- Bravo, - gli disse Lucrezia, - così ti rompi anche quella. Sta' buono, non ti dimenticheremo.
E via a correre, con la sua vestaglia rossa che la faceva assomigliare a una grossa farfalla. Correva, accanto a lei, il biondino con il braccio al collo, gridando:
- Che fortuna avere un braccio rotto! Che fortuna!
Un ortolano, vedendo passare quel gruppo di bambini e bambine in pigiama, in vestaglia, o addirittura in camicia da notte, esclamò:
- Guardate che il Carnevale è passato da un pezzo! E tu, dove vai? Vieni qui, birbaccione, torna indietro!
Queste ultime parole erano rivolte a suo figlio, che non aveva perso tempo a pensare al Carnevale, si era informato di quel che succedeva e aveva buttato la zappa per unirsi al gruppo.
- Misericordia! - esclamò il professor Zeta, affacciandosi accanto a Paolo all'apertura della galleria.
Mille, duemila, forse tremila bambini, rompendo e scompaginando lo schieramento degli assedianti, venivano su per la collina. Grida festose risuonavano per l'aria:
- Caricaaa!
- All'assalto!
- Arrivano i nostri!
- Sono perduto! - mormorò il professor Zeta, accasciandosi su un croccante. - Non potrò più far distruggere la torta.
- E io scommetto, - disse Paolo, - che la torta sarà distrutta lo stesso.
- Che cosa vuoi dire?
- Ma professore, apra gli occhi! Cosa crede che ne faranno i bambini della sua torta? Non vengono mica su per misurare la circonferenza o per trovare l'area di base. Tempo un'ora, e quassù
non resterà una crosta di cioccolato a pagarla un miliardo.
Il volto del professor Zeta si accese come una lampadina.
- Ma certo! La mangeranno! Non ne rimarrà una briciola. Evviva! Avanti, avanti, ragazzi. Avanti che ce n'è per tutti! Buon appetito alla compagnia! Come sono stato sciocco a non averci pensato prima.
- Eh, - disse Paolo, - qualche volta anche uno scienziato può fare delle sciocchezze.
Le prime file degli assalitori erano ormai a pochi passi, e non avevano certo bisogno degli inviti del professore: nei loro occhi si leggeva la ferma, entusiastica determinazione di distruggere il nemico e di non lasciarne candito su candito. Un attimo più tardi la torta venne attaccata da tutte le parti. Un plotone di guastatori si buttò a corpo morto nella galleria scavata da Paolo e Rita. Altri, saggiamente, cominciarono a mangiare la circonferenza.
L'altoparlante di Diomede tuonava intanto: - Bambini, attenzione! Non accettate regali dai marziani! Essi vi daranno dei dolci avvelenati: non mangiateli!
Ma chi stava a sentire le raccomandazioni?
- Lasciatene un po' anche per noi! - gridavano invece i nuovi arrivati, che ancora arrancavano su per la collina.
In breve la torta apparve bucherellata come una forma di groviera. Le gallerie e i camminamenti si incrociavano a decine. Il professor Zeta si aggirava raggiante, aiutava i più deboli a staccare il cioccolato dal pavimento e a rompere le pareti di croccanti, indicava i filoni del miglior gelato, alzava tra le braccia i più piccoli perché potessero raggiungere il soffitto di panna montata.
- E' lei il marziano? - gli domandavano i ragazzi.
- Sì, sono io. Sono un marziano. Mangiate e bevete, siete ospiti di Marte.
- Viva Marte! - gridavano i ragazzi, tra un boccone e l'altro.
Ce n'è e ce ne sarà per tutti
- Qui Dedalo chiama Diomede, qui Dedalo chiama Diomede. Passo.
- Qui Diomede. Siamo in ascolto. Passo.
- Signor generale, stanno succedendo cose dell'altro mondo. Passo.
- Che ne sapete voi dell'altro mondo? Ci siete già stato? Eravate con Dante Alighieri quando scese all'Inferno? Diteci quello che vedete. Passo.
- Signor generale, non riesco a credere ai miei occhi.
- Fate uno sforzo.
- Insomma, signor generale, i ragazzini si stanno mangiando l'oggetto misterioso pezzo per pezzo. Ecco perché non li sentivamo più gridare: hanno la bocca piena.
- Volete dire che il nemico spaziale sta distribuendo pasticcini?
- Signor generale, il nemico non si vede per niente. Si vedono solo bambini: e l'oggetto spaziale si vede sempre meno, lo stanno semplicemente facendo sparire.
- Cose dell'altro mondo!
- Vede che lo dice anche lei, signor generale?
La conversazione qui trascritta si svolgeva, verso le diciotto di quella famosa sera, tra l'ufficiale esploratore alla guida di un elicottero che sorvolava il Monte Cucco e il comando dell'Operazione E.S. (Emergenza Spaziale) situato, come già sapete, nell'ufficio del direttore delle scuole. Impotente a frenare l'assalto di migliaia di ragazzini, Diomede aveva fatto alzare in volo l'elicottero per tentare almeno di tenere sotto controllo la situazione.
Generali, colonnelli, comandanti dei pompieri e dei vigili urbani, ascoltando la relazione dell'aviatore, evitavano di guardarsi, per non doversi confessare con gli occhi che non sapevano che pesci pigliare.
In quel momento si precipitò nella stanza il vigile Meletti, detto "l'astuto Ulisse", affannato e balbettante.
- Ma cosa state dicendo? - tuonò il generale, che non capiva una parola. Il sor Meletti si mise una mano sul cuore, per imporsi la calma, e finalmente riuscì a pronunciare due parole di senso compiuto:
- Mia moglie... - disse, facendosi aria col berretto.
- Be'? Ha lasciato bruciare l'arrosto? Non vi ha attaccato i bottoni alla camicia? Cosa volete che c'importi di vostra moglie, in questo momento!
- Aspetti un momento che ripiglio fiato. Mia moglie è impazzita!
- Telefonate al manicomio, e lasciateci in pace.
- Signor generale, le dico che è impazzita! E' tutta matta. Si è messa in giro per i cortili, ha radunato un migliaio di donne. Dicono che vogliono andare lassù a riprendersi i loro figli... E poi...
- Ah, non è ancora tutto?
- Adesso viene il peggio, signor generale. L'ho sentita telefonare a sua sorella che sta a Trastevere, a sua cugina che sta a Monte Mario, alla sua comare che abita a...
- Sentite, non vorrete mica recitarci tutto l'elenco telefonico? Venite al fatto.
- Insomma, ha fatto sapere a mezza Roma che i ragazzini sono tutti qui. E ormai lo sa anche l'altra mezza Roma. E da tutti i quartieri stanno arrivando le mamme. Arrivano a battaglioni, signor generale! A reggimenti, a divisioni addirittura!
- Bravo, e ci avvertite soltanto adesso?
- Signor generale, è stato l'affare di due minuti. Mia moglie, quando ci si mette, è un autentico pericolo pubblico...
- Qui Dedalo chiama Diomede. Passo.
- Qui Diomede. Che succede ancora? Passo.
- Le donne, signor generale. Hanno sfondato gli sbarramenti. Stanno dando l'assalto alla collina da tutte le parti. Sono comparse all'improvviso, come furie scatenate. Vanno su di corsa come bersaglieri, chiamando per nome i loro figli. Passo.
- C'era da aspettarselo, - commentò qualcuno, nella stanza. - Il nemico ci ha legato le mani, impedendoci ogni mossa. Quando ha cominciato ad allettare i bambini, sapeva quel che si faceva. Ora ha scatenato le madri. E così, senza aver sparato nemmeno un petardo ci
mette in ginocchio. Avremmo dovuto bombardare l'oggetto misterioso fin dal primo minuto, ecco quel che avremmo dovuto fare.
- Andiamo a vedere, - disse il generale, secco secco.
Si mossero tutti insieme, come se avessero aspettato soltanto il segnale.
- Voi no, - disse il comandante dei vigili al sor Meletti, - voi siete agli arresti. Così imparerete a sposare un pericolo pubblico.
- Ma come? Proprio io che sono corso a dare l'allarme? E poi, ci ho anch'io due figli, lassù. Avrò il diritto di...
- Siete agli arresti, e basta. E ringraziate il cielo che almeno uno dei vostri figli è in salvo, all'ospedale.
Ma Rita, in quel momento, non era all'ospedale, era in Paradiso. Rosicchiando beata un pezzo di torrone grosso come un sofà, essa riceveva le occhiate di ringraziamento che le lanciavano Lucrezia, il biondino con il braccio al collo e gli altri amici dell'ospedale. Di parlare non aveva tempo nessuno. Ma gli sguardi dicevano abbastanza. Si tenevano tutti uniti, in quella gran confusione, mangiando tranquillamente le pareti del buco in cui erano capitati, e chi scopriva una specialità di gelato, o un deposito di frutta candita lo indicava agli altri con un gesto, senza smettere di mangiare.