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— Non lo voglio  — ribatté irritato Damon, — ma immagino che farò bene a prenderlo. E voglio una coperta o qualcosa del genere. Torno sempre mezzo congelato.

Callista indicò a Elìemir di avvolgerlo in una coperta e andò a prendere il kirian.  — Assaggialo, prima. Il mio apparecchio per la distillazione non è efficiente come quello che avevo ad Arilinn, e potrebbero esserci residui, anche se l’ho filtrato due volte.

— Non puoi essere più inesperta di me, in queste cose — disse Damon; fiutò cautamente poi rise, ricordando che Callista aveva fatto lo stesso con la tintura preparata da lui. — Non importa, mia cara, non credo che ci avveleneremo a vicenda. — Lasciò che lei misurasse attentamente una dose, e aggiunse: — Non so quale sia il fattore di distorsione temporale, e tu dovrai restare in fase per controllarmi. Non sarebbe meglio se ne prendessi un po’ anche tu?

Callista scrollò il capo. — Ho una tolleranza bassissima, per questa roba. Se ne bevessi abbastanza da mettermi in fase, avrei gravi disturbi. Posso sintonizzarmi con te anche senza.

— Ti sentirai spaventosamente intorpidita e infreddolita — l’avvertì Damon; ma si rendeva conto che dopo tanti anni vissuti come Custode doveva conoscere con precisione il margine della propria tolleranza nei confronti della droga telepatica. Lei sorrise, misurandosi una dose di poche gocce. — Ho messo uno scialle molto pesante. Se devo controllare le funzioni vitali, quando vuoi che ti tiri fuori?

Damon non lo sapeva. Non aveva esperienza delle tensioni della Ricerca nel Tempo. Non sapeva cos’avrebbe dovuto sopportare, in fatto di effetti secondari. — Sarà meglio che non mi richiami, a meno che io vada in convulsioni.

— A questo punto? — Callista provò un’acuta fitta di rimorso. Era per lei che Damon correva quel terribile rischio e ritornava a un lavoro temuto e odiato. Erano già collegati strettamente. Lui le teneva la mano posata leggermente sul polso. — Non solo per te, tesoro. Per tutti noi. Per i bambini.

E per la Custode, quella che verrà. Callista non pronunciò queste parole: ma il tempo si era sfocato, come avveniva talvolta per un Alton, e lei vedeva se stessa da una grande distanza, lì, altrove, in un grande campo fiorito; guardava una delicata fanciulla che giaceva inconscia davanti a lei; stava in piedi nella cappella di Armida davanti alla statua di Cassilda, con una ghirlanda di fiori cremisi in mano. Depose i fiori sull’altare e poi fu di nuovo con loro, stordita, esaltata. Mormorò: — Damon, hai visto…

Anche Andrew aveva visto, tutti avevano visto, e lui ricordava l’espressione di pietà e di angoscia con cui Callista aveva tolto dalla cappella l’offerta dimenticata da Ellemir. Le nostre donne portano ancora fiori al suo sacrario… Damon disse, gentilmente: — Ho visto Callie. Ma è molto lontano, lo sai.

Lei si chiese se ad Andrew sarebbe importato molto; poi, con incrollabile disciplina, ritornò al proprio compito. — Lasciami controllare la tua respirazione. — Gli passò le dita sopra il corpo, leggermente. — Prendi il kirian, ora.

Damon l’inghiottì, con una smorfia. — Beh! Con cosa l’hai insaporito? Urina di cavallo?

— Niente. Avevi dimenticato il sapore, ecco tutto. Da quanti anni non lo prendevi più? Sdraiati, e smettila di contrarre le mani: riuscirai solo ad aggrovigliarti i muscoli e a farti venire i crampi.

Damon ubbidì e girò lo sguardo sui tre volti che gli stavano intorno: Callista, seria e autoritaria; Ellemir, un po’ spaventata; Andrew, forte e calmo ma un po’ sgomento. Poi i suoi occhi ritornarono all’espressione sicura e fiduciosa di Callista. Poteva contare in modo assoluto su di lei: era stata istruita ad Arilinn. La sua respirazione, le sue funzioni vitali, la sua stessa vita, erano nelle mani di lei, e Damon era lieto che fosse così.

Perché Callista doveva rinunciare a tutto questo se voleva vivere felice e mettere al mondo dei figli?

Callista stava portando nel cerchio Ellemir e Andrew. Damon li sentì inserirsi, fondersi. Lui era già alla deriva e fluttuava lontano. Guardò Ellemir come se lei fosse trasparente, pensando a quanto l’amava, a quanto era felice.

Callista disse, sommessamente: — Ti lascerò arrivare fino al primo stadio della crisi, non fino alle convulsioni. Non servirebbe a nulla, né per te né per noi.

Damon non protestò neppure. Lei era stata addestrata ad Arilinn: aveva il diritto di decidere. Poi si trovò nel sopramondo, e lo percepì quando la struttura si formò intorno a lui: una torre come Arilinn, meno solida, meno fulgida, non un faro ma un rifugio, remota e tuttavia concreta, una protezione, una casa. Per un attimo, mentre volgeva intorno lo sguardo sul mondo grigio e indugiava tra quelle mura, si sorprese a chiedersi, con assurda insolenza, cosa pensavano gli altri telepati che vagavano nel mondo grigio quando trovavano quella torre nuova. O forse gli altri non se ne sarebbero mai accorti, non sarebbero mai arrivati nel luogo remoto dove Damon e il suo gruppo stavano lavorando? Risolutamente plasmò i propri pensieri perché lo portassero in fretta ad Arilinn, e si trovò nel cortile davanti a Leonie. Vide, con sollievo, che aveva il volto velato; e la sua voce era distaccata e serena, come se il momento di passione non fosse mai esistito.

— Dobbiamo raggiungere per prima cosa il livello in cui è possibile il moto attraverso il tempo. Hai preso adeguate precauzioni per farti controllare? — Damon sentì che Leonie guardava attraverso lui, verso il mondo dove giaceva il suo corpo, dove Callista vegliava silenziosa al suo fianco. Leonie assunse una strana espressione trionfante, ma si limitò a dire: — Forse rimarrai lontano per moltissimo tempo, e ti sembrerà più lungo di quanto sia in realtà. Io ti guiderò fino al livello della Ricerca nel Tempo, anche se non sono sicura di potervi restare. Ma dobbiamo spostarci attraverso i livelli un po’ per volta. Di solito cerco di vederlo come una scalinata — aggiunse, e Damon vide che intorno a loro il grigiore si era attenuato quanto bastava per rivelare una gradinata indistinta, che saliva incurvandosi e svaniva in un grigio più denso, lassù, come la nebbia che avvolge un fiume. Notò che la scala aveva una ringhiera dorata, e si chiese quale scalinata dell’infanzia di Leonie, forse di Castel Hastur, riviveva lì, nella sua immagine mentale.

Sapeva benissimo, mentre posava il piede sul primo gradino per seguire Leonie, che in realtà soltanto le loro menti si muovevano tra gli amorfi atomi dell’universo: ma la visualizzazione della scala era solida e rassicurante, e offriva loro un punto focale per passare da un livello all’altro. Leonie conosceva la strada, e lui si limitava a seguirla.

La scalinata non era ripida: ma via via che saliva, Damon aveva l’impressione di respirare più a fatica, come se scalasse un valico montano. I gradini erano ancora solidi, addirittura rivestiti da tappeti, anche se i piedi che li calpestavano — Damon lo sapeva — erano solo formulazioni mentali. Diventava sempre più difficile sentirli, alzarli da uno scalino all’altro. La gradinata diventava sempre più confusa e indistinta, e spariva nella densa nebbia grigia, poco più avanti di lui. La figura di Leonie era solo una larva avvolta in veli cremisi.

La nebbia s’infittì, si chiuse. Lui poteva scorgere poche spanne della scala, ma camminava in un grigiore che faceva scomparire il suo corpo. Poi il grigiore si oscurò in una tenebra attraversata da guizzanti luci azzurre.