Se mastro Nicol, ignaro, l’aveva toccata, o magari ne aveva sciolto il cinghiolo per cercare di far respirare Domenic, allora questo poteva aver ucciso il ragazzo… Ma no: Dezi era presente. Dezi sapeva, poiché era stato addestrato ad Arilinn. Se mastro Nicol avesse cercato di togliere la matrice, Dezi — che, come Damon sapeva per esperienza, era in grado di svolgere i compiti di Custode — sicuramente l’avrebbe tolta di persona, perché sapeva farlo senza pericolo.
Ma se Dezi l’aveva presa…
No. Non voleva crederlo. Quali che fossero i suoi torti, Dezi aveva voluto bene a Domenic. Domenic era stato l’unico della famiglia a mostrarglisi amico, l’aveva trattato come un vero fratello, aveva insistito perché venissero riconosciuti i suoi diritti.
Era già accaduto che un fratello uccidesse un fratello… Ma no. Dezi aveva amato Domenic, e amava suo padre. E in verità sarebbe stato difficile non voler bene a Domenic.
Per un momento, Damon rimase accanto alla bara. Qualunque cosa accadesse, era la fine per la normale esistenza di Armida. Valdir era così giovane, e se doveva diventare subito l’erede non ci sarebbe stato il tempo per la tradizionale preparazione dei figli dei Comyn, gli anni nel corpo dei Cadetti e delle Guardie, e il soggiorno in una Torre se c’era idoneità. Lui e Andrew avrebbero fatto del loro meglio per dimostrarsi figli devoti del vecchio Alton: ma nonostante tutte le buone intenzioni non erano Alton, cresciuti nelle tradizioni dei Lanart di Armida. Qualunque cosa accadesse, era la fine di un’epoca.
Callista seguì Andrew, quando lui andò a esaminare gli affreschi alle pareti. Erano antichissimi, eseguiti con pigmenti che splendevano come gemme, e raffiguravano la leggenda di Hastur e Cassilda, il grande mito dei Comyn. Hastur, nelle vesti auree, che vagava sulle rive del lago; Cassilda e Camilla ai telai; Camilla, circondata dalle colombe, che gli portava i frutti tradizionali; Cassilda, con un fiore in mano, che l’offriva al figlio del dio. I dipinti erano antichi e stilizzati, ma Callista riconobbe alcuni dei frutti e dei fiori. La corolla azzurra e oro nella mano di Cassilda era il kireseth, il fiore stellato delle Colline di Kilghard, chiamato familiarmente «campanula dorata». Forse per quel legame sacro, pensò, il fiore di kireseth era tabù in tutti i cerchi delle Torri, da Dalereuth agli Heller? Ricordò, con una fitta di rimpianto, quando era stata senza paura tra le braccia di Andrew, durante la fioritura invernale. Un tempo la gente ci scherzava, ai matrimoni, se la sposa era riluttante. Le lacrime le bruciavano gli occhi, ma si sforzò di reprimerle. Ora che l’erede del dominio, il suo amatissimo fratello minore, era morto, non era il momento di preoccuparsi dei suoi problemi personali.
CAPITOLO DICIOTTESIMO
Era una mattinata grigia: il sole era nascosto dietro banchi di nebbia, e folate di nevischio turbinavano intorno alle alture, quando il corteo funebre si avviò verso nord, partendo da Thendara, per portare Domenic Lanart-Alton all’estremo riposo, accanto ai progenitori dei Comyn. Il rhu fead di Hali, il luogo sacro ai Comyn, si trovava a un’ora di cavalcata verso nord da Castel Comyn, e tutti i nobili e le dame che erano giunti al Consiglio negli ultimi tre giorni si erano uniti al corteo per rendere onore all’erede degli Alton, ucciso così giovane per un tragico incidente.
C’erano tutti, tranne Esteban Lanart-Alton. Andrew, che cavalcava insieme a Cathal Lindir e al giovane Valdir, ricordò la scena che era accaduta quel mattino quando Ferrika, chiamata dal vecchio per somministrargli qualcosa che gli desse la forza di affrontare il viaggio, aveva rifiutato recisamente.
— Non sei in condizioni di viaggiare, vai dom, neppure in lettiga. Se accompagnerai tuo figlio alla tomba, giacerai accanto a lui prima che siano trascorsi dieci giorni. — Poi aveva aggiunto, più dolcemente: — Non puoi fare più nulla per quel povero ragazzo, nobile Alton. Adesso dobbiamo occuparci di te.
Il vecchio si era infuriato tanto che Callista, convocata in tutta fretta, aveva temuto che quella collera precipitasse la disgrazia paventata da Ferrika. Aveva cercato di trovare un compromesso, chiedendo: — Possibile che viaggiare gli faccia più male di questa crisi?
— Non mi arrenderò alle decisioni di una donna! — aveva urlato Dom Esteban. — Mandate a chiamare il mio valletto e andatevene! Dezi… — Si era rivolto al ragazzo, per chiedere il suo appoggio, e quello aveva detto, arrossendo: — Se tu andrai, zio, verrò con te.
Ma Ferrika era sgattaiolata via, e poco dopo era tornata con mastro Nicol, l’ufficiale ospitaliero delle Guardie. L’uomo aveva tastato il polso di Dom Esteban, gli aveva abbassato le palpebre per scrutare le venuzze degli occhi, e poi aveva detto, seccamente: — Mio signore, se oggi esci di qui, molto probabilmente non tornerai. Ci sono altri che possono seppellire il morto. Il tuo erede non è stato neppure accettato formalmente dal Consiglio, e comunque è solo un ragazzo di quattordici anni. Il tuo dovere, vai dom, è di risparmiare le forze fino a quando Valdir sarà diventato uomo. Per rendere un ultimo omaggio sentimentale al figlio morto, vuoi rischiare di lasciare senza padre il figlio vivo?
Di fronte a quelle verità sgradevoli non c’era nulla da dire. Sgomento, Dom Esteban aveva lasciato che mastro Nicol lo rimettesse a letto. Aveva stretto la mano di Dezi, e il ragazzo era rimasto docilmente al suo fianco.
Ora, mentre cavalcava verso Hali, Andrew ricordava le visite di condoglianza e le lunghe conversazioni con gli altri membri del Consiglio, che avevano sfinito il vecchio Dom Esteban. Anche se fosse sopravvissuto all’imminente sessione del Consiglio e al viaggio di ritorno a casa, sarebbe riuscito a vivere fino a quando Valdir fosse stato proclamato uomo malgrado la giovane età? E come avrebbe potuto, un ragazzo di quindici anni, districarsi fra i complicati intrighi politici del dominio? Sarebbe stato certamente molto difficile per quel ragazzo erudito, che aveva vissuto un’esistenza protetta e isolata tra le mura di un monastero.
Valdir procedeva alla testa del corteo, nelle scure vesti da lutto, pallidissimo. Accanto a lui cavalcava il suo amico giurato, Valentine Aillard, che l’aveva accompagnato da Nevarsin: era un ragazzo alto e robusto, con i capelli così biondi da sembrare bianchi. I due avevano l’aria solenne, ma non sembravano profondamente addolorati. Nessuno di loro aveva vissuto abbastanza a lungo insieme a Domenic per soffrire veramente.
Sulle rive del lago di Hali, dove — secondo la leggenda — Hastur, figlio della Luce, era disceso su Darkover, il corpo di Domenic venne deposto in una tomba senza lapide, come imponeva la tradizione. Callista si appoggiò a Andrew, mentre stavano accanto alla tomba aperta, e il terrestre captò il pensiero di lei: Non importa dove giace: è andato altrove. Ma per mio padre sarebbe stato un conforto, se fosse stato sepolto ad Armida.
Andrew girò lo sguardo sul cimitero e rabbrividì. Sotto i suoi piedi riposavano i resti mortali di innumerevoli generazioni di Comyn, e nulla indicava dove giacessero se non le irregolarità del suolo, sollevato dai disgeli primaverili e dalle nevicate invernali. Anche i suoi figli e le sue figlie sarebbero stati sepolti così? Anche lui, un giorno, sarebbe stato portato lì, all’ultimo riposo, sotto quel sole estraneo?
Valdir, come parente più stretto, fu il primo ad accostarsi alla tomba. Aveva una voce acuta e infantile, e parlava in tono esitante.
— Quando avevo cinque anni, mio fratello Domenic mi ha sollevato dalla groppa del mio pony e ha dichiarato che dovevo avere un cavallo adatto a un uomo. Mi ha condotto alle scuderie e ha aiutato il coridom a scegliermi un cavallo docile. Che questo ricordo allevii il dolore.