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«A proposito di “raggiungerti”, ti avverto che secondo me ne avremo per un bel po’.»

«Dille di chiamarmi.»

«Perché tutte queste raccomandazioni?» si preoccupa Marino. «Perché “massima prudenza”?»

«Stalle vicino ovunque vada, mi raccomando.»

«Eh?»

«Resta con lei, mi hai capito?»

«Non sarà tanto contenta…» gli fa presente Marino.

Benton guarda i ripidi pendii innevati spazzati dal vento e punteggiati dagli alberi tutto intorno al paese e si sofferma sulle nuvole grigie che stanno coprendo il cielo. Prima di sera nevicherà di nuovo, pensa.

«Lo so.»

«Mi ha detto che hai da fare, che stai lavorando.»

«Sì.» Benton non vuole approfondire.

«Be’, è un peccato che tu stia lavorando e lei anche. Cosa fai, resti lì, anche se hai da fare?»

«Per il momento, sì» risponde Benton.

«Dev’essere una cosa grave, se te ne occupi in vacanza» lo sonda Marino.

«Non te ne posso parlare.»

«Eh? Maledetto telefono…» impreca Marino. «Bisogna che dica a Lucy di inventare un aggeggio che impedisca di intercettare le telefonate. Se ci riuscisse, guadagnerebbe una fortuna.»

«Lucy guadagna già una fortuna. Non ha bisogno di inventare niente.»

«Lo so.»

«Allora, mi raccomando» conclude Benton. «Se non ci sentiamo nei prossimi giorni, tu stalle sempre vicino. Stai attento a lei e anche a te. Non scherzo, Marino.»

«Lo so benissimo» ribatte Marino. «E tu sta’ attento a non farti male sciando.»

Benton chiude la comunicazione e torna a sedersi sul divano di fronte alla finestra, accanto al camino. Sul tavolino di noce davanti al divano ci sono un blocco di appunti scritti con la sua grafia quasi indecifrabile e una Glock calibro .40. Prende gli occhiali dal taschino della camicia di jeans, si appoggia al bracciolo e comincia a sfogliare il blocco. Ogni pagina è numerata e nell’angolo in alto a destra c’è una data. Si gratta il mento e si accorge di avere una barba di due giorni. Circoletta le parole “paranoia collettiva” e piega la testa da una parte.

A margine del foglio scrive: “Lacune da colmare. Grosse. Siamo vicini al limite. Vera vittima = L. non H. H. = personalità narcisista”. Sottolinea tre volte la parola “narcisista”. Poi scrive “istrionica” e la sottolinea due volte. Gira pagina. Il titolo è “Comportamento post trauma”. Sente un rumore di acqua che scorre e si meraviglia di non averla sentita prima. “Massa critica. Natale = limite. Tensione insostenibile. Prox omicidio entro Natale” scrive. Poi alza gli occhi, percependo la presenza della donna prima di sentirne i passi.

«Chi era?» domanda Henri, diminutivo di Henrietta. È in fondo alla scala, con la mano appoggiata sulla ringhiera, e lo guarda.

«Buongiorno» la saluta Benton. «Di solito fai la doccia. Il caffè è pronto.»

Henri Walden si chiude la vestaglia di flanella rossa intorno alla vita sottile. Ha gli occhi verdi ancora assonnati e un po’ reticenti. Osserva Benton con l’aria di chi è in credito per qualcosa. Ha ventotto anni ed è attraente, anche se non propriamente bella. I suoi lineamenti sono tutt’altro che perfetti, perché ha il naso grosso e i denti non proprio drittissimi, ma è molto affascinante, anche quando cerca di non esserlo. In questo preciso momento, però, si sente bruttissima e Benton non prova a convincerla del contrario perché sarebbe troppo pericoloso.

«Ho sentito che parlavi al telefono» dice Henri. «Era Lucy?»

«No» risponde lui.

«Ah.» È chiaramente delusa e infastidita. «Ho capito. E chi era, allora?»

«Era una conversazione privata, Henri» risponde Benton, togliendosi gli occhiali. «Abbiamo stabilito dei limiti, ti ricordi?»

«Sì, lo so» risponde lei, sempre tenendo la mano sulla ringhiera. «Ma se non era Lucy, chi era? Sua zia? Lucy parla sempre di sua zia.»

«Sua zia non sa che sei qui, Henri» spiega Benton paziente. «Lo sanno soltanto Lucy e Rudy.»

«Tu e la zia di Lucy state insieme, vero?»

«Solo Lucy e Rudy sanno che sei qui» ribadisce Benton.

«Allora era Rudy? Che cosa voleva? So che gli piaccio.» Sorride e assume un’espressione che Benton trova inquietante. «Rudy è un bellissimo ragazzo. Mi sarei dovuta mettere con lui. Ci sarebbe stato. Avrei potuto sedurlo quando eravamo fuori con la Ferrari. Quando ero fuori con la Ferrari potevo sedurre chiunque. Non ho mica bisogno di Lucy, per poter andare in giro in Ferrari.»

«Ricordati i limiti, Henri» dice Benton. Gli è difficile accettare la sconfitta, per quanto ce l’abbia davanti agli occhi: da quando Lucy ha portato Henri ad Aspen e gliel’ha affidata, si sente avvolto da una nube oscura.

“Tu non le farai del male” gli ha detto Lucy. Come a dire che sarebbe stato facilissimo fare del male a Henri, approfittare di lei e della situazione per scoprire un sacco di cose a proposito di loro due.

“Non sono uno psichiatra” le ha risposto Benton.

“Henri ha bisogno di qualcuno che la aiuti a superare il trauma. Tu sei uno psicologo, è il tuo mestiere. Cerca di capire che cosa le è successo. Dobbiamo scoprire come sono andate le cose” gli ha detto Lucy. Era fuori di sé, in preda al panico. Lei, che non si lascia mai prendere dal panico. È convinta che Benton possa fare miracoli, ma non è vero. Sarà anche bravo a capire le persone, ma questo non vuol dire che sia in grado di aiutarle a superare i loro problemi. Henri non è un ostaggio, può andarsene quando vuole. E lo turba vedere che, nonostante ciò, non se ne va. Come se stesse bene lì con lui, si divertisse.

Ha scoperto molte cose nei quattro giorni che ha trascorso con lei. Henri Walden ha una personalità disturbata, ce l’aveva anche prima di essere aggredita. Se non ci fossero le fotografie, Benton penserebbe che Henri abbia inscenato tutto quanto. Teme che in questo momento sia solo lievemente più disturbata di come è normalmente e questo pensiero lo turba. Non riesce a capire che cosa avesse in testa Lucy, quando ha cominciato a frequentarla. Probabilmente è stata impulsiva, o forse era obnubilata.

«Lucy ti lasciava guidare la Ferrari?» chiede a Henri.

«Quella nera no.»

«E quella grigia metallizzata?»

«Non è grigia, è azzurra. Su quella ci andavo quando volevo.» Lo guarda, sempre con la mano sulla ringhiera delle scale, i lunghi capelli scompigliati, gli occhi assonnati, come se posasse per una foto sexy.

«La guidavi, Henri?» chiede Benton, perché vuole essere sicuro. È importante capire come ha fatto il suo aggressore a puntarla. Benton non crede che Henri fosse una vittima casuale, scelta a caso, solo perché è una donna giovane e bella e si è trovata al momento sbagliato nella casa sbagliata o sulla Ferrari sbagliata.

«Te l’ho già detto» ribatte lei seccata, con la faccia inespressiva. Solo lo sguardo è vivo, attraversato da ombre inquietanti… «Quella nera non la lascia prendere a nessuno.»

«E quando è stata l’ultima volta che hai guidato la Ferrari azzurra metallizzata?» le chiede Benton con il tono pacato di sempre, cercando di raccogliere più informazioni che può. Non importa se Henri è seduta, in piedi o in giro per casa, se è in vena di parlare, è importante cogliere l’attimo e cercare di farsi dire più cose possibili. Indipendentemente dagli effetti che questo può avere su di lei, Benton vuole scoprire come è stata aggredita e perché. Per certi versi, di Henri poco gli importa. A lui interessa Lucy.

«Faccio la mia figura, su quella macchina» risponde lei con lo sguardo acceso e il volto inespressivo.

«La guidavi spesso, Henri?»