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— E immagino — disse Andrew, impassibile, — che la gente muoia d’insolazione o per il troppo caldo.

— Oh, no, non ho mai saputo che… — cominciò Callista: poi, vedendo lo scintillio negli occhi di Andrew, s’interruppe e rise. Damon li guardava, sfinito, stanco, sereno. Agitò le dita dei piedi. — Non mi sorprenderei se scoprissi di essere congelato, dopotutto. In un livello mi sono arrampicato sul ghiaccio… o almeno, ho creduto di farlo — aggiunse, rabbrividendo al ricordo.

— Sfilagli le pantofole e guarda, Ellemir.

— Su, Callie, stavo scherzando.

— Ma io no. Una volta Hilary è rimasta bloccata su un livello dove sembrava che ci fosse il fuoco, ed è tornata con scottature e vesciche sulle piante dei piedi. Non ha potuto camminare per parecchi giorni. Leonie diceva sempre: La mente si imprime profondamente nel corpo. Damon, cosa c’è? — Callista si chinò a scrutargli i piedi nudi, e sorrise. — No, sembra che non ci siano lesioni fisiche, ma sono sicura che ti senti semicongelato. Quando avrai finito il brodo, forse dovresti fare un bagno caldo. Così la circolazione riprenderà.

Sentì lo sguardo interrogativo di Andrew e proseguì: — Davvero, non so se è il freddo dei livelli che si riflette sul suo corpo, o se è qualcosa nella sua mente, o se il kirian facilita il riflesso della mente nel corpo, o se rallenta la circolazione e favorisce la visualizzazione del freddo. Ma in ogni caso l’esperienza soggettiva nel sopramondo è il freddo, un gelo che arriva alle ossa: e senza stare a discuterne le cause, l’ho provato abbastanza spesso per sapere che bisogna tenere pronti brodo bollente, mattoni caldi, un bagno caldo e molte coperte, per chi ritorna da un simile viaggio.

Damon non se la sentiva di restare solo, neppure in bagno. Finché stava sdraiato, andava tutto bene: ma quando cercò di sollevarsi a sedere e di camminare, gli parve che il suo corpo diventasse rarefatto, immateriale, e che i suoi piedi non toccassero il pavimento: camminava incorporeo, dissolvendosi nello spazio vuoto. Udì, con un fremito di vergogna, il proprio gemito sommesso di protesta.

Sentì il saldo braccio di Andrew passare sotto il suo, sostenerlo, renderlo di nuovo concreto e reale. Disse, quasi scusandosi: — Mi dispiace. Ho la sensazione di scomparire.

— Non ti lascerò cadere. — Alla fine, Andrew dovette portarlo in bagno quasi di peso. L’acqua calda restituì a Damon la sensazione della realtà fisica. Andrew, che Callista aveva avvertito di quella reazione, sospirò di sollievo quando lo vide riprendersi. Si sedette su uno sgabello accanto alla vasca e disse: — Sono qui, se hai bisogno di me.

Damon si sentì invadere da un caldo e traboccante senso di gratitudine. Com’erano tutti buoni, con lui, e premurosi, e affettuosi! Come li amava tutti! Restò immerso nel bagno, euforico, pieno di un’esaltazione immensa quanto l’infelicità di prima, finché l’acqua cominciò a raffreddarsi. Andrew, senza badare alla sua richiesta di mandargli il valletto, lo issò fuori dalla vasca, l’asciugò, e l’avvolse in un accappatoio. Quando tornarono dalle donne, Damon navigava ancora nell’euforia. Callista aveva ordinato un pasto: Damon mangiò lentamente, assaporando ogni boccone, pensando che il cibo non gli era mai parso così buono, così gradito.

In fondo alla mente sapeva che quell’euforia faceva parte della reazione e prima o poi avrebbe ceduto il posto a un’enorme depressione: ma vi stava aggrappato, godendone, cercando di assaporarne ogni momento. Quando ebbe mangiato tutto quello che poteva (anche Callista aveva mangiato come un cavallante, dopo lo sfinimento del lungo controllo), implorò: — Non voglio rimanere solo. Non possiamo stare tutti insieme, come al solstizio?

Callista esitò; poi disse, lanciando un’occhiata a Andrew: — Certamente. Nessuno di noi ti lascerà, quando hai bisogno di averci vicini.

Sapendo che la presenza dei servitori non telepati sarebbe stata intensamente dolorosa per Damon e Callista nello stato attuale, Andrew andò a portar fuori i piatti e gli avanzi. Quando tornò erano tutti a letto: Callista era già addormentata, vicina alla parete; Damon teneva Ellemir fra le braccia, a occhi chiusi. Ellemir alzò la testa, assonnata, e gli fece posto al proprio fianco; Andrew s’infilò nel letto, senza esitare. Gli sembrava giusto e naturale: una risposta necessaria all’esigenza di Damon.

Damon, che teneva stretta a sé Ellemir, sentì Andrew e poi Ellemir addormentarsi: ma restò sveglio. Non voleva lasciarli neppure nel sonno. Non provava neanche l’ombra del desiderio (sapeva che in quelle condizioni non l’avrebbe provato per diversi giorni), ma era contento di sentire Ellemir tra le braccia, con i capelli contro la sua guancia, e di ritrovare la certezza che lui, proprio lui, era reale. Sentiva Andrew vicino: un saldo baluardo che lo proteggeva dalla paura. Sono qui con i miei cari, non sono solo. Sono al sicuro.

Gentilmente, senza desiderio, accarezzò Ellemir, sfiorandole con le dita i morbidi capelli, il collo nudo, il seno. La sua consapevolezza era tale che gli permetteva di sentire, attraverso il sonno, la percezione che aveva Ellemir di quel contatto. Come gli era stato insegnato tanto tempo prima, lasciò che quella percezione penetrasse attraverso il corpo di lei, captando senza sorpresa i mutamenti nei seni e nel grembo. Era stato così attento, dopo che lei aveva perso il bambino: doveva essere stata opera di Andrew. Ma andava bene anche così, pensò. Lui e lei erano parenti troppo stretti. Le baciò la nuca, così riscaldato e pieno d’amore che aveva l’impressione di scoppiarne. Per istinto aveva protetto Ellemir dal pericolo di un figlio dopo tante generazioni di unioni tra consanguinei, e adesso lei avrebbe potuto avere il bambino che desiderava, senza paura. Sapeva, con una profonda certezza interiore, che quel bambino non sarebbe stato perso troppo presto per poter vivere, e si rallegrò per Ellemir, per tutti loro. Tese la mano, al di sopra del corpo di lei, per sfiorare il polso di Andrew nel buio. Andrew non si svegliò, ma strinse le dita di Damon nel sonno. Amico mio. Fratello mio. Non sai ancora della nostra fortuna? Mentre stringeva a sé Ellemir, pensò con un brivido che avrebbe potuto morire là, sui livelli superiori del sopramondo, avrebbe potuto non rivedere più coloro che amava tanto: ma quel pensiero non lo turbava.

Andrew si sarebbe preso cura di loro, per tutta la loro vita. Ma era bello, essere ancora con loro, condividere quel calore, pensare ai bambini che avrebbero avuto, alla vita che li attendeva. Non sarebbe stato più solo. Si addormentò, pensando: Non sono mai stato tanto felice in vita mia.

Quando si svegliò, molte ore dopo, gli ultimi residui del calore e dell’euforia erano svaniti. Si sentiva infreddolito e solo: il suo corpo era indistinto, sul punto di svanire. Non riusciva a sentire le proprie membra, e si strinse a Ellemir in uno scatto di panico. Quel tocco la svegliò subito, e lei reagì al suo disperato bisogno di contatto stringendosi a lui, calda, sensuale, viva contro il suo freddo di morte. Damon sapeva, razionalmente, che non poteva far nulla con lei, dal punto di vista sessuale: e tuttavia la teneva avvinta, tentando disperatamente di accendere in se stesso un guizzo, un riflesso dell’amore che provava per lei. Era il tormento del bisogno, e Ellemir, angosciata, sapeva che in realtà non era un bisogno sessuale. Lo tenne stretto e lo calmò, e fece tutto ciò che poteva: ma nel profondo sfinimento Damon non poteva alimentare neppure i fuggevoli guizzi di eccitazione che andavano e venivano. Ellemir temeva che lui si esaurisse ancora di più in quel tentativo senza speranza, ma non le veniva in mente nulla che non potesse ferirlo ulteriormente. Si sentiva spezzare il cuore, in quella tenerezza frenetica. Infine, come lei sapeva che avrebbe dovuto fare, Damon sospirò e la lasciò. Avrebbe voluto dirgli che non importava, che lei comprendeva: ma per Damon era importante, e lei lo sapeva, e non ci sarebbe mai stata una possibilità di cambiarlo. Lo baciò, semplicemente, accettando il fallimento e la disperazione di lui, e sospirò.