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- Buono, Zorro. Zitto, cuccia, là! Ooooh... Sì, signore, siamo in Italia. A Roma.

- A Roma! a Roma! - ripeté il "signor Geppetto". - Bontà del cielo!

- Perché, ha sbagliato indirizzo? - domandò Paolo.

- Indirizzo?

- Voglio dire che forse la torta doveva essere recapitata in un'altra città.

- Vedo che tu mi prendi per un pasticciere. No, ragazzo mio, non sono un pasticciere: sono soltanto un pasticcione.

- Però parla benissimo l'italiano.

- Quanto a questo, posso parlare una dozzina di lingue altrettanto bene che la mia.

- Il marziano? - arrischiò Paolo.

- Il marziano? - ripeté il "signor Geppetto". - Ah, capisco. Ora capisco tutto quello schieramento di forze, i cannoni, i missili... Già, già. Non poteva succedere diversamente. I marziani, sicuro. Ci sarà un allarme. Si è pensato a un'invasione di forze provenienti da un altro pianeta. Dio mio, è la rovina! Sono un uomo finito.

Tutto assorto nella sua disperazione, lasciò che Paolo si liberasse della sua stretta per sedersi su una grossa ciliegia candita che Zorro leccava accanitamente.

- Io mi chiamo Paolo, - disse il bambino. - Mia sorella si chiama Rita. Ieri sera era qui anche lei. Adesso non so dove l'abbiano portata.

- Paolo, - ripeté il "signor Geppetto". - Scusami se io non posso presentarmi a mia volta. Il mio nome è un segreto di Stato.

- Di quale Stato?

- Anche questo è un segreto. Non devi farmi domande, perché non potrei risponderti. Del resto, credo di aver perfino dimenticato il mio nome, tanto è segreto. Chiamami professor Zeta, se vuoi.

- Allora preferisco chiamarla professor Geppetto. E' stata Rita a pensare a questo nome.

- Chi è Geppetto?

- Come, non conosce la storia di Pinocchio?

Il professor Zeta dovette confessare che non ne aveva mai udito parlare. Paolo, senza perdere tempo, gli raccontò la storia del celebre burattino. Ma il professore non lo ascoltò a lungo.

- Che cos'è tutto questo, secondo te? - domandò al bambino, con un ampio gesto della mano.

- Una magnifica torta, professore, - rispose Paolo, - la più grande, la più straordinaria che mai si sia vista. Una torta volante, più grande di tutti gli oggetti volanti che abbiano mai attraversato gli spazi.

- Una torta. Pensavo di essere impazzito, quando me ne sono accorto. Credevo di avere delle allucinazioni al cioccolato, alla crema, al pistacchio, eccetera. Purtroppo è la triste verità: questa è una torta, nient'altro che una stupida torta.

- Stupida? Triste? Ma, professore, cosa va dicendo?

- Tu non puoi capire.

- Scusi, sa, ma il cioccolato lo capisco benissimo e le posso assicurare che è di prima qualità.

- Questo è vero. Non è nemmeno radioattivo.

- Come lo sa?

- Ho il contatore, di là, nella mia grotta. Il contatore Geiger. Sai che cos'è?

- Uno strumento per misurare la radioattività.

- Precisamente. E in tutta questa immensa, balordissima torta non c'è ombra di radioattività. Ho scavato in lungo e in largo, ho esplorato una ventina di raggi, la circonferenza, la superficie, il volume. Assolutamente nulla. E' questo che mi fa impazzire.

- Abbia pazienza. Non è meglio così? Se la torta era radioattiva non era commestibile.

- Ti ripeto che non puoi capire.

- Allora mi spieghi lei.

- Ti spiegherò quel che posso. Certi particolari, naturalmente, sono coperti dal segreto di Stato, e non ne farò cenno. Posso dirti, per cominciare, che io sono uno scienziato atomico.

- Terrestre?

- Terrestre, sì. Certamente, terrestre. Ma questo lo vedi da te.

Il più bell'errore del mondo

- Circa sei mesi fa, - cominciò a narrare il professor Zeta, - ebbi l'incarico dal mio governo di studiare da un punto di vista particolare il problema del fungo atomico. Lo sai cos'è un fungo atomico?

- Lo sanno anche i sassi. E' quel nuvolone mortale che si forma dopo l'esplosione di una bomba atomica. Giusto?

- Pressappoco. Ora, come tu sai, il fungo diventa preda dei venti, che lo sospingono in qua e in là...

- Avvelenando l'aria, avvelenando la pioggia e così via. Un bel sistema per distribuire dall'alto le principali malattie.

- Rifletti, però. Gran parte della nuvola atomica si disperde nell'atmosfera e i suoi effetti mortali vanno sprecati.

- Meno male!

- Come sarebbe a dire? Ragazzo mio, tu non hai una mentalità economica. Perché sprecare quelle preziose sostanze?

- Vorrà dire velenose.

- Velenose, appunto. Il mio governo ha pensato: se riusciamo a ottenere un fungo atomico dirigibile, lo possiamo far volare nell'atmosfera a nostro piacimento; esso girerà intorno al globo, come una piccola Luna, e noi potremo farlo cadere qua o là, poi richiamarlo per aria, dirigerlo su un altro obiettivo. Con una sola bomba si otterranno gli effetti di un intero magazzino atomico.

- Che bellezza, - esclamò Paolo.

- Che soddisfazione per quelli che, dopo aver ricevuto sulla testa la bomba atomica, si vedrebbero recapitare a domicilio anche il fungo. Ma sa, professore, che voi scienziati ne studiate proprio di buone?

- Si fa per risparmiare, - rispose il professore, serio serio.

- Scusi, ma non si risparmierebbe di più se le bombe atomiche non si fabbricassero nemmeno?

- Sono cose che tu non puoi capire. E' politica. Io non mi interesso di politica. Io sono soltanto uno scienziato. Anzi, ahimè, lo ero...

- Continui, professore. Lei dunque accettò quell'incarico dal suo governo.

- Sì, e mi misi subito al lavoro per progettare il fungo dirigibile. Non sto a dirti quanti esperimenti, quanto sudore...

- ...e quanti quattrini, - commentò Paolo.

- Insomma, un mese fa credetti di aver trovato la soluzione al mio problema. Passai i disegni alla fabbrica, sorvegliai personalmente tutti i preparativi, tutte le fasi della fabbricazione della bomba che doveva servire alla grande prova. Una bomba magnifica, te lo dico io.

- Magnifica?

- Ti dico, bellissima. La più bella bomba atomica che sia mai stata fabbricata. Materiali di prim'ordine, rifiniture eleganti, un congegno perfetto. Ricordo la cerimonia dell'inaugurazione... Bandiere, coppe di sciampagna, pasticcini. Una festa commovente. Il ministro non la finiva più di stringermi le mani. A un certo punto, per l'entusiasmo, lasciò perfino cadere un pasticcino nella bomba. Sai, uno di quei pasticcini alla crema e al cioccolato. Lì per lì, ci si fece sopra una bella risata. Non era successo nulla che potesse guastare i meccanismi della bomba. Almeno, così pensavo. Ora, ahimè, non sono più dello stesso parere. Finalmente, venne anche il giorno dell'esperimento. La bomba doveva essere sganciata da un aereo e scoppiare a dieci chilometri dal suolo, anzi, dal mare. Secondo il progetto, io stesso avrei sorvegliato dall'aereo il fungo atomico, lo avrei manovrato per una mezz'ora, quindi lo avrei diretto a tuffarsi in un punto prestabilito dell'oceano.

- Quale oceano?

- Eh, no, figliolo. Non posso dirtelo. Segreto di Stato.

- L'oceano Segreto non c'è, sulle carte geografiche.

- Lasciami finire. Tutto andò bene fino allo scoppio della bomba...

- Addio quattrini!

- Ordinai al pilota di raggiungere una certa distanza dal fungo atomico e mi accinsi alla parte più importante dell'esperimento. Ma

il fungo non si formò! La nuvola atomica si condensò rapidamente, assumendo la forma di un cilindro piuttosto piatto, che rotava con lentezza su se stesso. La cosa era abbastanza strana, ma il peggio fu quando mi accorsi che l'oggetto non rispondeva assolutamente ai congegni per la teleguida da me preparati. Tentai in cento modi, da distanze diverse, da diverse quote, di dirigerlo da una parte qualsiasi. Macché: non era dirigibile. Il pilota, nervosissimo, protestava che il carburante stava per finire, che dovevamo tornare alla base, se non volevamo precipitare. Ero troppo disperato per preoccuparmi di tanto poco. Se vuoi saperlo, non mi importava nulla di precipitare: volevo prima riuscire a dirigere il fungo.