- Lasciami morire nel mio errore, - lo pregava.
- Sarebbe il più grave errore della storia, - rispondeva Paolo.
Quanto durò quella strenua battaglia? Parecchie ore, pensiamo. E non è il caso di descriverne una per una le vicende, del resto puramente verbali.
Sappiamo che a un certo punto Zorro cominciò a dar segni di irrequietudine, a rizzare le orecchie, a mugolare sordamente, fin che non si tenne più, e si lanciò abbaiando fuori della torta.
- Zorro, dove vai? - gli gridò dietro Paolo. E si affacciò lui pure sulla soglia della galleria a guardar fuori. E quello che vide lo fece scoppiare a ridere d'un riso allegro, pazzo, sgangherato addirittura.
- La situazione ti diverte? - borbottò Zeta.
- Professore, quanti ostaggi voleva?
- Mille, duemila...
- Eccoli, stanno arrivando da soli, senza bisogno del messaggio. E sono assai più di duemila...
- Ma cosa vai dicendo?
- Guardi lei stesso, professore. Venga, venga a vedere. E voi, sotto ragazzi! Arrivate in tempo!
I bambini si capiscono
Dobbiamo tornare un momento indietro, per seguire l'autoambulanza che portava all'ospedale, facendosi largo nel traffico con l'ululato della sirena, il professor Rossi, il professor Terenzio e la piccola Rita. I due scienziati si lamentavano in continuazione:
- Ohi, ohi, che dolore! - ruggiva il primo.
- Ahi, ahi, che male! Chiamatemi un notaio, voglio fare testamento, - implorava il secondo.
Gli infermieri cercavano di calmarli con parole di incoraggiamento e borse di ghiaccio sullo stomaco: Rita non credeva ai suoi occhi.
- Ma che cos'hanno?
- Hanno assaggiato un pezzettino di quel finto cioccolato dei marziani.
- Finto? O siete matti voi o sono matti loro! Era cioccolato vero, verissimo. E non era per niente avvelenato, altrimenti a quest'ora io sarei bell'e morta. Ne avrò mangiato un chilo e non sono mai stata così bene.
- Zitta, tu, cosa vuoi mai capire?
- Capirò bene se la pancia mi fa male o no. Non bisogna mica essere professori per sapere dov'è la pancia.
- Insomma, sta' zitta. Non disturbare questi poverini, vedi pure quanto soffrono.
- Questo lo vedo. Fanno come Paolo quella volta che bevve la varechina per sbaglio.
Gli infermieri rinunciarono a discutere oltre con quella piccola pettegola. Del resto l'autoambulanza stava ormai correndo nei viali dell'ospedale. Una buona dozzina di medici circondava Rita, quando il caporeparto cominciò a visitarla.
- Che cosa ti senti?
- Niente.
- Qui ti fa male?
- No.
- E qui? E in questo punto? E in quest'altro?
- No. No. Non sento proprio nulla. Ma cosa dovrei sentire? Non ho bevuto la varechina, ho mangiato solo roba di prima qualità.
- Sta' buona, sta' buona. Vedrai che ora ti passa.
- Ma cosa mi deve passare? Vi dico che sto bene. E vi dico anche, se lo volete sapere, che quella cosa là sul Monte Cucco non è un'astronave, è una torta. Domandatelo a mio fratello, domandatelo al signor Geppetto.
- Chi sarebbe questo signor Geppetto?
- Non lo so, andateglielo a domandare, chi è. Sta dentro nella torta, proprio in mezzo, e se la mangerà tutta, beato lui.
Il caporeparto si volse agli altri medici, crollando tristemente il capo.
- I signori hanno udito? La poverina delira. La sua mente malata mescola l'immagine di quel dolce fatale e le avventure di Pinocchio in una tremenda confusione. Evidentemente il veleno ha cominciato ad agire sui centri nervosi. Speriamo di poter far qualcosa. Per cominciare, direi proprio che un'iniezione calmante è indispensabile.
- Assolutamente indispensabile, - risposero in coro i dodici dottori.
Rita scoppiò in singhiozzi e cominciò a chiamare la mamma, ma per quanto si dibattesse e divincolasse dovette subire l'iniezione. Quasi subito i singhiozzi si fecero più radi e ben presto Rita si addormentò, mentre un'infermiera le asciugava le lagrime.
Altri medici, intanto, visitavano il professor Rossi e il professor Terenzio. Li visitarono in lungo e in largo, dandosi il turno ad auscultare le loro casse toraciche e a battere coi martelletti sulle loro ginocchia, per provare i riflessi. A dire la verità, però, non riuscirono a trovare molto. Del resto sia il professor Rossi che il professor Terenzio, durante la visita, scoprirono con sorpresa di non potere indicare il punto preciso in cui avvertivano quei terribili dolori.
- Qui... No, qui non mi fa male... Forse qui... No, qui no. Forse in quest'altro punto... Macché. Strano, non mi fa male nemmeno lì.
Il professor Rossi era quasi mortificato di non sentire più il dolore. Il professor Terenzio non era meno confuso di lui:
- Non so come sia, ma non sento più niente, - confessò.
- Se non si trattasse di due famosi scienziati, - disse più tardi un medico ad un collega, - sarei quasi del parere che quel dolore se lo sono immaginato.
- Già, un caso di autosuggestione. In altre parole, una gran fifa...
Per prudenza, un'iniezione calmante venne fatta anche ai due illustri pazienti, che cominciarono quasi insieme a russare.
Rita si svegliò qualche ora più tardi e immediatamente richiuse gli occhi per non vedere tutti quei dottori che dovevano essere tornati per farle qualche altra diavoleria.
"Dottori in pigiama", rifletté, subito dopo, dubbiosa. Riaprì gli occhi per controllare: non erano dottori, ma bambini e bambine del vicino reparto, che avevano invaso la sua cameretta e ora la osservavano con curiosità.
- Chi siete? Cos'è successo?
- Niente, - disse la più grande delle bambine, dondolandosi nella sua vestaglia rossa. - Siamo malati anche noi. Siamo venuti a trovarti.
- Ah, grazie, - rispose Rita. Ma la bambina dalla vestaglia non aveva finito il suo discorsetto.
- Sai, - proseguì, - abbiamo sentito quello che gridavi, quando ti hanno portata qui.
- E' vero che al Trullo c'è una pizza dolce grande come una montagna? - intervenne con impazienza un biondino con un braccio al collo.
- E' vero sì. Ma i dottori non mi vogliono credere.
- Senti, ed è buona, quella pizza?
- Vorrei che poteste mangiarne quanta ne ho mangiata io. E' la migliore della terra di sicuro. Anzi, è una pizza spaziale. E' arrivata dal cielo proprio ieri.
- Che bellezza, - esclamò il biondino.
- Che peccato, - disse la bambina con la vestaglia rossa.
- Perché, peccato?
- Peccato che non possiamo assaggiarla.
- Già, - disse Rita, sospirando. E intanto pensava: "Ah, com'è facile intendersi fra bambini. Questi mica pensano che io stia delirando. Capiscono al volo che non racconto storie, che la torta è la pura verità".
- Mi dispiace davvero, - aggiunse. - Però, quando esco ve ne porto un bel pezzo.
- E quando esci? - domandò il biondino.
- Questo non lo so, ma spero presto.
- E come fai a sapere se ci sarà ancora la torta, quando uscirai? - domandò la bambina con la vestaglia rossa. Rita non seppe cosa rispondere a quella domanda terribile. In un momento si figurò che dolore sarebbe stato per lei arrivare al Trullo e sentirsi dire da Paolo che la torta non c'era più, che i soldati l'avevano distrutta o che un temporale l'aveva spazzata via.
I bambini, ansiosissimi, aspettavano sempre che Rita rispondesse e la guardavano tutti insieme, e in ogni sguardo Rita leggeva la stessa domanda e la stessa paura. Allora non seppe resistere. Balzò dal letto e si guardò intorno cercando i vestiti. Come se le avesse letto nel pensiero, la bambina con la vestaglia rossa disse: - I vestiti li tengono nascosti in un armadio, in un altro reparto.
- Non importa, - esclamò Rita.
- Andrò così.
- Ma la sai, la strada?
- No, - rispose, - domanderò.
- Brava, così ti riporteranno subito all'ospedale. Invece io so come arrivare al Trullo facendo il giro dei campi.