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- Vorrà dire il non-fungo.

- Il non-fungo, sì. Andò a finire che il carburante si esaurì. Dovemmo gettarci col paracadute. Il pilota, più pratico di me, manovrò il suo ombrellone in modo da cadere in mare, per farsi ripescare dalla Marina. Io, invece, finii a capofitto nel non-fungo. Se avessi preso la mira, non avrei potuto fare meglio: caddi infatti, come potei constatare in seguito, proprio nel centro dell'oggetto.

- E si fece un bernoccolo al cioccolato!

- Nessun bernoccolo. Piuttosto, senza volerlo, siccome avevo la bocca aperta, mi feci una scorpacciata di panna montata. Puoi immaginare come rimasi quando scoprii che tutti i miei studi e l'importantissimo esperimento ordinato dal mio governo si erano risolti, per un banale errore, in una torta, sia pure di proporzioni gigantesche.

- Come rimase?

- Avrei voluto fare un buco e buttarmi nell'oceano, ecco come rimasi.

- Che sciocchezza, scusi. Io mi sarei sentito l'uomo più fortunato del mondo. A lei non piacciono i dolci?

- Certo che mi piacciono. Li adoro. Anche i miei bambini li adorano.

- Ah, lei ha dei bambini.

- Ne ho due, uno più bello e più caro dell'altro.

- E fabbrica bombe...

- Ti prego, non torniamo su questo argomento. Ormai è dimostrato che io so soltanto fabbricare torte. Perché la colpa è certamente mia. Il pasticcino del ministro ha certamente contribuito a questo assurdo risultato. Ma se io non avessi sbagliato a fabbricare la bomba, neanche un milione di pasticcini avrebbero potuto provocare questa balorda reazione al cioccolato.

- Ma lei dovrebbe sentirsi orgoglioso di quello che ha fatto: lei è un benefattore dell'umanità.

- Non prendermi in giro.

- E perché non ha fatto quel famoso buco per buttarsi di sotto?

- Non lo so nemmeno io. I venti hanno portato la torta, la torta ha portato me. Da mangiare non me ne mancava. Purtroppo. Avevo della carta, con me, mi sono messo a rifare i miei calcoli per trovare l'errore. Ieri sera stavo per riuscirvi, quando siete arrivati voi due. Ho seguito la vostra galleria, mi sono piazzato là per tener d'occhio la situazione. Non sapevo che la torta avesse atterrato, e tanto meno che avesse scelto proprio Roma per l'atterraggio.

- Tutte le strade portano a Roma, - ricordò Paolo. - E adesso, che cosa ha intenzione di fare?

Il professor Zeta si alzò e prese a passeggiare su e giù per la galleria, senza badare alle pozzanghere di rosolio e di menta in cui ficcava i piedi.

- Il mio dovere è di distruggere questo oggetto, perché non rimanga traccia del mio infelice esperimento.

- Distruggere tutto questo ben di Dio? Ma professore, lei è matto. Qua c'è da mangiare dolce per un anno!

- Questo è escluso. Distruggerò la torta, anzi, la farò distruggere.

- E da chi?

- E' semplice: dalle forze che la stanno cingendo d'assedio. Farò in modo, prima di tutto, da confermare la loro opinione che questa sia un'astronave extraterrestre; poi farò vedere che i marziani stanno per passare all'attacco e attirerò sulla torta un bel fuoco concentrico. I lanciafiamme faranno il loro dovere.

- Mai non sia! Senza contare che morirebbe anche lei.

- Morirò, è necessario. Non sarà la prima volta che uno scienziato si sacrifica...

- Sarà la prima volta che uno scienziato morirà in una torta, invece di mangiarsela. Ma io glielo impedirò. Non solo, ma farò sapere a tutti che razza di genio si nasconde qua dentro: il nuovo Leonardo da Vinci, capace di trasformare le bombe atomiche in torte al cioccolato. Lei diventerà l'uomo più famoso della nostra epoca. Pensi, professore, su tutte le piazze del mondo, l'umanità riconoscente le innalzerà dei monumenti.

- Desidero un solo monumento: la tomba.

- Lei è pazzo, professore, ma pensi, pensi, com'è bella la vita, e com'è dolce la torta...

- Io penso soltanto che come scienziato atomico sono disonorato per sempre. E' inutile che tu insista, Paolo. Ho già deciso. La morte non mi fa paura. Piuttosto, aiutami a mettere in atto il mio progetto.

- Neanche per sogno!

- E invece mi aiuterai. Porterai al comando antitorta un mio messaggio, che dirà così: "Da bordo dell'astronave Marte Prima ai terrestri: avete mezz'ora di tempo per gettare le armi e per consegnarci in ostaggio mille bambini. In caso contrario, allo scadere del trentesimo minuto scateneremo una scarica nucleare che distruggerà Roma in un secondo. Firmato, il comandante..." Bisogna trovare un nome adatto. Be', facciamo... "il comandante Gor". Ti sembra un messaggio abbastanza minaccioso? Naturalmente, non accetteranno mai di consegnarmi mille bambini; sarebbero dei bei criminali! Non rimarrà loro che aprire il fuoco subito, prima che scada il mio ultimatum. E sarà la fine per la torta. Finis, in latino. Ecco, ora ti scrivo il messaggio...

E il professore cominciò senz'altro a vergare con mano tremante per l'eccitazione il testo dell'ultimatum.

Giunto alla frase che riguardava il numero degli ostaggi ebbe un'esitazione.

- Mille bambini... E se dicessi duemila? Meglio, meglio duemila. Faranno più presto a sparare e la mia agonia sarà più breve.

- Non sprechi il suo tempo, - gli disse Paolo con decisione. - Non penserà davvero che io porti quel pazzesco messaggio al comando?

- Sì che lo porterai.

- E invece no. Glielo dico chiaro e tondo: no e poi no.

- Ti butterò giù dalla torta con la forza.

Il professor Zeta disse queste parole con una strana espressione. Pareva, via, che stesse per scoppiare in lacrime.

Finì di scrivere, firmò col nome bizzarro che si era scelto, controfirmò inventando lì per lì dei caratteri incomprensibili.

- Questo saggio di scrittura marziana, - disse, - li convincerà che non c'è trucco.

Piegò il foglio e lo tese a Paolo.

- A te, obbedisci.

- Altrimenti?

- Altrimenti... te l'ho detto, ti butterò giù a calci.

- Perché non prova?

Il professor Zeta boccheggiò, fece mille smorfie, ma gli si leggeva ugualmente negli occhi che non sarebbe mai stato capace di prendere a calci nessuno.

- Non mi provocare, - piagnucolò.

- Sono un uomo buono, io.

- Un uomo buono che vuol far bombardare la torta perché nessuno possa mangiarne.

- Ti prego, Paolo, fa' come ti dico.

- No.

Il professor Zeta, nel calore della conversazione, fece un brusco movimento in avanti e afferrò Paolo per un braccio. Voleva solo pregarlo più caldamente. Ma aveva dimenticato la presenza di un testimone pericoloso. Pensando che Paolo fosse in pericolo, Zorro balzò su con un ringhio e addentò i polpacci del povero professore.

- Ahi! Aiuto!

- Fermo, Zorro. A cuccia. Visto, professore? Lei non può toccarmi, non può cacciarmi via. E fin che io resto qua la torta è salva, perché lei non vorrà far morire anche me. Almeno, lo spero.

- Se non avrò scelta, - disse cupamente il professor Zeta, - butterò il messaggio con un peso, e tu morrai qua dentro, vittima della tua ostinazione. Ma non voglio arrivare a tanto.

- E io non voglio che la torta vada distrutta.

- Squik, squok, karabrok, brek brak! - cominciò a urlare nella sua lingua lo scienziato.

- Se mi parla a quel modo, la capisco anche di meno, - osservò Paolo, tranquillo.

- Squok, squek, squik...

Il monologo del professor Zeta continuò per un pezzo. Egli appariva tanto disperato che Paolo cominciò a domandarsi se non stesse perdendo la ragione. Poi Zeta si calmò, riprese a parlare in italiano, ricominciò da capo, con infinita pazienza, a convincere Paolo a portare il messaggio.