e irritabile come quella mattina, dopo che suo cognato ebbe isolato l’appartamento con gli smorzatori telepatici ed ebbe avvertito i servitori di non avvicinarsi. Dal solstizio d’inverno Damon era sempre stato agitato e taciturno, ma adesso, mentre regolava gli smorzatori, aggirandosi nervosamente nell’appartamento, tutti potevano sentirlo. Callista, alla fine, lo interruppe: — Basta, Damon! Sdraiati e respira lentamente. Non puoi incominciare così, e lo sai come lo so io. Prima calmati. Vuoi un po’ di kirian?