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Damon comprese che Dezi aveva scovato quell’insulto nella mente di Lorenz, o forse nella sua. Ritrovò la voce. — Se mi uccidi, ti dimostrerai ancora meno adatto a diventare reggente. Non si tratta soltanto della forza, ma del diritto e della responsabilità.

— Oh, basta con queste chiacchiere! — sbuffò Dezi. — La stessa responsabilità, immagino, che il mio affezionatissimo padre ha dimostrato per me.

Damon avrebbe voluto ribattere che Dom Esteban l’aveva amato al punto che per poco il tradimento di Dezi non aveva ucciso anche lui. Ma non sprecò tempo a parlare: strinse la matrice e si concentrò, colpendo per alterare le risonanze di quella che portava Dezi. Quella che Dezi aveva rubato.

Dezi sentì il contatto, e sferrò un’accecante folgore mentale. Damon cadde in ginocchio, per la violenza del colpo. Dezi aveva il dono degli Alton, la collera che poteva uccidere. Lottando contro il panico, Damon comprese che Dezi era diventato più forte. Come un lupo che ha assaggiato il sangue umano, andava annientato subito perché quella belva feroce non si scatenasse in mezzo ai Comyn…

La stanza incominciò a offuscarsi, mentre fra loro si addensavano turbinando le linee di forza. Damon vacillò, poi sentì l’energia di Andrew che lo sosteneva così come il terrestre lo sorreggeva fisicamente. Dezi risplendeva nella nebbia, scagliava fulmini contro i due uomini. Damon senti il pavimento dissolversi sotto i suoi piedi, si sentì sprofondare.

Callista si mise in mezzo a loro. Sembrava torreggiare su tutti, alta, imperiosa, con la matrice che le sfolgorava sulla gola. Damon vide la pietra nella mano di Dezi brillare come una brace, la sentì bruciare attraverso la tunica e la carne. Dezi lanciò un urlo di rabbia e di dolore, e per un istante Damon vide Callista com’era stata ad Arilinn, avvolta nelle vesti cremisi di Custode. Col pugnaletto, che portava al polso, Callista recise il cinghiolo al collo di Dezi. La matrice cadde sul pavimento, e divampò come una fiamma quando Dezi cercò di afferrarla. Damon sentì, insieme a Dezi, il lampo di sofferenza quando la mano del giovane cominciò a bruciare nella fiamma. La matrice rotolò in un angolo, inutile, morta, annerita.

E Dezi scomparve. Per una frazione di secondo Andrew fissò il punto dov’era svanito, dove l’aria vibrava ancora. Poi nelle loro menti echeggiò un terribile urlo di disperazione e di rabbia. E allora videro, come se fossero stati presenti fisicamente in quella stanza ad Armida.

Quando Callista aveva distrutto la matrice rubata di Domenic, Dezi non aveva sopportato l’idea di restarne privo. Con le sue ultime forze si era teletrasportato attraverso il sopramondo, per materializzarsi nel luogo dove Damon aveva riposto la propria: una reazione di panico, irrazionale. Un attimo di riflessione gli avrebbe ricordato che era chiusa al sicuro, in una cassaforte metallica. Due oggetti solidi non potevano occupare lo stesso spazio nello stesso tempo, almeno nell’universo concreto. E Dezi — tutti lo videro, e rabbrividirono per l’orrore — si era materializzato per metà all’interno e per metà all’esterno della cassaforte contenente la matrice. E prima ancora che il disperato urlo di morte si spegnesse, avevano udito tutti l’eco nella mente di Damon. Dezi giaceva sul pavimento della stanza del tesoro di Armida, morto e orribilmente sfigurato. Nonostante l’orrore, Damon provò un fuggevole senso di pietà per coloro che avrebbero dovuto occuparsi di quel cadavere sfracellato, spaventosamente materializzato per metà all’esterno e per metà all’interno della cassaforte chiusa, che gli aveva spaccato il cranio come un frutto marcio.

Ellemir si era accasciata a terra, e gemeva per l’orrore. Il primo pensiero di Andrew fu per lei. Le corse accanto e l’abbracciò, cercando di trasfonderle la propria energia, come l’aveva trasfusa in Damon. Lentamente Damon si rialzò, con lo sguardo perso nel vuoto. Callista fissava la propria matrice, inorridita.

— Adesso sono davvero una spergiura… — mormorò. — Avevo reso il mio giuramento… e l’ho usato per uccidere… — Cominciò a urlare, disperatamente, percuotendosi con i pugni, graffiandosi il volto. Andrew spinse delicatamente Ellemir su una poltrona e corse da lei. Cercò di afferrarle le braccia. Ci fu una pioggia di scintille azzurre, e lui finì, stordito, contro il muro di fronte. Callista lo guardò con gli occhi sbarrati, quasi folli per l’orrore, poi urlò di nuovo e si graffiò le guance. Il sangue scorse in una sottile linea scarlatta.

Damon scattò. Le afferrò i polsi con una mano, la tenne immobile mentre lei urlava, e con la mano libera la schiaffeggiò, con violenza. Le urla si spensero in un singulto. Callista si accasciò, e Damon la sostenne facendole appoggiare la testa contro la sua spalla.

Callista cominciò a singhiozzare. — Avevo reso il mio giuramento — mormorò. — Non ho saputo trattenermi… Ho agito contro di lui da Custode, Damon. Sono ancora Custode nonostante il mio giuramento… il mio giuramento!

— All’inferno il tuo giuramento! — esclamò Damon, scuotendola. — Callista! Finiscila! Non capisci che hai salvato la vita a noi tutti?

Lei smise di piangere; ma il suo volto, sfigurato dal sangue e dalle lacrime, era una maschera di orrore. — Sono una spergiura. Una spergiura.

— Siamo tutti spergiuri — disse Damon. — Ormai è troppo tardi! Dannazione, Callie, riprenditi! Devo controllare se quel bastardo è riuscito a uccidere anche tuo padre. Ellemir… — Il respiro gli si mozzò in gola. Rassegnata, Callista accorse al fianco di Ellemir che giaceva immobile sulla poltrona.

Dopo un momento alzò la testa. — Non credo che il bambino abbia sofferto. Damon, va’ a vedere come sta nostro padre.

Damon si avviò verso le altre stanze. Ma sapeva, senza bisogno di muoversi, che Dom Esteban, così vicino alla morte, era stato protetto dalle sue stesse condizioni. Gli era stato risparmiato di assistere a quella battaglia mortale. Lui, però, aveva bisogno di un momento di solitudine per adattarsi a quella nuova consapevolezza.

Senza pensare, aveva agito contro una Custode, un’Alton: aveva agito automaticamente, per scuoterla, per strapparla all’isterismo, perché si assumesse la piena responsabilità.

Sono io che sono Custode di noi quattro. Qualunque cosa facciamo, la responsabilità è mia.

Tra non molto, lo sapeva, sarebbe stato chiamato a rendere conto di ciò che aveva fatto. Ogni telepate, da Dalereuth agli Heller, doveva aver assistito a quella morte.

E li aveva già avvertiti di quello che stava accadendo tra loro quattro, quando insieme a Andrew e a Dezi aveva costruito quella struttura nel sopramondo, per guarire gli uomini colpiti da congelamento. L’angoscia lo riassalì, per quel ragazzo morto così tragicamente. Aldones, Signore della Luce… Dezi, Dezi, che spreco, che orribile spreco di tutti i suoi doni…

Ma poi l’angoscia lasciò il posto alla consapevolezza di ciò che aveva fatto e di ciò che era diventato.

Esiliato da Arilinn, aveva costruito la propria Torre. E Varzil l’aveva salutato come tenerézu. Era Custode, Custode di una Torre proibita.

CAPITOLO VENTESIMO

Damon sapeva che il momento non avrebbe tardato molto, e infatti non tardò.

Ellemir si era calmata. Sedeva sulla poltrona dove l’aveva deposta Andrew, e singhiozzava sommessamente per il trauma. Ferrika, quando venne chiamata, la guardò sgomenta.

— Non so cos’hai fatto, mia signora, ma se non vuoi perdere anche questo bambino faresti meglio ad andare a letto e a restarci. — Cominciò a passare le mani, delicatamente, sopra il corpo di Ellemir. Con grande sorpresa di Damon, non la toccava ma teneva le dita a una certa distanza: infine disse, aggrottando lievemente la fronte: — Il bambino sta bene. Anzi, tu stai molto peggio di lui. Ti ordinerò un pasto caldo, e tu mangerai e poi andrai a… — S’interruppe e si fissò le mani, sbalordita.