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Cominciò a spiegarlo a Andrew. Si sentiva ancora esausto e depresso: la stanchezza del lungo viaggio nel sopramondo l’opprimeva con l’inevitabile reazione. Si disse che non doveva dare a Andrew la colpa del proprio stato d’animo. Sarebbe stato più facile quando fossero tornati tutti alla normalità.

Ma almeno, pensò, adesso c’era una speranza.

CAPITOLO SEDICESIMO

La ricerca negli Archivi di Armida fu vana. C’erano documenti su ogni genere di feste che erano state tradizionali, in un’epoca o nell’altra, fra le Colline di Kilghard, ma l’unica festa della Fine dell’Anno che Damon riuscì a scoprire era un vecchissimo rito della fertilità, estinto molto tempo prima dell’incendio di Neskaya: e non aveva il minimo legame col problema di Callista. Adesso che la ricerca era in corso, comunque, lei era diventata paziente, e la sua salute continuava a migliorare.

Le mestruazioni erano riapparse due volte. Damon aveva insistito perché lei rimanesse a letto un giorno, per precauzione, e si era preparato a liberarle di nuovo i canali se fosse stato necessario: ma erano rimasti sgombri. Era un buon segno per la salute fisica di Callista, ma un triste presagio per il futuro sviluppo della loro normale selettività.

Ad Armida proseguivano i soliti lavori invernali: l’inverno era mite, e si avviava verso il disgelo primaverile. Come sempre, durante quella stagione, Armida era isolata, e di rado arrivavano notizie di ciò che accadeva nel resto del mondo. Le più piccole cose assumevano enorme importanza. Una fattrice, in uno dei pascoli bassi, partorì due puledre. Dom Esteban le regalò a Callista e a Ellemir, dicendo loro che così, dopo qualche anno, avrebbero potuto avere due cavalle uguali. Il vecchio menestrello Yashri, che aveva suonato al ballo del solstizio d’inverno, si fratturò due dita di una mano, cadendo ubriaco durante una festa di compleanno al villaggio; e suo nipote, che aveva nove anni, si presentò orgoglioso ad Armida, portando l’arpa del nonno, che era alta quasi quanto lui, per suonare ai balli delle lunghe sere. Una donna, quasi al confine della tenuta, mise al mondo quattro gemelli, e Callista andò al villaggio insieme a Ferrika, per portare doni e auguri. Una tempesta improvvisa la costrinse a passare due notti lontano da casa, e Andrew si spaventò e si preoccupò. Quando lei tornò e lui le chiese perché aveva dovuto proprio andare, Callista gli rispose dolcemente: — È necessario per la sicurezza dei neonati, marito mio. Nelle colline lontane, la gente è ignorante. Un parto del genere lo considera un presagio, buono o cattivo: e chi può sapere come l’interpreta? Ferrika può dire che è un’assurdità: ma è soltanto una di loro, e non l’ascoltano, anche se è una levatrice istruita ad Arilinn, una Libera Amazzone, e probabilmente molto più intelligente di me. Ma io sono una leronis e appartengo ai Comyn. Quando porto doni ai bambini, e auguri alla madre, la gente sa che li ho presi sotto la mia protezione, non li tratta più come presagi di qualche futura catastrofe.

— Com’erano i bambini? — chiese ansiosa Ellemir, e Callista fece una smorfia. — A me tutti i neonati sembrano conigli spellati e pronti per lo spiedo, Elli: enormemente brutti.

— Oh, Callie, come puoi dire una cosa simile! — la rimproverò la sorella. — Bene, dovrò andare a vederli personalmente. Quattro in una volta, che meraviglia!

— Comunque, per quella povera donna è tremendo. Sono riuscita a convincere due donne del villaggio ad aiutarla ad allattarli, ma prima ancora che vengano svezzati dovrò mandarle una mucca.

La notizia del parto quadrigemino si sparse tra le colline, e Ferrika disse che era contenta che fosse ancora inverno e che le strade fossero quasi intransitabili (sebbene fosse davvero un inverno mite), altrimenti quella povera donna sarebbe stata infastidita a morte dalla gente accorsa a vedere il prodigio. Andrew si sorprese a domandarsi cosa doveva essere un inverno rigido, se quello era mite. E pensò che prima o poi l’avrebbe scoperto.

Aveva perso la nozione del tempo, a parte il fatto che annotava con cura sui registri dell’allevamento le date previste per la nascita dei puledri e faceva lunghe e complesse discussioni con Dom Esteban e Rhodri a proposito dei parti delle fattrici migliori. I giorni si stavano allungando percettibilmente, quando il trascorrere del tempo venne imposto a forza alla sua attenzione.

Era ritornato a casa dopo una lunga giornata passata in sella, e stava salendo a cambiarsi per la cena. Callista, nella Grande Sala, era accanto al padre e gli insegnava a suonare la sua arpa. Ellemir andò incontro a Andrew sulla soglia dell’appartamento comune, e l’attirò nelle proprie stanze.

Non era una cosa insolita. Damon era preso dalle ricerche, e di tanto in tanto faceva lunghi viaggi nel sopramondo. Finora i suoi sforzi erano stati inutili: ma era la normale conseguenza del lavoro con la matrice, e Ellemir, con molta praticità, aveva accolto Andrew nel proprio letto, in quelle e in altre occasioni. All’inizio lui l’aveva accettato come aveva sempre fatto, cioè quale surrogato per l’impossibilità di Callista. Poi, una notte, mentre le dormiva accanto (lei aveva rifiutato l’intimità, dicendosi troppo stanca), aveva compreso che non era soltanto questo ciò che voleva da Ellemir.

L’amava. Non come surrogato di Callista, ma per lei stessa. Ciò era profondamente inquietante, poiché aveva sempre pensato che innamorarsi di una donna significasse disamorarsi di tutte le altre. Occultò prudentemente quel pensiero, sapendo che l’avrebbe afflitta; e solo quando fu lontano tra le colline, lontano da tutti, permise alla propria mente di approfondire quel dubbio: Dio mi aiuti, ho forse sposato la donna sbagliata? Ma quando rivide Callista comprese che non l’amava meno di prima, che l’avrebbe amata per sempre anche se non avesse potuto neppure sfiorarle un dito. Le amava entrambe. Cosa poteva fare? Adesso, mentre guardava Ellemir, minuta, sorridente, rossa in volto, non resistette all’impulso di prenderla tra le braccia e di baciarla ardentemente.

Lei arricciò il naso. — Hai l’odore della sella.

— Scusami, stavo andando a fare il bagno…

— Non scusarti. Mi piace, l’odore dei cavalli, e d’inverno non posso mai uscire per una galoppata. Cos’eri andato a fare? — Quando Andrew glielo spiegò, Ellemir disse: — Credo che a questo possa provvedere il coridom.

— Oh, certo, ma se si abitueranno a vedermi risolvere i loro problemi si rivolgeranno a me invece di disturbare Dom Esteban. E lui, da un po’ di tempo, è così stanco e sciupato. Credo che l’inverno gli pesi.

— Pesa anche a me. Ma adesso ho qualcosa per cui vale la pena di attendere. Andrew, volevo dirlo a te per primo: sono incinta! Dev’essere accaduto poco prima del solstizio d’inverno…

— Dio onnipotente! — esclamò Andrew, sconvolto e agghiacciato. — Ellemir, mi dispiace, amore… avrei dovuto stare…

Fu come se l’avesse schiaffeggiata. Ellemir si ritrasse, lanciando fiamme d’ira dagli occhi. — Volevo ringraziarti per questo, e adesso vedo che mi hai concesso malvolentieri il dono più grande. Come puoi essere così crudele?