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Dom Esteban disse, senza alzare la voce: — Benvenuto in casa mia, Darren. Cosa ti conduce qui a quest’ora?

— Nobile Alton. — La voce del messaggero parve bloccarglisi in gola. — Purtroppo ti porto brutte notizie. — Girò lo sguardo intorno a sé. Appariva in trappola, infelice, come se non se la sentisse di dare il terribile annuncio a quel vecchio fragile, immobilizzato su una sedia a rotelle.

Dom Esteban disse, con calma: — Avevo avuto un preannuncio, ragazzo mio. Vieni e parlamene. — Tese la mano, e il giovane si accostò esitante alla tavola alta. — È mio figlio Domenic. È… è morto?

Il giovane Darren abbassò gli occhi. Dom Esteban fece un respiro tremulo come un singhiozzo, ma parlò con voce controllata.

— Sarai stanco per il lungo viaggio. — Accennò ai servitori di prendere il mantello del giovane, di togliergli i pesanti stivali, di portargli morbide pantofole da casa, e di offrirgli un boccale di vino caldo. — Dimmi tutto, ragazzo. Com’è morto?

— È stata una disgrazia, nobile Alton. Era nell’armeria, e si esercitava a tirare di scherma col suo scudiero, il giovane Cathal Lindir. Non si sa come, sebbene avesse la maschera, è stato colpito alla testa. Nessuno pensava che fosse una cosa grave, ma prima che arrivasse l’ufficiale ospitaliere era morto.

Povero Cathal, pensò Damon. Era nei Cadetti, insieme a Domenic, durante l’anno in cui lui era stato il loro maestro. Quei due ragazzi erano inseparabili, stavano insieme dappertutto: nei turni di guardia, alle esercitazioni di scherma, nelle ore di libertà. Erano bredin, fratelli giurati. Sarebbe stato già abbastanza tremendo se Domenic fosse morto per un incidente: ma il fatto che un colpo sferrato da un amico giurato avesse causato la sua fine… Beata Cassilda, come doveva soffrire quel povero ragazzo!

Dom Esteban era riuscito a dominarsi, e interrogava il messaggero per informarsi delle disposizioni che erano state prese. — Bisogna richiamare immediatamente Valdir da Nevarsin, come erede designato.

Darren replicò: — Il nobile Lorill Hastur l’ha già mandato a prendere, e ti prega di venire a Thendara se sei in grado di farlo, mio signore.

— In grado o no, partiremo oggi stesso — disse con fermezza Dom Esteban. — Anche se dovrò viaggiare in lettiga a cavalli. E voi, Damon e Andrew, verrete con me.

— Verrò anch’io. — Callista era pallidissima, ma la sua voce era ferma. Elìemir disse: — E anch’io. — Piangeva in silenzio.

— Rhodri — ordinò Damon, chiamando con un cenno il vecchio maggiordomo, — assegna una stanza al messaggero perché possa riposare; e manda uno dei nostri uomini a Thendara, col cavallo più veloce, per avvertire il nobile Hastur che arriveremo fra tre giorni. E prega Ferrika di venire subito da dama Ellemir.

Rhodri annuì. Aveva il volto grinzoso inondato di lacrime, e Damon ricordò che aveva passato ad Armida tutta la sua esistenza, aveva tenuto sulle ginocchia Domenic e Coryn quand’erano bambini. Ma adesso non c’era tempo di pensare a quelle cose. Ferrika dichiarò che probabilmente Ellemir poteva viaggiare senza pericoli. — Ma almeno parte del percorso, dovrai farlo in lettiga, mia signora, perché ti stancheresti troppo se stessi sempre in sella. — Quando Ferrika si sentì dire che doveva accompagnarli, protestò.

— Sono molti, nella tenuta, che hanno bisogno delle mie cure, nobile Damon.

— Dama Ellemir porta in grembo il secondo erede degli Alton. Ha bisogno di te più di chiunque altro, e tu sei sua amica d’infanzia. Hai istruito altre donne della tenuta: adesso dovranno dimostrare di aver imparato a dovere.

Era una cosa evidente, perfino per la levatrice Amazzone: pronunciò una cortese frase di rispetto e andò a parlare con le sue subordinate. Callista aveva mandato le ancelle a preparare tutto quello che sarebbe stato necessario per un soggiorno piuttosto lungo a Thendara. Quando Ellemir le chiese perché, rispose laconicamente: — Vladir è ancora un bambino. Forse il Consiglio dei Comyn non sarà d’accordo di permettere che nostro padre, invalido e malato di cuore, continui a essere a capo del dominio: potrebbe esserci una lotta prolungata per l’assegnazione di un tutore a Valdir.

— Io direi che logicamente il tutore dovrebbe essere Damon — osservò Ellemir, e le labbra di Callista si tesero in un triste sorriso. — Certo, sorella: ma io ho partecipato al Consiglio come rappresentante di Leonie, e so che per quei signori non c’è mai nulla di semplice e di ovvio, se esiste qualche vantaggio politico da ricavare con una soluzione diversa. Ricordi? Domenic ha detto che avevano litigato circa il suo diritto di comandare le Guardie, perché era troppo giovane. E Valdir è più giovane ancora.

Ellemir rabbrividì, posandosi la mano sul ventre in un gesto automatico di protezione. Conosceva molte vecchie storie di rabbiosi dissidi nel Consiglio dei Comyn, di lotte più crudeli di una battaglia perché coloro che si affrontavano non erano nemici bensì parenti. Come affermava un’antica massima, quando i bredin erano in disaccordo i nemici s’infiltravano per accentuare le divergenze.

— Callie! Credi… credi che Domenic sia stato assassinato?

Callista rispose, balbettando: — Cassilda, Madre dei Sette! Spero di no. Se fosse morto di veleno, o di una malattia misteriosa, lo temerei: c’erano tanti dissidi, per l’eredità degli Alton. Ma… colpito per gioco da Cathal? Noi conosciamo Cathal, Elli: amava Domenic come la propria vita! Erano uniti dal giuramento dei bredin. Preferirei credere Damon capace di violare un giuramento, piuttosto che nostro cugino Cathal! — E aggiunse, pallida e turbata: — Se fosse stato Dezi…

Le due gemelle si guardarono; non volevano esprimere la loro accusa, ma ricordavano che per poco la malvagità di Dezi non era costata la vita a Andrew. Infine Ellemir disse, con voce tremante: — Chissà dov’era, Dezi, quando Domenic è morto.

— Oh, no, no, Ellemir! — Callista strinse a sé la sorella, troncando le sue parole. — No, no, non pensarlo neppure! Nostro padre ama Dezi, anche se non ha voluto riconoscerlo: quindi non peggiorare le cose. Elli, ti prego, ti prego, non mettere quel pensiero in mente a nostro padre!

Ellemir sapeva ciò che intendeva Callista: doveva proteggere i propri pensieri, perché quell’accusa avventata non pervenisse a suo padre. Ma l’idea continuò a turbarla, mentre spiegava alle ancelle come dovevano badare alla casa durante la loro assenza. Trovò un momento per scendere alla cappella, a deporre una piccola ghirlanda di fiori invernali davanti all’altare di Cassilda. Avrebbe desiderato che suo figlio nascesse ad Armida, dove sarebbe vissuto circondato dall’eredità che un giorno sarebbe stata sua.

Non aveva desiderato altro, nella sua vita, che sposare Damon e dare figli e figlie al proprio clan e al suo. Era chiedere troppo?, pensò disperata. Lei non era come Callista, non ambiva a operare col laran, a sedere in Consiglio e a risolvere affari di stato. Perché non poteva avere pace? Eppure sapeva che nei giorni futuri non avrebbe potuto rinchiudersi in quel rifugio della femminilità.

Avrebbero chiesto che Damon comandasse le Guardie, al posto del suocero? Come tutte le figlie degli Alton, era fiera della carica ereditaria di comandante che suo padre aveva avuto e che lei aveva sperato di veder rimanere a Domenic per molti anni. Ma adesso Domenic era morto, e Valdir era troppo giovane: a chi sarebbe toccata? Girò lo sguardo sulle divinità dipinte sui muri della cappella, sull’immagine rigida e stilizzata di Hastur, figlio di Aldones, effigiato a Hali insieme a Cassilda e a Camilla. Erano stati i progenitori dei Comyn: la vita era più semplice, a quei tempi. Stancamente, lasciò la cappella e ritornò di sopra, per scegliere le ancelle che dovevano accompagnarli e quelle che dovevano restare a curare la casa.