Era sempre la bambina con la vestaglia rossa che parlava. Ma allora, aveva già pensato a tutto, quella lì. Pareva davvero che avesse pensato a tutto.
- Sentite, - disse infatti, - io so anche come possiamo uscire dalla parte del giardino. Venite con me e fingete di giocare a nasconderella.
- Tutti? - domandò Rita, spalancando gli occhi.
- Sì, sì, veniamo tutti, - strillò il biondino, saltando per l'entusiasmo. - Non hai detto prima che la torta è tanto grande?
- Ce n'è per tutti i bambini di Roma! - affermò Rita, quasi offesa.
- Ma allora bisogna avvertirli, - gridò ancora il biondino.
- In corridoio c'è il telefono, - disse la bambina con la vestaglia rossa, - e io ho un gettone. Telefonerò a mio fratello, e gli dirò di telefonare ai suoi amici e alle sue amiche, e ognuno di loro dovrà fare un'altra telefonata, e quelli che riceveranno la telefonata dovranno avvertire altri bambini, con tutti i mezzi, anche a voce, per le strade, davanti alle scuole, nei cortili. Sei sicura che ce ne sarà abbastanza per tutti quanti?
- Te lo giuro, - protestò Rita, mettendosi una mano sul cuore.
- Perché non facciamo fare un annuncio alla radio? - propose candidamente il biondino. Tutti scoppiarono a ridere, e non stettero nemmeno a dirgli perché ridevano.
La bambina con la vestaglia rossa corse al telefono.
- Pronto, sono Lucrezia. Sei tu, Sandrino? Stammi bene a sentire. Anzi, prendi prima un foglietto e una matita perché ti debbo dettare degli appunti importanti. Ci sei?..
- Ma cosa fa? - domandò Rita.
- Perché ci mette tanto?
- Al solito, ha pescato una matita senza punta. Pronto, Sandrino? Cosa? Adesso non trova il temperamatite. Prendi il mio, sta nella mia cartella.
- Presto, presto per carità, - imploravano i bambini, impazienti. - Se arrivano le infermiere siamo fritti.
Finalmente Lucrezia riuscì a dettare a Sandrino le sue istruzioni. Dettava come una maestra, senza fermarsi, senza imbrogliarsi mai con le parole, come se ci avesse pensato a lungo e il piano fosse tutto chiaro nella sua testa. Che testa, quella Lucrezia!
Il telefono magico
Non so se avete presente la storia del pifferaio di Hammelin, che col suo piffero magico liberò la città dai topi, e poi non gli vollero dare la sua paga, e allora ricominciò a suonare il suo piffero, e tutti i bambini della città gli andarono dietro, anche quelli che erano ancora troppo piccoli per camminare a due gambe, e lo seguirono gatton gattoni.
Qualcosa del genere accadde quel giorno a Roma. La telefonata di Lucrezia a Sandrino fece da piffero magico. Anzi, fece meglio.
Supponiamo infatti che quel famoso pifferaio di Hammelin si fosse messo a suonare il suo piffero nel bel mezzo di piazza San Pietro. Chi l'avrebbe sentito? A mala pena i pochi bambini che si fossero trovati in quel momento a giocare intorno alle fontane o all'obelisco. Forse nemmeno loro, col fracasso che fanno le automobili. Un piffero non ha molte probabilità di farsi sentire, in una città moderna.
Poi il pifferaio, per raggiungere le orecchie di tutti i bambini di Roma, avrebbe dovuto fare il giro della città. Campa cavallo! Nemmeno a camminare due giorni di fila, e di buon passo, avrebbe potuto far sentire la sua canzone in tutti i rioni del centro, in tutti i quartieri della periferia, e in tutte le borgate, e in tutti i borghetti che circondano la capitale in ogni direzione, giungendo fin quasi ai colli, da una parte, fin quasi al mare dall'altra. I bambini avrebbero finito col perdere la pazienza e l'avrebbero mandato a quel paese, ad Hammelin, insomma, nel paese delle favole, dove il telefono non esiste.
Il telefono: ecco un piffero magico adatto per una città moderna.
In meno di mezz'ora i suoi squilli, moltiplicandosi a catena, portarono la notizia da Trastevere a Torpignattara, dal Testaccio a San Giovanni, dai Parioli al Quadraro:
"Al Trullo è caduta una torta spaziale grande quanto una montagna!"
Chi riceveva la telefonata si affrettava a fare il numero di un amico, e gli comunicava la notizia; poi si affacciava alla finestra ed avvertiva i compagni che giocavano in cortile; poi scendeva in strada e si incamminava con loro alla volta del Trullo, in tram, in autobus, in bicicletta, a piedi. Improvvisamente Roma sembrò invasa dai bambini. Li vedevi uscire a gruppi dai portoni, abbandonare la palla nelle mani del vigile urbano senza protestare e mettersi a correre, qualcuno con la merenda in mano, qualcuno con la cartella. Nelle scuole Francesco Crispi i maestri del turno pomeridiano videro le loro scolaresche balzare in piedi come un solo scolaro e dirigersi verso la porta: tutto per colpa (o per merito?) di un ragazzino di terza che, mentre andava al gabinetto, si era affacciato alla finestra, e di lì aveva ricevuto il messaggio dal figlio del barista di fronte, e si era affrettato a comunicarlo ai ragazzi che aveva incontrato nei corridoi, durante la sua passeggiatina igienica.
- Dove andate? Tornate ai vostri posti! Insomma, fermi là! Volete che vi castighi tutti?
I maestri gridavano, ma non ci fu niente da fare: la scuola si vuotò in un baleno, come per l'improvvisa fine dell'anno scolastico. Rimasero a mezzo gli svolgimenti dei temi, le soluzioni dei problemi, le risposte di storia e di geografia.
- Al Trullo! Al Trullo!
La gente si voltava, incuriosita. I vigili urbani si grattavano la testa sotto il casco, perplessi. Mamme affacciate a centinaia, a migliaia di finestre, gridavano migliaia di nomi:
- Tonino! Pietro! Maria! Gilda! Oretta! Dario! Albertina!
Macché: avrebbero potuto recitare in fila tutti i santi del calendario che nessuno si sarebbe voltato a rispondere.
Cinque bambini furono visti transitare a velocità moderata su un solo monopattino. Un ragazzo dei Parioli - che è il quartiere di lusso - tirò fuori il suo go-kart e suscitò una grande invidia, perché superava senza il minimo sforzo i meno fortunati che spingevano i loro tricicli, le loro automobiline a pedali, rosse come bolidi, o scivolavano rumorosamente sui pattini a rotelle.
- Al Trullo! Al Trullo!
Molte bambine correvano saltando la corda, un po' perché avevano l'illusione di correre più in fretta, un po' perché senza la loro corda non sarebbero andate né al Trullo né altrove.
- Che c'è? E' scoppiata la rivoluzione? - domandò un droghiere, affacciandosi sulla soglia del suo negozio. - Sarà il caso che abbassi la saracinesca?
Sette ragazzi di Campo de' Fiori si fecero prestare da un cenciaiolo un carrettino a mano, per fare il viaggio più comodi: a turno, due tiravano e cinque stavano sul carrettino, e di lassù gridavano a chi li voleva sentire:
- Al Trullo! Al Trullo!
Ci furono perfino degli audaci che scesero il Tevere in barca, da Ponte Milvio alla Magliana, attraversando tutta Roma: e di là si buttarono per i prati verso il Monte Cucco, in cima al quale la torta, illuminata dal sole del tramonto, aveva preso il colore di un budino alla fragola.
La telefonata magica, come potete immaginare, era arrivata anche al Trullo. Sicché i primi a precipitarsi ai piedi della torta furono i piccoli trullesi (o forse si dice trullini, non so; forse trullalleri).
Invano pompieri, vigili, agenti, soldati a piedi ed a cavallo, sottufficiali e ufficiali si sforzavano di tenerli lontani dalla linea dell'assedio.
- Vogliamo la torta! - gridavano i ragazzini. Ma più probabilmente gridavano in dialetto: - Volemo la pizza! Datece 'a pizza!
Rita e Lucrezia, intanto, avevano condotto fuori dell'ospedale i loro compagni: ma non senza aver promesso a quanti non potevano alzarsi dal letto che sarebbero tornate a portar loro un buon pezzo di torta.
Ci fu anche qualche piantuccio, si sa.
- Portate anche me! - implorava un bambino con la gamba ingessata. - Posso correre anche con una gamba sola!